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Fonte: www.left.it

Referendum, le ragioni del No:
intervista a Salvatore Settis

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3 minuti di lettura

Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, ex direttore della Scuola Normale di Pisa, è ormai da tempo uno dei protagonisti più importanti della campagna referendaria. Recentemente, sul quotidiano la Repubblica, il professore ha indirizzato una una lettera aperta al Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, illustrando i suoi dubbi e le sue perplessità sul testo di riforma della Costituzione.

Richiamandosi alla cultura politica e alla provenienza ideologica dell’ex leader comunista, oltre che all’esperienza del presidente emerito, Settis ha manifestato molti dubbi sulla riforma costituzionale che i cittadini italiani saranno chiamati a approvare o respingere il prossimo 4 dicembre. 

Abbiamo incontrato Settis a lato di un incontro tenutosi al Parlamento Europeo – dall’eloquente titolo L’erosione della Democrazia in Europa, organizzato dall’eurodeputata Barbara Spinelli insieme al francese Pascal Durand – e ne abbiamo approfittato per farci spiegare perché ha deciso di sostenere il No.

Professor Settis, se dovesse elencare i principali motivi per cui questa riforma costituzionale non va bene, quali indicherebbe?

«Come ho già avuto modo di ricordare nella mia lettera al presidente Napolitano, il primo punto è che questo nuovo testo ricalca pienamente quello proposto da Silvio Berlusconi nel 2006 e che già fu bocciato dagli italiani. Vengono infatti rafforzati i poteri dell’esecutivo, con la cosiddetta possibilità di votazione delle leggi “a data certa”, laddove il governo lo ritenga opportuno. Non solo, quello che viene chiamato Senato “delle autonomie”, in realtà diventerà una camera di non eletti, che avranno il potere di bloccare le leggi e il diritto di intervenire in numerosissime materie, come illustrato nel confusionario e pasticciato articolo 70. Non solo il processo legislativo viene assolutamente rallentato dal momento che si crea una molteplicità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse e modalità di intervento del nuovo Senato, con rischi di incertezze e di conflitti. Quello che però mi spaventa è lo svuotamento di potere degli organi di garanzia, che la riforma costituzionale, in combinato disposto con la legge elettorale, mina fortemente».

Si spieghi meglio. In realtà i poteri della Corte Costituzionale restano invariati e il quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica si alza dal 50% + 1 degli aventi diritto dal terzo scrutinio ai 3/5 dei votanti dal settimo. Cosa non funziona?

«La questione è molto semplice. La maggioranza potrebbe eleggere il presidente della Repubblica da sola, dal momento che se l’opposizione esce dall’aula abbassa notevolmente il quorum richiesto. In questo modo, l’opposizione è obbligata a stare in aula e viene privata del diritto di protestare e denunciare pubblicamente la propria disapprovazione. Non solo. Il Presidente della Repubblica avrà la responsabilità e il compito di nominare cinque giudici della Corte Costituzionale e altri cinque saranno nominati dalla Camera (3) e dal Senato (2). In questo modo, il partito di governo avrà il potere di controllare anche, oltre al Presidente della Repubblica, la Corte e così alla democrazia sarà lasciato veramente poco spazio. Il Presidente della Repubblica nominerà poi cinque senatori in carica per tutta la durata del suo mandato. Questi ultimi sono rappresentanti delle autonomie territoriali e delle regioni, come previsto dal nuovo testo costituzionale e quindi si creerà un conflitto tra i senatori scelti dal Presidente, rappresentante della nazione per eccellenza, e i loro colleghi che invece rappresenteranno le regioni. Insomma non possiamo fingere di non capire come la legge elettorale abbia un’incidenza enorme sul sistema che si verrà delineando con la riforma della Costituzione».

Lei, nel suo intervento pubblicato da la Repubblica, ha anche accennato ad un possibile disegno di delegittimazione degli organi di partecipazione democratica, attraverso l’indebolimento del Parlamento rispetto all’esecutivo e un cambiamento degli strumenti referendari. Potrebbe spiegarci meglio?

«Prendiamo una definizione procedurale di democrazia come “quel sistema politico nel quale il popolo può sempre esercitare la possibilità, attraverso contestazione o deliberazione, di definire l’agenda politica” (James Bohman, ndr). Ora, questo è possibile, in una democrazia rappresentativa, se esistono organi intermedi di rappresentanza politica. Con la riforma, tuttavia, viene tolta ai cittadini la possibilità di eleggere i propri senatori, vengono abolite le province, vengono alzate il numero di firme necessarie per una legge di iniziativa popolare e aumentate quelle dei referendum abrogativi. Il Senato sarà un organismo puramente nelle mani dei leader politici, dal momento che non c’è vincolo di mandato, e avrà un’efficacia molto dubbia. I senatori svolgeranno infatti un lavoro part-time, la composizione del Senato sarà variabile, a seconda delle tornate elettorali, e il processo legislativo sarà tanto complicato da paralizzare completamente l’attività legislativa. Cosa fare quindi? Ha quindi ragione il Presidente del Consiglio quando ci ricorda che non vi è nessun articolo della riforma che rafforza i poteri dell’esecutivo. Si dimentica però di tutti quegli articoli che esautorano il Parlamento delle proprie funzioni e allontano il popolo dalla sua possibilità di esercitare piena sovranità. Per queste ragioni, il 4 dicembre siamo chiamati ad una scelta radicale per fermare questa erosione preoccupante della democrazia e, se gli italiani avranno capito la posta in palio, il risultato del referendum sarà un roboante “No”».

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Francesco Corti

Dottorando presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano e collaboratore dell'eurodeputato Luigi Morgano. Mi interesso di teorie della democrazia, Unione Europea e politiche sociali nazionali e dell'Unione. Attivo politicamente nel PD dalla fondazione. Ho studiato e lavorato in Germania e in Belgio.

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