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Andrés e Pablo Escobar. www.sbnation.com

Fútbol y malavida: la Colombia dei primi anni ’90

5 minuti di lettura

Pablo Emilio Escobar Gaviria

È il 2 dicembre 1993, a Medellin, Colombia, avviene un conflitto a fuoco. «Welcome to Colombia» dice Steve Murphy, l’agente della DEA in una delle prime puntate della serie Tv Narcos. Un grande classico, verrebbe da dire. Effettivamente nella nazione sudamericana, e a Medellin in particolare, udire degli spari non è un fenomeno raro, tutt’altro. In quel 2 dicembre, però, il conflitto a fuoco avviene fra la polizia e uno dei più grandi criminali della storia dell’umanità. Ovviamente si tratta di Pablo Emilio Escobar Gaviria, il più noto e ricco trafficante di cocaina di sempre. Quel giorno di dicembre la polizia colombiana lo intercettò, insieme alla sua guardia del corpo, in un quartiere borghese della seconda città della Colombia. Nonostante un tentativo di fuga, Escobar venne intercettato dagli spari degli agenti sudamericani appartenenti all’unità operativa Bloque de Busqueda  e morì sul colpo.

A inizio degli anni ’90, Pablo Escobar, si consegnò volontariamente alle autorità colombiane per evitare l’estradizione negli Stati Uniti, poiché era pienamente consapevole che a Washington e dintorni non avrebbe ricevuto lo stesso trattamento di cui invece poteva godere all’interno del suo paese natale. Fu imprigionato in quella che venne rinominata La Catedral, la quale, già dal nome, mostra una certa lontananza dagli standard  di una normale prigione. Oltretutto La Catedral non era nemmeno un luogo di totale reclusione, poiché il narcotrafficante venne visto ripetutamente ad eventi mondani. Un giorno in cui si trovava confinato all’interno della sua prigione dorata, Escobar invitò la nazionale di calcio colombiana a disputare una partita in un campetto adiacente. Quella nazionale, la quale si qualificherà ai mondiali statunitensi del 1994, è stata probabilmente la più forte Colombia di sempre. È passata alla storia, però, per un episodio drammatico.

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Pablo Escobar palleggia con un pallone.
www.iogiocopulito.it

Una manita leggendaria

Nelle partite di qualificazione al mondiale 1994 la Colombia disputò un match leggendario all’interno di uno dei templi del calcio sudamericano, nientemeno che il Monumental di Buenos Aires, casa del River Plate e spesso delle partite casalinghe della nazionale argentina. I cafeteros (questo il soprannome della nazionale colombiana) scherzarono con i più quotati colleghi del Rio della Plata. Finì addirittura 5-0, un’onta per il calcio argentino e un momento di gloria assoluta per il mondo colombiano. Gabriel Garcia Marquez disse che quella nazionale avrebbe potuto vincere il mondiale e lo stesso Pelè, il cui parere riguardo al calcio ha una valenza più importante rispetto a un Premio Nobel, la pensava allo stesso modo. Chi erano i calciatori più celebri di quella nazionale colombiana? Certamente Carlos Valderrama, il quale con la sua folta e sparpagliata chioma bionda rappresenta una delle icone calcistiche degli anni ’90, probabilmente l’emblema del numero 10 tutto genio e sregolatezza: formidabile in campo ma altrettanto bizzoso ed estroverso fuori. C’era il giocatore del Parma Faustino Asprilla, velocissimo centravanti che esultava compiendo eccentriche capriole a mezz’aria, celebre anche per aver posato nudo su una rivista colombiana e per essere stato arrestato in seguito ad aver sparato con una mitragliatrice. Come dimenticarsi, inoltre, della sgusciante ala destra Fredy Rincòn? Transitato anche a Napoli e, per una stagione, addirittura al Real Madrid, anche lui a fine carriera si fece notare per gesta extracalcistiche: nel 2015 venne ricercato dall’Interpol con l’accusa di riciclaggio di denaro sporco a Panama. Si dice che fosse un prestanome di qualche boss della droga colombiano. Insomma, non era un ambiente granché raffinato quella Colombia dei primi anni ’90: eppure in campo giocava una squadra pazzesca.

