Dopo i best seller da milioni di copie e il successo televisivo di Gomorra, Roberto Saviano si è cimentato negli ultimi tempi in due nuovi progetti per la serialità italiana, a metà tra la fiction e il reportage, in cui i fatti giudiziari s’intrecciano con elementi biografici e aspetti particolarmente intimi della vita dei protagonisti.
Uno di questi è Kings of crime, serie factual andata in onda su Nove nel 2017, in cui lo scrittore partenopeo tiene lezione in un’aula universitaria dell’Alma Mater di Bologna sulle biografie dei boss della mafia e della criminalità organizzata (dal camorrista Paolo Di Lauro al narcotrafficante El Chapo); l’altro è ES17, Dio non manderà nessuno a salvarci, il film inchiesta di Sky, scritto da Diana Ligorio e Conchita Sannino, sulla vita di Emanuele Sibillo, giovanissimo capo della Paranza dei bambini.
Forcella spara ancora
Nonostante il far west che negli scorsi anni aveva coinvolto i clan rivali sia ormai un lontano ricordo, in questi giorni il centro storico di Napoli è tornato a tremare per una nuova guerra della droga.
Tre agguati in 48 ore, l’ultimo nella notte, ai danni di un 21enne vicino al clan Ferraiuolo, colpito alla schiena mentre rientrava a casa nella zona di Forcella. La vicenda ricorda tremendamente proprio quella di Emanuele Sibillo, che aveva però incontrato un destino diverso. All’epoca dei fatti il baby boss, a capo del gruppo di giovanissimi che stava riscrivendo col sangue le regole della camorra nel ventre di Napoli, era latitante. Solo un mese prima era riuscito a sfuggire a un agguato della polizia, che aveva quasi definitivamente spazzato via il clan a suon di arresti.
La sua fuga s’interrompe la notte del 2 luglio 2015: in via Orozio Costa, una strada stretta e senza vie di fughe, tre pistole sparano, svegliando Forcella poco prima dell’alba. Un solo colpo raggiunge la schiena di Emanuele. Qualcuno lo soccorre, lasciando il corpo nello spazio antistante l’ospedale Loreto Mare. Troppo tardi, l’ultima corsa è vana.
La serie: dal realismo di Gomorra alla realtà
ES17 racconta la parabola di un boss: dal carcere minorile al comando, e dal comando alla morte. Nulla di diverso da quanto già fatto dalla serie di Garrone e Sollima, (nella quale, peraltro, il personaggio di Sangue Blu è liberamente ispirato proprio a Emanuele Sibillo) che pure si sono addentrati negli anfratti più remoti della vita criminale.
Una prima differenza, seppur sottile, tra le due serie, risiede nel passaggio dall’iperrealismo di Gomorra, alla nuda realtà di ES17.
Dai video girati col cellulare di Mariarka Savarese, compagna di Emanuele, che raccontano lati inediti del giovane boss, fino alle riprese all’interno della comunità minorile Jonathan, che mostrano un adolescente dalla faccia pulita e gli occhiali dalla montatura sottile, giocare a fare il giornalista nell’ambito di programmi di recupero, esprimersi in italiano e leggere le biografie di Che Guevara e dei padrini della mafia.
Una volta fuori dalla comunità, la faccia pulita di Emanuele si copre di una barba ispida ispirata ai fondamentalisti islamici, e il piano covato in tutto quel tempo si materializza: mettersi a capo di una banda di ragazzini che spaventano il centro storico in sella agli scooter e con le pistole in tasca. Questo passaggio «segna il fallimento totale dei programmi di recupero e delle istituzioni, che nella più totale incapacità di leggere dentro ai ragazzi, non sanno offrir loro alternative valide» come sottolinea il magistrato antimafia Catello Maresca, intervistato a più riprese nel corso della serie.
Maresca, attivamente impegnato in questi anni sul fronte antimafia, è la rappresentazione rassicurante dello Stato che in Gomorra latita (e questa è una critica che è stata più volte mossa alla serie e al suo ideatore). Qui fallisce, vedendosi inesorabilmente scivolare dalle mani la speranza di invertire la sorte di un adolescente, ma almeno esiste, come contrapposizione al male assoluto.