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Deledda

Il «caso Deledda»: un Nobel può essere dimenticato?

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2 minuti di lettura

Mamma: «[…] ti stavi accecando a furia di leggere di notte alla luce del lume […]»

Grazia: «[…] Ma se per avventura mi fossi accecata ricamandomi il corredo alla luce del lume, come fanno le donne onorate e senza grilli per la testa? Allora andava bene.»
Quasi grazia, di Marcello Fois

 

Nonostante sia la prima e attualmente unica donna italiana ad aver vinto il Nobel per la letteratura nel 1926, Grazia Deledda sembra scomparsa dalle antologie scolastiche. Anche un’opera fondamentale quale la Storia della letteratura italiana di Giulio Ferroni dedica solo un paragrafo alla scrittrice sarda.

È possibile dimenticare un Premio Nobel?

Di certo se il Premio Nobel in questione è una donna, peraltro con una storia sui generis come la Deledda, si incontrano molti più ostacoli lungo il percorso del riconoscimento e della memoria.

I primi ostacoli alla vocazione letteraria di una giovanissima Grazia furono i pregiudizi, di cui molto spesso sono state vittime altre donne scrittrici come lei. Pregiudizi che nacquero tra i suoi concittadini, all’interno della sua famiglia e che talvolta sfociarono nel risentimento personale. Le accuse più frequenti furono quelle di aver calunniato la Sardegna, descrivendone gli usi primitivi, e di aver trascritto le storie di persone realmente esistite, che vivevano come lei nella piccola realtà di Nuoro. Accuse ancora più pesanti colpirono la sua ambizione di scrittrice, vista come tempo rubato alle comuni attività da donna.

La decisione dell’Accademia svedese di assegnare il Nobel per la Letteratura alla Deledda, nonostante contribuì a far nascere un vero e proprio orgoglio sardo per la scrittrice, suscitò molto scalpore (tra cui è interessante ricordare l’invidia che avrebbe colpito Luigi Pirandello, in gara per il premio che avrebbe vinto otto anni dopo).

La scrittura di Grazia non è canonica, impossibile da catalogare rigidamente negli ismi letterari. Dietro questo stile sui generis si nasconde un’educazione irregolare, che si ferma alla quarta elementare. Nonostante il suo essere donna l’abbia intrappolata in una condizione di minorità (specie in un ambiente isolato e tipicamente contadino come quello sardo), la Deledda fin dalla prima adolescenza nutrì il suo spirito di sognatrice con letture onnivore. Lesse la Bibbia, i grandi russi (in particolare Tolstoj e Dostoevkij) e coltivò una vera passione per D’Annunzio, considerato da lei come un modello culturale. La sua formazione autodidatta, interpretata dai suoi critici come una debolezza, si rivela in tutta la sua forza e originalità.

Il caso Deledda

Gli studi autodidatti saranno un ostacolo anche per un altro scrittore del novecento: Italo Svevo, costretto nella prima fase della sua produzione letteraria ad una scarsa fama. Eppure sia i romanzi di Svevo che quelli della Deledda sono segnati da alcune recensioni importanti. Per Svevo, i giudizi positivi di Joyce e Montale hanno contribuito al suo successo e all’inizio del cosiddetto caso Svevo.

Per la Deledda, nonostante il critico Attilio Momigliano l’abbia paragonata a Dostoevskij («grande poeta del travaglio interiore»), la fortuna della scrittrice è rimasta sempre (e rimane tuttora) altalenante, in perenne equilibrio tra il profondo amore e la profonda indifferenza.

Nonostante le stesse premesse, gli esiti della fama di Svevo e della Deledda risultano opposti e ancora oggi non si può parlare di un caso Deledda al pari dell’ormai consolidato caso Svevo.

Il confronto tra Svevo e la Deledda mostra le difficoltà che il genio femminile incontra sul suo cammino per farsi riconoscere ed apprezzare a differenza di quello maschile. Ciononostante, Grazia fu sempre cosciente delle sue potenzialità, a differenza del falso mito circa la sua modestia. Dall’oscura realtà di Nuoro, è arrivata a vincere il Nobel, scrivendo romanzi non per ottenere successo e visibilità, ma perché si sentiva forte e superiore a tutte le piccolezze della società.

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