«Io non sono uno stronzo, sono il re degli stronzi»
(Georgio, alias Vincent Cassel in Mon Roi – il mio re)
Cadere è facile, cadere fa male. Si può inciampare mentre si corre trafelati per raggiungere l’autobus che scappa via, si può non vedere un gradino mentre si scendono le scale per non far tardi al lavoro. Figuriamoci quanto possa far male cadere sugli sci, quando divorati dalla rabbia si imbocca una discesa ripida che come regalo restituisce un ginocchio rotto e un periodo di riabilitazione forzata in un centro di fisioterapia. Cadere e restare ammaccati, prendersi tempo e sperare di guarire.
Ma quanto ci vuole per rimettere insieme i pezzi di un cuore andato in frantumi? Quanto una mente che si è macerata senza trovare risposte? Le ferite sul corpo si infettano ma possono guarire, quelle dell’anima, a volte, hanno bisogno di anni per cicatrizzare in superficie.
Tony (Emmanuelle Bercot, miglior interpretazione femminile al 68° Festival di Cannes per questo Mon Roi – Il mio re, di Maïwenn Le Besco), si è fratturata il ginocchio che «è simbolo di qualcosa che fatichiamo a lasciarci alle spalle», come un fallimento, un lutto, un amore. Deve fare riabilitazione, altrimenti non recupererà appieno l’uso della gamba. Tanta fisioterapia, riposo e buona aria. Per la riabilitazione del cuore, invece, c’è bisogno di un po’ più di tempo.
Il periodo di degenza, in ogni caso, sarà lungo, e solitario. La mente potrà spaziare, affrontando i fantasmi che si erano nascosti in una parte segreta di essa. Prendere fiato e ricominciare, chiudere gli occhi e visualizzare.
Ecco allora Georgio (Vincent Cassell), nella sua irriverenza mischiata a seduzione. Eccolo mentre nel club si muove brillantemente tra champagne e belle donne, tra divertimenti e occhiate languide. Eccolo mentre con una mano si spoglia dei vestiti, eccolo tra le coperte di un letto da divorziata che ha sofferto per tornare in piedi. Georgio adatto alle storie di una notte, Georgio che invece “rimane” dieci anni.
Che cosa avrà da spartire con Tony, “avvocato delle cause perse”, non lo scopriremo mai. Se non che il cuore ha le sue ragioni, che la ragione – come insegna l’eternamente citato Blaise Pascal – non conosce. E così il «re dei bastardi» diventa il mon roi, guarisce Tony da un matrimonio andato in frantumi, da un marito che la considerava “larga” anatomicamente e da una stima per se stessa che fatica a decollare. La ama, la rende donna, la rende madre.
Poi però la distrugge, con la stessa naturalezza della conquista. I tradimenti, il problemi col fisco, le serate passate fuori mentre lei lo aspetta a casa. È così Georgio, è nella sua natura. Il mon roi è un re ragazzino in un mondo di adulti, un viveur scapestrato stretto nei panni di padre e marito “comune”. La violenza mentale ha molto più forza di quella fisica, si alimenta della psicologia altrui per gonfiare la propria. Fa leva sulle insicurezze dell’altro e accresce il proprio ego, si insinua nelle paure recondite condizionando i comportamenti. Georgio abusa di Tony senza metterle le mani addosso, la rende passiva e senza più aspirazioni.
Com’è possibile, allora, che duri così tanto? Dov’è l’avvocato che ha studiato per combattere, dov’è la donna forte che ha superato la solitudine e l’abbandono? C’è, ma è in impasse. Regina incatenata nel regno del suo re, creta plasmabile nelle mani del partner. Colei che ha difeso persone – buone e cattive – ora difende tutti, tranne se stessa.
Non è facile guardare con raziocinio un amore “malato” quando a viverlo si è una delle due parti, soprattutto quella più debole. La difficile dipendenza dal cuore e dal pensiero ci pone davanti alla complessità della vita e dei sentimenti senza possibilità alcuna di arrivare a conclusioni, sensate o sragionate. Né con te né senza di te, anche se ci si logora, anche se si cade nel gorgo più nero. È una piaga, è un dolore, è l’impossibilità di vivere senza e, al contempo, vivere con.
Tony reagisce, ci prova a salvarsi, ma la ristrutturazione emotiva non combacia con i tempi della guarigione al ginocchio. La fragilità interiore ha un parallelismo costante con la condizione fisica della protagonista, “inferma d’amore” che ha bisogno di tempo, lavoro e tenacia per (ri)amare se stessa. Ci riuscirà, o forse no, non è dato saperlo. E in fondo non importa perché alcune volte, al di là di facili semplificazioni, non è possibile sostituire una persona. Si compie il proprio percorso, ci si ricostruisce mente e corpo, ma la ferita sotto continua a stillare sangue. È l’irragionevolezza dell’amore, l’assurdo potere di un Re di cuori capace di vincere a mani basse la partita più difficile dei sentimenti umani.