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Partito Democratico: la strada sociale europea per (ri)prendersi il 40%?

Il Pd dovrebbe tornare alle radici cristiano-socialiste e alla sua matrice filoeuropeista per riacquistare i consensi

3 minuti di lettura

Nella guerra intestina che sta progressivamente dilaniando il Partito Democratico ricorre, sempre più sovente, l’appello al cosiddetto “obiettivo 40%“. Questo “target”, che consentirebbe, sulla base della sentenza della Corte Costituzionale, di ottenere il premio di maggioranza, almeno alla Camera, viene rivendicato, a vario titolo, da tutte le varie correnti democratiche. Tuttavia, se ognuno rivendica di possedere la strategia migliore per arrivare al risultato desiderato, in pochi riflettono sulle mosse e quindi sul come arrivarci, ossia su quale programma politico, attorno quale base identitaria, far convergere l’elettorato. Il che non è questione da poco, specialmente per un partito di centro-sinistra, che ha il dovere politico e morale di esprimersi sul modello di società cui ambisce, sia in termini di organizzazione che di valori.

A tal proposito, una delle questioni con cui il PD deve confrontarsi e sulle quali è chiamato a prendere posizione è indubbiamente quella europea. A poche settimane dalle celebrazioni dei Trattati di Roma, e a seguito delle dichiarazioni di Angela Merkel, diversamente interpretate e interpretabili, sulla necessità di pensare ad un’Europa a due velocità, il Partito Democratico è chiamato a scegliere da che parte stare. A tal proposito, la tradizionale posizione filoeuropeista del PD può essere un ottimo punto di vantaggio per i democratici, che possono e devono far leva su questo spirito per ritrovare convergenza interna e raggruppare intorno a sé un elettorato che, in Italia, è ancora fortemente favorevole all’idea di una Unione come “condominio”.

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I risultati di un recente sondaggio d’opinione condotto in sette Paesi membri (Italia, Spagna, Francia, Germania, Regno Unito, Polonia e Svezia) dal team di REScEU (www.resceu.eu), mostrano infatti come, sebbene gli euroscettici facciano sentire la loro voce (circa il 20% del campione crede che l’UE sia ormai una “nave che affonda”), una quota maggioritaria degli elettori italiani (circa il 38%) considera la UE come “casa comune” di tutti gli europei. Non solo il 63% del campione risponde che, in caso di referendum per l’uscita dall’Unione, voterebbe contro.

Alla luce di questi dati, sembra emergere una prima base solida, approssimativamente il 40% dell’elettorato che potrebbe convergere su una piattaforma europea condivisa. Come pensare e declinare questa istanza filoeuropeista diventa allora il secondo obiettivo sul quale i democratici devono trovare convergenza interna e raggruppare il proprio elettorato. A tal proposito alcuni “numeri” potrebbero dare ancora una mano.

Per la prima volta dall’inizio della crisi, nel 2016 l’Eurozona ha chiuso con una crescita superiore a quella degli USA e con un’inflazione al 2%. Il dato riportato dall’istituto di statistica europeo (EUROSTAT), salutato con generale positività, fotografa, tuttavia, una situazione che è fatta certamente di luci ma che nasconde, in realtà, alcune profonde differenze tra i paesi del nord d’Europa, più la Spagna, da un lato, e quelli del sud, con l’Italia in testa, dall’altro. Non solo, se il 2016 ha visto indubbiamente un miglioramento dell’economia della zona-Euro, gli stessi dati dell’istituto di statistica ci ricordano che in Europa vi sono più 27 milioni di famiglie a rischio povertà, che il 27,8% dei minori sono a rischio di esclusione sociale e che 11 milioni di questi sono affetti da concrete condizioni di privazione materiale, ossia non possono permettersi di accedere a beni e servizi considerati dalla società come ordinari. La disoccupazione giovanile, a tal proposito, rimane un problema irrisolto, specialmente per gli stati meridionali, dove questa supera il 40% e dove, nonostante l’aumento degli occupati in termini assoluti, permangono forti ostacoli per i giovani in ingresso nel mondo del lavoro.

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Come ricordato dall’eurodeputato PD Luigi Morgano, sulle colonne de l’Unità:

Il permanere di questi problemi pone quindi il tema dell’occupazione al centro del dibattito europeo e conferma con forza l’idea per cui la priorità dell’Unione sia quella di adottare misure e proporre strumenti volti a favorire l’economia reale e a stimolare il processo di re-industrializzazione del vecchio continente.

Non è un caso che, sempre dal sondaggio di REScEU, emerga come su questi temi specifici vi sia, a livello sia italiano che europeo, una inaspettata disponibilità all’aiuto reciproco. Ad esempio, sottolinea il coordinatore del progetto, il professor Maurizio Ferrera, una schiacciante maggioranza degli italiani (77%) si dichiara a favore di un fondo europeo che aiuti i Paesi in difficoltà a combattere la disoccupazione. E il 90% ritiene che sia compito della Ue fare in modo che nessun cittadino rimanga senza mezzi di sussistenza. «Un’Europa quindi meno ossessionata dai decimali di deficit»– conclude Ferrera – «e più attenta alla dimensione sociale potrebbe essere un’ottima base di consenso».

Quali conclusioni trarre dunque? Verrebbe da dire, conclusioni ovvie e prevedibili: se il PD vuole ritrovare l’unità interna e creare una solida base programmatica e politica deve presentarsi come forza europeista di sinistra. Dopotutto, le radici cristiano-socialiste dei democratici trovarono convergenza nel progetto del PD proprio su questi punti.

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Francesco Corti

Dottorando presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano e collaboratore dell'eurodeputato Luigi Morgano. Mi interesso di teorie della democrazia, Unione Europea e politiche sociali nazionali e dell'Unione. Attivo politicamente nel PD dalla fondazione. Ho studiato e lavorato in Germania e in Belgio.

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