La scomparsa improvvisa ha lasciato dietro di sé una scia interminabile di domande che, in parte, non hanno ricevuto risposta.
Pino era un uomo schivo, ricorda il fratello Nello, ma aveva dedicato a Napoli la sua intera carriera.
Napul’è è stato ed è il manifesto del suo grande amore per la città.
Nonostante il suo affetto incondizionato per il territorio partenopeo, però, il cantante (che avrebbe compiuto 60 anni a Marzo) era andato a vivere a Magliano, in Maremma, in aperta campagna, malgrado le sue condizioni fisiche precarie (lui che da 27 anni lottava con un cuore malato) richiedessero un posto in cui i soccorsi avrebbero potuto essere più semplici.
Una serie di inconvenienti che hanno segnato un destino beffardo. Con doppi funerali, a Roma e a Napoli, la salma sarà poi tumulata in Maremma.
Con la sua voce inconfondibile ha cambiato modo di fare musica d’autore. Abile nel sapere comporre melodie, sfruttava rabbia e ironia per creare testi che lo hanno reso leader incontrastato del nuovo modo di far musica. Ed è stata propria la sua capacità di unire culture diverse sotto un unico modello a dar vita ad un’apertura mentale fuori dagli schemi.
Con Pino Daniele è venuto a mancare un gancio che ha saputo tenere insieme diverse generazioni. Un simbolo. Padre di un popolo che aveva imparato ad amare la sua arte. Un popolo che ora piange e lo commemora. Un popolo affranto, addolorato, spezzato, tanto da organizzare in poche ore un Flash Mob in sua memoria, al quale hanno partecipato più di centomila persone, in Piazza Plebiscito.
Pino era per Napoli ciò che Napoli avrebbe voluto sempre essere. E l’ha lasciata troppo presto, quando lei ancora non sapeva difendersi da sola; quando ancora non sapeva essere realmente fiera di ciò che è.
Con la morte di Pino Daniele si è perso un pezzo di una grande città che, purtroppo, non tornerà più indietro.
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