Grandi mete rimpiazzate in favore di vacanze a misura d’uomo. Città storiche che hanno nutrito quell’Italia che potrebbe vivere solo di turismo, declassate perché troppo calpestate. È il caso di Venezia, che è un gioiello e un unicum, costruito in secoli di storia, e oggi scartata, invasa com’è da turisti di tutte le nazionalità, soffocante e invivibile, incattivita e pronta a lucrare sul prossimo. Per la Cnn Venezia è una destinazione da evitare nel 2018, principalmente per il sovraffollamento. La meta alternativa proposta è Annecy, in Francia. Anche in questo campo vale il principio dell’intercambiabilità?
Un conto da mille euro all’Osteria Da Luca
Ha fatto recentemente scalpore, ma non troppo, la notizia del maxiconto all’Osteria Da Luca: 1143 euro che quattro studenti giapponesi hanno pagato per quattro fiorentine e una frittura mista, annaffiate di alcol, e il cui prezzo, secondo il gestore, era ben segnalato nel menu. Certo si tratta di atteggiamenti che corrompono la fama di una città amata, ma con le sue luci e le sue ombre, e che allertano gli ignari.
La Post-Venezia di Tiziano Scarpa sulle pagine del Corriere della Sera
Alla sua città si rivolge come a «Post-Venezia» lo scrittore Tiziano Scarpa, in un recente articolo sul Corriere della Sera. Lamenta l’assenza di rifugi antituristi e di quartieri di decompressione intorno al centro. Sono trenta milioni i turisti che esondano in città ogni anno, contro cinquantatre mila abitanti, in una città che sempre più deve vivere in funzione dei primi.
I proprietari degli esercizi commerciali sono in gran parte cinesi, albanesi e mediorientali, come il gestore dell’Osteria Da Luca, un cinese che al primo diffondersi dalla notizia figurava sui giornali come egiziano. L’avversione dei veneziani per i nuovi invasori allora è evidente, ma forse motivata, mentre altri inganni paiono semplicemente dovuti a ragioni di profitto.
Eppure Scarpa non si unisce semplicemente alle corali lamentele, ma riporta anche opinioni più oggettive, come quella di Gianfranco Bettin, scrittore e politico, che ricorda i provvedimenti del Comune per il sostegno agli abitanti: costruzioni e acquisti di case, contributi ai cittadini per affitti e restauri. Venezia è una città che rende, ma a cui servono risorse in misura maggiore rispetto a quelle immesse, e da lei stessa prodotte. È figlia di un passato illustre, di un impero che non esitava a investire consistentemente per il suo mantenimento. Con la legge speciale 1973 si dichiara che la salvaguardia di Venezia e della sua laguna è problema di preminente interesse nazionale.
Anche mafiosi a nord-est
Anche la mafia cavalca le onde di Venezia, denunciava Maurizio Dianese sulle pagine del Gazzettino. I suoi articoli partivano da Tronchetto, un’isola artificiale annessa da soli cinquant’anni a Venezia, che si stacca dal ponte della Libertà, e che è diventata punto d’approdo per i pullman turistici. Qui gli «intromettitori» deviano le comitive sui loro motoscafi, i «lancioni», che sottraggono clientela ai vaporetti pubblici (che anch’essi peraltro hanno prezzi inaccettabili per singola corsa).
Venezia oggi costruisce la sua sopravvivenza e la sua stessa natura sui bed & breakfast e sugli appartamenti in affitto su Airbnb. Ci sono studenti che ne hanno fatto un business e che subaffittano regolarmente, oltre ai veneziani veri, che ben volentieri lasciano la casa in città per pagarsi con l’affitto un appartamento più lussuoso in una località più vivibile. Le orde di turisti spaventano abitanti e studenti che si devono muovere per lavoro o per commissioni nei pressi di San Marco. Ma oggi la zona rossa si estende paurosamente, e anche le calli più sperdute sono interessate da un traffico a piedi quasi metropolitano.
Un turismo che scade nel commerciale
Quello che intristisce di più, è forse lo scadere della qualità del turismo. Venezia deve essere compresa nella complessità della sua storia, che non si può spiegare con un giretto a San Marco. Richiederebbe uno studio più attento e una sensibilità diversa, che privilegi gli esercizi nostrani, piuttosto che i ristoranti gestiti da stranieri e fatti con lo stampino, che si affastellano nei principali punti di passaggio.
Occorrerebbe guardare agli osti intramontabili, come il proprietario de Ai Do Farai, che si perdono tutta la sera a chiacchierare con i clienti, nuovi e fedeli, in quel veneziano stretto, che ha un sapore salato. Bisognerebbe frequentare le pasticcerie tradizionali, che come Tonolo fanno pagare un euro i croissant al mattino. Eppure anche queste zone meno attraversate dalle maggiori ondate di turisti si stanno commercializzando, con l’apertura di esercizi non propriamente coerenti con il luogo.
Tra sovrappopolamento e abbandono: serve una via per salvare la città
Venezia è una città che ancora attira, aperture più e meno valide. Perché ci sono anche le gallerie d’arte, moltissime, che tra le calli trovano un ambiente ideale, un contesto pregno. E accanto a quelle di dimensioni più modeste, ci sono quelle gestite da manager stranieri, avveduti, e amanti della città, che le restituiscono un sapore nuovo, ma di valore, che contaminano gli ambienti offrendo aperitivi tra collezioni d’arte, promuovendo un prodotto, ma sempre all’insegna della valorizzazione. È il caso della Guggenheim con il suo Happy spritz @ Guggenheim, che ad alcuni dà da pensare, ma comunque alla città male non fa.
Venezia infine è uno scrigno di luoghi disabitati, intrisi di storia ma difficili da recuperare. Muri che trasudano umidità, ma che sarebbe doveroso restituire ad antiche glorie, o ad usi più consoni. Come i complessi industriali di Marghera o gli spazi chiusi e inquietanti al Lido e sulle isole. La città è un ossimoro tra sovraffollamento e abbandono, ma rimane una ricchezza che ha fatto la storia dell’Italia, e che, aiutata a salvarsi, può salvare a sua volta.