Mettere a posto, mettere in ordine
Quando si mette a posto qualcosa si fa ordine, o meglio per fare ordine bisogna mettere a posto. Non si capisce esattamente dove sia il posto dell’ordine, piuttosto l’ordine è il posto in cui qualcosa viene messo, in una strana coincidenza di parole che si sovrappongono, come se l’ordine fosse il posto ideale in cui le cose vengono messe per stare bene. Infatti l’ordine è la disposizione, è la sequenza che procede dall’inizio. Di solito si rimette in ordine, si spostano le cose dove erano prima. L’ordine è il luogo d’origine, appartiene all’inizio: è l’inizio.
Mettere in ordine significa scegliere il punto di partenza, il primo punto da cui iniziare a ordire la trama delle altre indicazioni. L’ordine è impartito, è un prendere parte, posto di nuovo, dopo che il posto iniziale è stato perso. Mettere in ordine è tentare di ritornare all’inizio, all’origine, alla causa, al punto in cui tutto era ancora immobile, ordinato, disposto. Il movimento è contrordine, è l’incontro dell’ordine iniziale verso uno nuovo.
La fermezza dell’ordine
Mettere ordine è mettere l’ordine contro se stesso: si ordisce una strategia, una tattica inconsapevole che scatena un’inevitabile lotta tra la nuova posizione, disordinata, discostata rispetto all’origine. Mettendo ordine non si fa altro che impostare: mettere a posto, fermare. La sequenza ordinata non è altro che il seguire dell’identico al primo, è copia sempre uguale, già vista: altrimenti l’imprevisto, il disordine, il caos, inversione delle lettere, della grammatica, il caso.
Mettendo in ordine ci si avvicina alla fermezza assoluta, alla rigidezza dell’immoto nel paradosso di una distanza immensa a ciò che è ancora informe. Ci si distanzia sempre di più all’inconsistenza, a ciò che è ancora privo di una forma, di un limite. Ci si avvicina all’origine accumulando tutto, non lo si disperde: l’ordine è vicinanza, mancanza di spazio, di possibilità, di respiro, di esistenza: ciò che esiste non può essere ordinato, fermato.
La distanza è lo spazio della possibilità: l’ordine è la predeterminatezza dell’azione, è scegliere l’immobile. La vita non può essere ordinata, o sarebbe immobile, della fermezza morta. Fissando l’ordine si diventa ciechi, si perde la profondità della prospettiva in un ravvicinamento forzato all’immobilità.
Il disordine del possibile: la bellezza
Mettere a posto conferma l’ordine e determina la fine del rinnovamento: l’ordine non è vitale. E se spesso la bellezza viene identificata con l’ordine, viene solamente fraintesa.
La bellezza è il trionfo della vita, non può essere contenuta definita in un punto. Se la vita ci fa esperire la bellezza, la bellezza è viva, non può essere ordine, ordinata, messa a posto, accantonata. Per essere vista la bellezza deve essere alla giusta distanza; mettersi a posto significa stare fermi, distanti da tutto, anche dalla bellezza. Sempre nominata, riconosciuta, scorta, accarezzata o annusata nella vita di tutti i giorni è destinata a restare disordinata, deve essere lasciata fluire libera: non è ordine , piuttosto un’indicazione Così tanta bellezza. Dal 4 all’8 giugno la bellezza secondo Accordino, un suggerimento incalzante di movimento, di vita.
Al Teatro Elfo Puccini la bellezza resiste all’ordine, al comando e si offre nell’immediatezza della confessione poetica. Con l’assistenza alla regia di Valentina Paiano, una produzione la Danza Immobile/ Teatro Binario 7: Corrado Accordino si offre a un pubblico sinceramente commosso con un atto di resistenza di poetica, un contrordine al mettere a posto.
Disordine infinito, vita senza fine
Le parole si intrecciano nell’andirivieni delle giornate riflesse in un pensiero che diventa sempre più lucido, sino ad abbagliare come un fulmine a ciel sereno il quadro perfetto della vita di un uomo di mezza età: tutto quadra, tutto e a posto, nella mania dell’ordine, del ritorno al luogo deciso in partenza, per una perfezione che riduce l’azione, delimitandone la visuale nella cornice di una contentezza che è contenimento.
Si è contenti e contenuti nel proprio ritaglio, nella decisione continua che recide la libertà, che mozza il fiato, e lentamente uccide. L’ordine è un’origine che può essere solo punto di partenza, altrimenti punto di non ritorno, un regresso al finito, nella perdita dell’infinitezza del possibile. Corrado Accordino gioca con le parole una strategia vincente nella perdita finale: le ordina di continuo, immobilizzandole su di se a tal punto da sentirne il peso insostenibile, per sprofondare immancabilmente, nella frantumazione totale del senso, della sequenza grammaticale. Nella disintegrazione totale a cui è destinato, ordinato il personaggio, ogni lettera perde il suo posto e nel silenzio dell’incomprensione si vince la libertà della contemplazione, della bellezza del tempo possibile che ricomincia a fluire.
Si può mettere ordine solo a patto di fermare il flusso nel ritorno all’origine. Mettere ordine è la fissazione del punto passato, significa rinunciare al tempo. Il tempo è disordinato, non si ripete mai, è il possibile che arriva, a cui ci si avvicina senza sforzo, senza ordine, senza comando nella profondità di un silenzio che è il tempo del respiro, del silenzio dell’ascolto, della Vita.