Il giorno del ricordo è stato istituito nel 2004 per ricordare le tragedie del confine orientale, in particolar modo gli eccidi delle foibe e l’esodo degli istriani, fiumani e dalmati dai loro territori di insediamento storico che nel secondo dopoguerra sono passati alla Jugoslavia. Questa immane tragedia è stata restituita alla memoria solo recentemente. “Il Parlamento con decisione largamente condivisa ha contribuito a sanare una ferita profonda nella memoria e nella coscienza nazionale”.
Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato le vittime delle foibe e l’esodo degli italiani giuliano-dalmati nel corso del Giorno del Ricordo, celebrato a Montecitorio. “Per troppo tempo – ha aggiunto il Presidente – le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell’esodo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia”. Almeno diecimila persone, negli anni drammatici a cavallo del 1945, sono state torturate e uccise a Trieste e nell’Istria controllata dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito. E, in gran parte, vennero gettate (molte ancora vive) dentro le voragini naturali disseminate sull’altipiano del Carso, le “foibe”. A Trieste, a differenza delle altre città italiane, la liberazione alla fine della seconda guerra mondiale, è coincisa con l’inizio di un incubo: per quaranta giorni le truppe partigiane e comuniste del maresciallo Tito hanno imperversato a Trieste torturando, uccidendo e deportando migliaia di cittadini innocenti, o talvolta colpevoli solo di essere italiani o anticomunisti. Anche questa, come quella delle Foibe, è una pagina dimenticata nella storia d’Italia. È una pagina spesso dimenticata anche a Trieste: da chi la ha vissuta per il desiderio di cancellare il ricordo di un incubo. E da chi, più giovane, non ha potuto sentirne parlare alla televisione o sui libri di scuola.
Noi vogliamo raccontare, ricordare e capire. “Ora non sarà più consentito alla Storia di smarrire l’altra metà della Memoria. I nostri deportati, infoibati, fucilati, annegati o lasciati morire di stenti e malattie nei campi di concentramento jugoslavi, non sono più morti di serie B.” (Annamaria Muiesan – Testimonianza). 350.000 italiani sono stati costretti a fuggire dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia lasciando la famiglia, gli amici, la casa, i beni, i ricordi, le tradizioni, le proprie radici culturali legate a suoni, sapori, odori della terra in cui si è cresciuti e al legame inscindibile con i propri morti.
Albert Camus nel suo libro, La peste, scrisse: “La profonda sofferenza di tutti i prigionieri e di tutti gli esuli è vivere con una memoria che non serve a nulla.” Sulle foibe, in particolare, la letteratura è scarsissima: a parte una scarsa bibliografia, restano molte testimonianze personali di qualche scampato, e qualche studio del genere del samizdat pubblicato quasi clandestinamente, fuori di ogni circuito regolare (basti pensare che nemmeno Il libro nero del comunismo ne parla, anche se pare che l’argomento troverà posto nella seconda edizione). Bisogna lanciare un appello contro il tipico ideologismo italiota, quello che classifica le morti in base alle circostanze storico-politiche.
Riscrivere la storia, o occultarla, è quanto di più vigliacco si possa fare. Significa ledere la sacralità della memoria, che, legata alle nostre radici, è fonte della nostra critica e del nostro pensiero. La vera storia non può essere che revisionista, se vuole davvero approfondire le indagini sui fatti e la loro analisi. A quando, sui libri ma soprattutto nelle coscienze, la verità sulle foibe?
Francesco Costantini
Ben venga il ricordo delle vittime delle foibe. A quando il ricordo dei dalmati sterminati nei campi di concentramento fascisti?