Sembra di entrare in punta di piedi nella camera di un Hotel anni ’20, l’atmosfera che facilmente si confonde tra una pittura, con una granulosità da scuola Ashcan e un atto sessuale irrequieto. Non è solo una sensazione palpabile: è l’insieme dei lavori presentati, anno dopo anno, dalla fotografa Aneta Bartos.
Polacca di origini si trasferisce nel quartiere Canarsie di Brooklyn all’età di 16 anni e, pur non sapendo una parola di inglese, si inserisce ben presto negli usi e costumi della grande Mela, riuscendo a tirarne fuori un lato esibizionista e allo stesso tempo voyeur, ma con un approccio del tutto intimo.
Ritrattista nata, cresce studiando fotografia fin dal liceo e oggi arriva a unire, nelle sue serie fotografiche, la carica sensuale e la vulnerabilità del corpo: che sia maschile o femminile poco importa, il suo sembra essere più un’indagine sottile e sotto pelle dell’intimità dei suoi soggetti, non semplicemente per spiarli. Un intento non facile, un atto di voyeurismo senza scandalo.
Tra i primi progetti, e anche tra quelli più provocatori, 4 Sale esposto nel 2010 al Bond Studio di New York è stato il culmine dell’unione creativa tra Aneta, Elle Muliarchyk, Yana Toyber e Martynka Wawrzyniak.
Ciascuna delle artiste ha prodotto un lavoro per cercare di estrapolare il ruolo della sessualità, dell’esibizionismo e appunto del voyeurismo nella società. La scelta di Bartos ha letteralmente messo in scena il corpo femminile, puntandosi sul ruolo delle norme socialmente accettate sul sesso, sul corpo, sull’abbandono, sulla volontà del piacere e sulla loro rappresentazione.
Circondata da corpi femminili c’è un’artista libera che ha davanti un mondo saturo di corpi esposti sotto ogni luce e di cui decide di nascondere la superficie, di descrivere con una linguaggio diverso, sfidandosi anche a posare e rendersi in qualche modo vulnerabile di fronte all’obbiettivo.
Non è un nudo scontroso, non cade nello sfacciato e sembra piuttosto ricordare i lavori di Margaret Cameron o Edward Steichen per quell’alone definito tra fine ‘800 e inizio ‘900 secolo.
Ogni fotografia diventa l’apprendimento di una vertigine e la necessità di salvare ciò che c’è di più fugace. Abbraccia la fragilità dell’incertezza, rimanda a corpi che diventano candele. Bruciano debolmente e si fondono insieme in un abrasione lenta. La visione profonda e soffocata in un gesto sobrio, che somiglia quasi a un rituale fotografico buio ma carico di luce.
Aneta Bartos spiega che il lavoro «l’ha resa consapevole dell’ordine patriarcale stabilito nell’arte e nella società, una sfida nel mio lavoro e nella mia vita di tutti i giorni».
Lo sguardo nel lavoro di un’artista è un elemento chiave e per Aneta è particolarmente importante quello dell’uomo. Secondo lei, «lo sguardo dell’uomo suggerisce che le donne siano obbligate a vedere il mondo e la loro condizione sessuale attraverso i loro occhi; Le donne devono essere considerate non più come spettatrici». (Intervista Elephant, dicembre 2015)
Le fotografie di Aneta Bartos sono sensuali come sottilmente aggressive. Giocando con i suoi modelli l’artista suggerisce un piacere, una tenerezza che possono sorgere tra le donne. Un’evasione dalle pose classiche per sfiorare quelle più ossessive che diventano in qualche modo cerimoniali, mentre si scopre la sensualità del corpo che può assumere forme paradossali.
L’altro progetto noto di Aneta Bartos indaga invece il genere opposto. Dal titolo Boys decolla proprio dove 4 Sale si è concluso con una serie di artisti di sesso maschile, art director e galleristi, tra cui il suo ragazzo, fotografo astratto, catturati in momenti intimi e personali.
Boys è una serie in cui Bartos registra momenti sessuali privati dei suoi soggetti: uomini che si lasciano fotografare, come “muse” femminili, mentre si masturbano in piccole stanze del Carlton Arms Hotel di New York City. É un progetto che si scosta rispetto alla solita rappresentazione della vulnerabilità femminile e maschile, serve anche a far reagire lo sguardo maschile presente in gran parte della storia dell’arte.
I modelli si distinguono in base ai segni particolari ma la sensazione, su pellicola stampata ancora di più, è quella di più piani che si fondono con le pareti mentre le figure vengono avvolte nelle tenebre. Le composizioni assumono sognanti letture del tutto ambigue.
«Gli uomini sono a disagio quando capiscono di essere visti come un oggetto da una donna. E diventano vulnerabili» dichiara Aneta.
Realizzate con una fotocamera medio formato, spesso usando pellicole scadute e Polaroid, sono state scattate con la luce disponibile dalle camere d’albergo, con conseguente sgranato già ritrovato nei suoi lavori. Il culmine della serie è stata la mostra, dal 31 gennaio al 21 Febbraio 2013, in due stanze della stessa struttura in cui sono state scattate le fotografie, invitando lo spettatore a relazionarsi tra Aneta e i suoi modelli, che sono tutti suoi stretti amici.
Spider Monkeys (Vol I e II) è l’altra serie realizzata poco più tardi. Le ragno-scimmie sono forme mitologiche composte per metà da uomo e metà animale. I Maya vedevano come devianti sessuali e che Aneta reinterpreta come un riflesso narcisistico, un alter ego, dove due parti di un tutto compongono personalità separate.
Spider Monkeys è dove gli opposti si incontrano e si fondono in posizioni che sfiorano l’assurdo. «Un luogo di pericolo e di trascendenza, dove ci si può perdere, ma anche ritrovare, come una rinascita».
«Ma nei corpi nudi io cerco lo spirito del corpo»
Negli ultimi progetti realizzati, Dad e Family Portrait, lo studio si incentra sul padre, appassionato body-builder ritratto in ambienti famigliari e grazie all’uso costante dell’autoritratto.
Aneta Bartos ha la capacità di offrire fotografie di stanze scure tenute accese dai corpi, dalla sensualità e dall’erotismo: tutti elementi bilanciati da una personale visione dell’essere umano. Esistono strane estasi da cui lo sguardo riesce difficilmente a discostarsi, proprio nel momento in cui la fotografia diventa il luogo dove le passioni, le paure e i tabù trovano casa.