«Basterebbe la presenza di Diana Damrau per giustificare il titolo in cartellone», recita la didascalia sul sito del Teatro alla Scala per questa Lucia di Lammermoor che segna un altro piacevole successo nella corrente stagione lirica del Piermarini. Non si può, col senno di poi, darvi torto. Lo spettacolo, con il già molto discusso recente allestimento del Met (regia di Mary Zimmermann, scene di Daniel Ostling) e la bacchetta di Stefano Ranzani, è in scena dal 28 maggio all’11 giugno.
Riesce sempre difficile pensare a qualcosa di nuovo ed eccellente per un’opera del grande repertorio com’è Lucia; la magia della Scala, per questa volta, rende inutile pensare: basta sedersi ed ascoltare. Innanzitutto, come sopra, per la meravigliosa Lucia (Diana Damrau). Il ruolo le calza a pennello, e dimostra una eccelsa agilità, colori splendidi, grandissima eleganza, controllo e precisione, oltre ad una indubitabile presenza scenica e ad una tensione drammatica al massimo di quanto si potrebbe desiderare. Una follia memorabile, da incisione, di sconcertante raffinatezza e puntualità, certamente anche grazie all’uso della glassarmonica, secondo l’originaria volontà di Donizetti, seguendo l’uso ripristinato proprio alla Scala nell’edizione del 2006.
Soltanto buono Enrico (Gabriele Viviani): voce piacevole e dal timbro molto appropriato, ma spesso affaticato e poco penetrante. Per giunta, sbagliare una frase di recitativo, recuperato prontamente soltanto grazie all’abilità di Ranzani, è qualcosa di decisamente non in linea con il livello globale della rappresentazione. Recupera tuttavia con un finale secondo veramente grandioso, riuscito alla perfezione, dalla regia affascinante e di grande compiutezza.
Ottimo invece anche Edgardo (Vittorio Grigolo), la cui carriera parla da sé e rende solo parziale giustizia all’immensità drammatica che riesce a trasmettere in un personaggio tanto tormentato; voce grandissima, anche se probabilmente più adatta ad un repertorio lirico leggero. Ma ciò che conta è il risultato e certamente di emozione è in grado di trasmetterne tanta. Con naturalezza e senza fatica, dalla prima all’ultima nota. Ben diversamente da quanto aveva – molto peggio – fatto l’anno scorso.
Il già encomiato Timur di Turandot è qui altrettanto gradevole interprete di Raimondo (Alexander Tsymbalyuk): possente, preciso e nitido. Meno indimenticabili Arturo (Juan José de Léon), Alisa (Chiara Isotton) e Normanno (Edoardo Milletti).
È piacevole il trend di ritorno al classico per quanto riguarda scene e costumi. La regia, gradevolmente e sapientemente geometrica, trova momenti molto efficaci: l’entrata di Edgardo al matrimonio, il distacco insanabile tra follia e realtà dell’ultima Lucia, e molti altri.
Coro perfetto, nel pieno segno del recente trend positivo. Orchestra quasi perfetta: la direzione di Ranzani, seppure completamente a memoria, accurata e partecipe, patisce di un gesto non così limpido e diretto. Il loggione sancisce, però, la sua approvazione.