La chiamano Conservation photography e può essere intesa come una disciplina che fonda le sue radici nell’essenza della fotografia stessa: utilizzare le immagini per rendere le persone coscienti su determinati temi o per rispondere a questioni ambientali a diverse scale. Sono queste funzioni insite nella neonata fotografia, in quel filone chiamato fotografia documentaria, che oggi continua a sfruttare questo suo enorme potenziale. Solo negli ultimi anni infatti questo approccio fotografico ha fondato l’International League of Conservation Photographers (iLCP). Approccio o categoria, è una missione che vede impegnati un gruppo di fotografi in tutto il mondo, pronti a spendere le loro energie per sfruttare il potere della fotografia di conservare gli spazi naturali. Qui un video in cui sono i fotografi stessi a rispondere alla domanda “What is Conservation Photography?”.
Una persona che sicuramente va menzionata per aver contribuito in prima persona a consegnare la Conservation Photography a nome e status all’interno della fotografia come arte e strumento è Cristina Mittermeier. É la fondatrice dell’iLCP e ha lasciato da poco la carica di presidente per concentrarsi appieno sui progetti di fotografia.
La fotografa Mittermeier è anche un ingegnere biochimico concentrata sulle specie marine: spaziando tra svariati argomenti, usa la fotografia in modo da avere più impatto, un contatto più immediato con la conservazione.
Le sue abilità e la sua dedizione alla fotografia di conservazione sono evidenti a molti: nel 2010, è stata nominata tra i 40 fotografi più influenti del Nature Photographers di Outdoor Photographer Magazine, ed è stata nominata fotografa di conservazione dell’anno da Nature’s Best Fotografia.
Mittermeier ha scritto Farawell to a wild river, un addio al cuore selvaggio del fiume, come parte del suo progetto ventennale con la nazione indigena Kayapo, nell’Amazzonia brasiliana, dove compaiono non solo immagini e colori ma anche alcune tra le storie più incredibili di vita indigena.
Un altro nome importante per la Conservation photography, questa volta specializzato negli ecosistemi polari, è Paul Nicklen, biologo di origine canadese.
È stato fotografo del National Geographic Magazine per 15 anni. Ha prodotto 18 storie per la rivista e sta lavorando ad altre indipendenti. Il suo lavoro si concentra sul delicato rapporto tra ecosistemi e fauna selvatica marina.
Con l’accento sulla connessione del pubblico al cambiamento climatico e l’impatto sulla fauna artica e antartica, Nicklen ha pubblicato ben dieci volte in National Geographic. La sua volontà di avvicinarsi alla fauna selvatica, dal nuoto con le foche leopardo, alla spedizione nell’Artico tra i lupi e gli orsi, è al centro del successo della sua fotografia.
Ogni Conservation photographers ha una specializzazione, una predilezione verso un tema principale; per Alison Jones è l’acqua: ha trascorso 25 anni a fotografare spazi naturali tra Africa e le Americhe e ha ricevuto anche un diploma onorario in fotografia presso il prestigioso Brooks Institute.
Volando come copilota e armata di macchina fotografica, Alison riprende oltre 2.000 miglia di vie navigabili africane e mentre si avvicina al monte Kilimanjaro, si concentra su questioni di disponibilità, qualità e utilizzo dell’acqua.
Nel 2007 ha fondato senza scopo di lucro No Water-No Life nel quadro di un progetto documentario a lungo termine. Progetto che matura dopo anni trascorsi a fotografare gli ecosistemi, le aree protette e la fauna selvatica in tutto il Kenya. Il progetto utilizza la fotografia e la scienza per aumentare la consapevolezza della crisi dell’acqua dolce globale.
Mentre molti occidentali pensano che la crisi dell’acqua sia qualcosa che accade solo in aree aride sovrappopolate come l’Africa e l’India, è presente invece una crisi d’acqua dolce in tutto il mondo, poiché troppe persone sprecano ne sprecano troppa e abusano aree di spartiacque. Niente racconta questa storia in modo più efficace delle immagini.
No Water-No Life: tutto ha inizio durante la sua spedizione nel Kenya del 2009 e in Tanzania per documentare gli impatti della deforestazione a valle della foresta di Mau – la sorgente del fiume Mara. A causa degli effetti di una siccità di 3 anni, i soggetti intervistati descrivono le minacce causate dai flussi d’acqua fortemente ridotti nel fiume Mara e i piani attuali per salvare la foresta e il fiume stesso.
Un’altro influente fotografo è sicuramente Robert Glenn Ketchum che, negli ultimi 45 anni, ha prodotto immagini, scritti, mostre, numerosi libri insieme ad attivismo personale, che hanno contribuito a definire la fotografia di conservazione.
Allo stesso tempo, Ketchum ha decenni di stampa a colori alle spalle e i suoi lavori sono uno dei corpi più unici di lavoro nella fotografia a colori contemporanea. Le traduzioni tessili delle sue fotografie create in Cina dagli inizi degli anni ’80 sono tra i tessuti più belli e complessi dell’arte contemporanea.
Ketchum è stato nominato dalla rivista Audubon come una delle 100 persone che hanno modellato il movimento ambientale del XX secolo.
Anche Frans Lanting (qui in un nostro articolo in archivio) fa parte degli associati senior del progetto International League of Conservation Photographers (iLCP). La lista è lunga, le storie raccontate e portate alla luce sono tante, le gallerie di fotografie prodotte sembrano davvero risvegliare il mondo verso la conservazione, la cura, la voglia di scoprire cosa c’è dietro la deforestazione, l’agricoltura del nostro secolo, la scarsità di acqua e ancora. La Conservation photography è in definitiva un’arte che è in grado di parlare e di dare conoscenza, di interrogare e far riflettere su quello che ancora si può fare di buono sul pianeta.