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Il destino del capitalismo e il regno della tecnica 

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Da diversi secoli filosofi ed economisti cercano di trovare risposte alle numerose questioni che riguardano il destino del capitalismo. A partire da Karl Marx, fino ad arrivare ai giorni nostri, abbiamo assistito a diversi annunci sulla sua fine, eppure ad oggi, tramite correzioni e adattamenti, il capitalismo è riuscito a sopravvivere alle teorie che lo davano per morto.

In particolare con la vittoria trionfante sul comunismo, e la conseguente dissoluzione dell’Unione Sovietica, il capitalismo è riuscito ad imporsi come unico sistema economico sul nostro pianeta.

Francis Fukuyama, sull’onda dell’entusiasmo conseguente alla guerra fredda, nel suo famoso saggio La fine della storia e l’ultimo uomo, afferma che l’alternarsi di istituzioni e tipologie di governo, così come dei sistemi economici, sia ormai giunto al suo ultimo stadio: la democrazia liberale. Infatti, secondo questa concezione, nel lungo periodo, l’intero mondo verrebbe ad omologarsi uniformemente ai canoni occidentali e, in particolare, non vi sarà altro sistema politico ed economico che quello rappresentato dalla democrazia liberale e dal capitalismo.

 

Seguendo l’analisi di Fukuyama sembrerebbe che il celebre conflitto Servo-Signore, formulato da G.W.F. Hegel all’interno della Fenomenologia dello Spirito, si sia ormai risolto definitivamente in favore del Signore, cioè del capitalismo.

Eppure, dal momento in cui ha sconfitto l’alternativa comunista, il capitalismo è passato dall’essere una sorta di contemporaneo Deus sive natura” spinoziano, ossia quell’identità da cui tutto dipende, ritenuta unica, eterna e infinita, all’essere oggi, dopo pochi decenni dal suo trionfo, un semideus costretto a dipendere dal servizio prestato da un’altra potenza del nostro tempo: la tecnica.

Il capitalismo infatti, per sopravvivere a se stesso e alle conseguenze negative per l’ambiente intrinseche alla sua logica di funzionamento, necessita costantemente delle soluzioni innovative apportate dalla tecnica per ridurre al minimo i danni prodotti all’esterno. Risulta quindi evidente che con l’aumento della dipendenza dalla tecnica, il capitalismo non possa più godere dello lo status di ultimo Signore della storia ma, appunto, dinanzi a sé ha un’altra lotta da combattere.

Senza entrare nei dettagli più filosofici, è forse utile riproporre lo schema del rapporto hegeliano Servo-Signore, che viene posto a fondamento della storia umana e dei rapporti sociali, per comprenderne i risvolti eminentemente contemporanei. Per Hegel l’uomo si trova costantemente all’interno di un contesto in cui si confronta con l’altro, con diverse soggettività sulle quali avanza una pretesa di riconoscimento. Questo desiderio origina dunque un conflitto tra due soggettività che condividono lo stesso scopo: si tratta di una “lotta mortale” nella quale due uomini lottano affinché il riconoscimento desiderato venga a sostanziarsi nella sottomissione dell’altro soggetto.

È la paura di morire, “la signora assoluta”, che spinge un soggetto a chinarsi dinanzi alla volontà del nuovo padrone, rendendosi così suo servitore. In questo rapporto di servitù il Servo, a differenza del Signore, matura una duplice esperienza che gli permetterà di diventare un essere per sè, in particolare tramite il lavoro e all’esperienza che lo ha posto dinanzi alla morte.  Se il Servo conosce la sua natura e le catene della sua condanna, continuando a  lavorare ha la possibilità di superare quel tremore provato nella lotta mortale poiché, a differenza del padrone, egli ha acquisito un’esperienza maggiore del mondo.

