The Wall è uno di quei dischi che tutti hanno sentito almeno una volta. Il ritornello «All in all it’s just another brick in the wall» dice qualcosa anche alle orecchie più musicalmente avulse, anche a chi crede che Pink Floyd sia il nome di un profumo per signora; perfino a chi considera Radio Italia l’apice della divulgazione musicale mondiale.
Una volta bypassata – si spera senza troppi traumi – questa parte di pubblico inconsapevole e involontario, arriviamo al dunque. The Wall è un capolavoro. Lungo le 26 tracce di questo doppio album uscito il 30 novembre 1979 (lo stesso anno in cui la sempre apprezzatissima Margaret Thatcher diventò Primo Ministro del Regno Unito) si esprime una sinestesia di vibrazioni acustiche ed emotive che raccontano una storia che racconta mille altre storie. Il filone principale è quello di Pink, un essere umano che nel corso dell’album sentiremo nascere, crescere, intristirsi, isolarsi, alienarsi dal mondo, perdere ogni contatto umano, disperarsi, scivolare in un “confortevole torpore”, diventare pazzo e, alla fine… non si sa.
La genesi di questa storia si presenta sulle note di In the Flesh. Il brano è una una ballata in 3/4 in cui il ritmo morbido fa a cazzotti con il passo di marcia della batteria di Nick Mason e la ruvidità della chitarra di David Gilmour. Il pezzo si conclude con i primi vagiti di Pink e la picchiata di un bombardiere tedesco Stuka. Mentre il bambino viene al mondo, suo padre viene ucciso in guerra.
I primi anni della vita di Pink trascorrono tra la disperazione di non aver mai conosciuto suo padre e la tirannia dei suoi maestri di scuola, che propinano dolci insegnamenti a suon di righellate sulle mani e legge marziale. «Wrong! Do it again!» «If you don’t eat your meat you can’t have any pudding. How can you have any pudding if you don’t eat your meat?». Another Brick in the Wall è un passaggio chiave della vita di Pink, il primo scontro personale con un mondo esterno a lui ostile, che non lo rispetta e vuole plasmarlo come meglio crede. Ma fuori dal contesto dell’album, questo brano è diventato un vero e proprio inno contro l’uniformazione del pensiero e ogni tipo di inquadramento, che sia scolastico, militare, politico o ideologico. Another Brick in the Wall è un grido di ribellione al conformismo, alla dittatura, alla depersonalizzazione dell’essere umano, alla creazione di “masse” invece che di singoli esseri pensanti. A uno scenario distopico di matrice Orwelliana ma più vero che mai. Allora come oggi.
Pink cresce e comincia ad alienarsi, e la madre non gli è certo d’aiuto. Paranoica e oppressiva, spinge suo figlio a isolarsi ancora di più dal mondo esterno nel quale non si sente a suo agio. Dopo le fondamenta gettate dalla guerra, dal lutto e dalla scuola, è proprio la mamma a incoraggiarlo a impilare i mattoni successivi, i primi che Pink poggia consapevolmente. Con l’inquietante tenerezza di una ninna nanna psicopatica, la mamma rassicura il suo bambino, accompagnata dalla chitarra acustica di Gilmour: «Oh baby, of course mama’s gonna help build the wall».
I pezzi seguenti narrano il successo a doppio taglio di Pink, paradigma di quello di Roger Waters, ma forse non solo. Un destino simile è toccato in qualche maniera a Syd Barrett e a molti altri musicisti, vittime di una fama che li ha portati a coprirsi il volto e tapparsi le orecchie davanti a una folla di sconosciuti che urlavano estasiati i loro nomi. E a diventarci pazzi.
A causa della sua vita sregolata da rockstar e della sua introversione sempre più acuta, Pink sta perdendo sua moglie, che lo ha già rimpiazzato con un altro. Preso dalla rabbia e dalla disperazione, decide di estendere il suo muro, separandosi definitivamente da tutto e da tutti. L’oblio malinconico e il tentato suicidio di Pink in Goodbye Cruel World fanno da chiusura al primo disco.
The Wall è il disperato lamento di un alienato. C’è molto della storia personale di Waters in questo album, a partire dal padre morto in guerra, per finire con lo stato di spossatezza fisica e mentale in cui Waters si trovava quando buttò giù le prime idee per il disco, sfiancato dal tour di Animals e costretto a tirare avanti una data dopo l’altra a furia di iniezioni di antidolorifici. «Just a little pinprick. There will be no more “AAAAH!” but you may feel a little sick». [Comfortably numb]
Ma è anche un appello a non chiudersi in se stessi, a non barricarsi dietro a un muro, a essere coraggiosi e affrontare i dolori del mondo esterno, a scendere a patti con le emozioni invece di incarcerarle, perché il prezzo da pagare per una scelta del genere è altissimo. E Pink se n’è reso conto troppo tardi. Quando arrivano l’arpeggio di chitarra e il basso fretless di Hey You ad aprire il secondo disco, è già tutto perduto da un pezzo. O forse no. Lo lasciamo scoprire a voi, se ancora non l’avete fatto.