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Una didascalia di quel match storico.
www.storiedicalcio.altervista.org

 

René Higuita, professione portiere

A proposito di calciatori legati, indirettamente o direttamente, al malaffare, la storia più celebre è quella del portiere-simbolo René Higuita. Si sa, i portieri nel calcio sono sempre stati dei casi anomali; i portieri latino-americani, come il messicano Campos o il paraguaiano Chilavert, non hanno fatto altro che ingigantire il mito del portiere loco. Higuita rappresenta un caso ancora più radicale. Infatti, ancora oggi, è conosciuto prevalentemente per il suo marchio di fabbrica, la leggendaria parata dello scorpione, la quale andò in mondovisione durante un’amichevole fra Colombia e Inghilterra. Il portiere si lasciò apparentemente superare dal pallone, salvo, in brevissimo tempo, contorcersi su sé stesso e respingere il pallone con le suole delle scarpe. Un gesto tanto scenografico quanto inutile, da un punto di vista pratico, ma che ha contribuito a creare il mito del portiere colombiano. Higuita con la sua nazionale ha partecipato a due mondiali: quelli del 1990 e del 1998. Non c’era negli Stati Uniti nel 1994, poiché si trovava in carcere per aver mediato durante un sequestro di persona, non avvisando le autorità competenti. Come si può notare l’amicizia fra i narcos e i calciatori colombiani possedeva delle basi solide. Ai mondiali italiani, la Colombia fu eliminata agli ottavi di finale dal sorprendente Camerun di Roger Milla. Proprio il centravanti africano, all’epoca probabilmente quarantenne, segnò ai cafeteros dopo aver rubato palla a René Higuita, il quale si era avventurato in un improbabile dribbling all’interno della sua metà campo. In seguito a questa papera, la quale sancì l’eliminazione dal mondiale, René non subì nessuna vendetta una volta rientrato in patria. Lo stesso, purtroppo, non si è potuto dire di Andrés Escobar, uno dei calciatori della Colombia del 1994.

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Lo scorpione di René Higuita.
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Morire per un autogol

Andrésdi Medellin come il suo omonimo Pablo, è cresciuto calcisticamente nell’Ateltico Nacional, la squadra più blasonata di Colombia. Nel 1989 conquistò la Copa Libertadores, vincendo in finale ai rigori contro i paraguaiani dell’Olympia di Asunciòn. Qualche mese dopo la squadra di Medellin volò a Tokyo per giocarsi, contro il Milan di Arrigo Sacchi , la Coppa intercontinentale. Andrés nonostante sia molto giovane (ha solo 22 anni) è già il leader difensivo del Nacional, squadra che riesce a inchiodare i rossoneri sullo zero a zero fino a un minuto dalla fine dei supplementari, quando un calcio di punizione di Alberico Evani regalò il titolo al Milan. Sembra che Sacchi si fosse innamorato di Andrés Escobar e lo volesse a Milano come riserva di Franco Baresi, nel ruolo di libero. I mondiali del 1994, però, furono deleteri per quella Colombia piena di stelle. Persero inspiegabilmente la prima partita contro la Romania e, nella seconda, dovettero affrontare i padroni di casa degli Stati Uniti: i cafeteros persero anche questa, per 2-1, a causa di un autogol dello stesso Escobar.

Il rientro in patria non fu semplice, infatti i giocatori in pochi mesi passarono da eroi, in seguito alla straordinaria vittoria in Argentina, a personaggi invisi alla popolazione. Non era, chiaramente, solo una questione patriottica: in tanti, tantissimi, credendo nella qualità di quella nazionale puntarono moltissimi soldi sulla vittoria finale, o comunque su un ottimo piazzamento. Il 2 luglio del 1994, Andrés scosso per l’eliminazione, andò a mangiare, con la fidanzata, in un bar di Medellin, convinto forse che la sua città e la sua gente gli avrebbero potuto perdonare un errore sportivo. La vita, d’altronde, deve andare avanti. Non fu così. Nel parcheggio del bar Padua, un gruppo armato lo freddò con 12 colpi di mitraglietta. Andrès morì in seguito a un conflitto a fuoco, esattamente la stessa sorte che toccò al più celebre Pablo qualche mese prima, sempre a Medellin. Il movente preciso dell’omicidio non si è mai venuto a sapere, le ipotesi ovviamente riguardano il giro delle scommesse clandestine e il mondo del narcotraffico. Qualcosa di maledettamente usuale, in quella Colombia dei primi anni ’90.

Colombia
La prima pagina del 3 luglio 1994,
www.as.com

 

Giacomo Van Westerhout

Classe 1992, possiedo una laurea magistrale in ambito umanistico. Maniaco di qualsiasi cosa graviti intorno allo sport e al calcio in particolare, nonostante da sportivo praticante abbia ottenuto sempre pessimi risultati. Ho un debole per i liquori all'anice mediterranei, passione che forse può fornire una spiegazione alle mie orribili prestazioni sportive.

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