Infatti, Hegel afferma: «senza la disciplina del servizio e dell’obbedienza la paura resta al lato formale e non si riversa sulla consaputa effettualità dell’esistenza. Senza il formare la paura resta interiore e muta, e la coscienza non diviene mai coscienza per lei stessa».

In questo modo il Servo è una figura essenziale nella dialettica poiché, in determinate circostanze, può superare la propria condizione divenendo Signore.

Seguendo l’indicazione del filosofo Emanuele Severino, si potrebbe applicare questa metafora hegeliana all’odierna lotta tra capitalismo e tecnica, per comprendere quale sia il soggetto destinato a divenire il Signore del nostro mondo.

tecnica

Anzitutto bisogna fare chiarezza su un punto cruciale, ancora oggi discusso: tecnica e capitalismo sono forze contrapposte, antitetiche, che non si muovono in vista di interessi comuni. Questo è un punto fondamentale da cui partire, altrimenti, se così non fosse, ci sarebbe una comunione di intenti e, dunque, non vi sarebbe alcuna lotta tra queste potenze.

Se l’essenza del capitalismo coincide con l’intrapresa e l’obiettivo primario è la massimizzazione indefinita del profitto, è possibile che vi sia capitalismo soltanto laddove vi è una scarsità che permetta intrapresa. Lo scopo della tecnica, invece, è l’aumento progressivo e infinito della sua potenza affinché l’organizzazione dei mezzi garantisca più efficienza nel raggiungimento degli scopi prefissati.

Con queste due brevi definizioni, forse, non risulta evidente la contraddizione tra le due potenze ma, se si specifica meglio l’effetto prodotto dall’azione tecnica, ovvero che all’incremento progressivo della potenza consegue una diminuzione graduale della scarsità, allora quel desiderio di riconoscimento, avanzato dai soggetti della “lotta mortale”, viene subito ad esistenza. Ecco che ci troviamo ora in presenza di un Signore, il capitalismo, che per sopravvivere necessita delle soluzioni del suo Servo, la tecnica, la quale, nell’eseguire le prestazioni richieste, aumenta la sua potenza fino al punto tale da sovvertire il rapporto di servitù, divenendo essa stesa il Signore.

Se ad oggi risulta difficile intravedere la fine del capitalismo, in un futuro non lontano il capovolgimento del rapporto tra mezzi e fini, tra Servo e Signore, garantirà alla tecnica un regno autentico e indipendente sulle potenze attuali. Questa metafora serve a restituire l’idea del rapporto di forza tra le due potenze poiché la tecnica, servendo il capitalismo, diminuisce progressivamente la fonte vitale del capitalismo stesso: la scarsità.

Come afferma Emanuele Severino, il capitalismo si trova a un bivio: «O distruggere la terra, e quindi distruggere se stesso; oppure si dà un fine diverso da quello per il quale esso è quello che è, e anche in questo caso distrugge se stesso».

Seppure in modalità differenti, il bivio descritto non si presenta soltanto al capitalismo ma ad ogni altra potenza tradizionale (politica, etica, religione ecc.) che oggi, per realizzare i propri scopi originari, si subordina all’efficacia della tecnica. In questa fase di subordinazione non solo assistiamo alla presa di forza della tecnica ma anche, e soprattutto, al tramonto della tradizione, cioè di quelle forze ideologiche che hanno caratterizzato gli ultimi secoli della storia umana.

Siamo alle soglie di un nuovo mondo dove quelle che sono sempre state ritenute potenze, ora dovranno rivestire un ruolo secondario, di servizio nei confronti della potenza effettiva.

Una volta trovata la risposta a quale sia dunque il destino, e il nuovo impiego, del capitalismo, ci sarà da domandarsi quale vita e quale sorte spetterà alle istituzioni politiche, sociali e religiose nel regno della tecnica.

Pietro Regazzoni

Pietro Regazzoni

Nato a Lecco tra lago e monti nel 1997. Studio economia interessandomi di mille altre cose. Amo passeggiare e immaginare il futuro.

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