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Silone, dal Pci a Fontamara:
un politico che prende la penna

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Secondo Tranquilli (Pescina, 1º maggio 1900 – Ginevra, 22 agosto 1978), conosciuto con lo pseudonimo di Ignazio Silone, oltre ad essersi egregiamente distinto in politica, a partire dalla fine degli anni Venti si è dedicato con successo alla scrittura narrativa.

«Credevo di non aver più molto da vivere e allora mi misi a scrivere un racconto al quale posi il nome di Fontamara. Mi fabbricai da me un villaggio, col materiale degli amari ricordi e dell’immaginazione, ed io stesso cominciai a viverci dentro. Ne risultò un racconto abbastanza semplice, anzi con delle pagine francamente rozze, ma per l’intensa nostalgia e amore che l’animava, commosse lettori di vari paesi in misura per me inattesa».
(Uscita di sicurezza, 1965, pag. 172)

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Silone è originario della Marsica, in Abruzzo, e si trova proprio nel suo paese natale, Persina, quando questi è piegato dal Terremoto di Avezzano nel 1915. Negli anni successivi al sisma si fa difensore di quei «cafoni» afflitti da ripetute malversazioni ad opera delle autorità e, tra le altre cose, scrive una lettera di denuncia al quotidiano Avanti!: l’operazione non riscuote particolare successo ma senza dubbio segna il sorgere del suo interesse per l’impegno politico a favore dei più deboli; così nel 1917 si trasferisce a Roma e aderisce all’Unione Giovanile Socialista. Due anni più tardi diventa segretario dell’Unione Socialista romana (incarico che gli costerà la bollatura di sovversivo) e quando nel 1921 il XVII Congresso del partito socialista italiano sancisce la spaccatura dello schieramento nasce il Partito comunista d’Italia, tra i cui fondatori si ricordano Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga e lo stesso Silone. Nel 1922 lavora nella redazione de Il Lavoratore quando viene arrestato per la prima volta dalla polizia fascista. Dopo un vario girovagare per l’Europa e dopo aver ricoperto diversi incarichi, nel luglio del 1931 viene espulso dal partito in seguito alla sua dissidenza con la linea stalinista con l’accusa di essere un trotskista.

Lasciata la politica, inizia a dedicarsi alla narrativa: il suo esordio inatteso è Fontamara, la storia di un paese vicino ad Avezzano e delle vessazioni subite dai suoi abitanti, i cosiddetti «cafoni», uscito per la prima volta nel 1932 a Zurigo in traduzione tedesca − a causa della censura fascista. Silone è un politico che prende la penna e riversa in questi suoi esperimenti di scrittura creativa tutta la sua indole democratica e i suoi ideali di lotta in nome della libertà.

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Fontamara è la storia della rottura traumatica di una ciclicità: la ripetizione di consuetudini ed azioni quotidiane dei cafoni fontamaresi e la loro immobilità psicologica derivante dalla rassegnazione ad un destino segnato si frantumano inesorabilmente con il prepotente imporsi nelle loro vite di contadini ignoranti della Storia che fa mostra di sé in maniera violenta con l’incursione in paese delle squadre fasciste che stuprano le donne ed interrogano gli uomini. Certo è riduttivo limitare tale opera alla definizione di romanzo politico, è piuttosto un romanzo anche politico che si configura fin dall’incipit come un’opera d’arte volutamente impura: rovesciando la retorica del bello scrivere il testo si fa referente di una realtà (anche linguistica) più attinente al vero e così le spigolature stilistiche vanno ad abbracciare un progetto ben strutturato che vuole dare davvero voce ai cafoni e ai loro drammi. È infatti un romanzo corale (il cui protagonista è, appunto, una collettività fatta di più voci) in cui però tale coralità non corrisponde a una sorta di legame fra gli individui: certo i personaggi sono tantissimi e si muovono spesso in gruppo ma di fatto ogni cafone pensa per sé, per la sua famiglia, per la sua terra.

«Questi uomini in camicia nera, d’altronde noi li conoscevamo. Per farsi coraggio essi avevano bisogno di venire dì notte. La maggior parte puzzavano di vino, eppure a guardarli da vicino, negli occhi, non osavano sostenere lo sguardo. Anche loro erano povera gente. Ma una categoria speciale di povera gente, senza terra, senza mestieri, o con molti mestieri, che è lo stesso, ribelli al lavoro pesante; troppo deboli e vili per ribellarsi ai ricchi e alle autorità, essi preferivano di servirli per ottenere il permesso di rubare e opprimere gli altri poveri, i cafoni, i fittavoli, i piccoli proprietari. Incontrandoli per strada e di giorno, essi erano umili e ossequiosi, di notte e in gruppo cattivi, malvagi, traditori. Sempre essi erano stati al servizio di chi comanda e sempre lo saranno. Ma il loro raggruppamento in un esercito speciale, con una divisa speciale, e un armamento speciale, era una novità di pochi anni. Sono essi i cosiddetti fascisti. La loro prepotenza aveva anche un’altra facilitazione. Ognuno di noi, fisicamente, valeva almeno tre di loro; ma cosa c’era di comune tra noi? che legame c’era? Noi eravamo tutti nella stessa piazzetta ed eravamo nati tutti a Fontamara; ecco cosa c’era di comune tra noi cafoni, ma niente altro. Oltre a questo, ognuno pensava al caso suo; ognuno pensava al modo di uscire, lui, dal quadrato degli uomini armati e di lasciarvi magari gli altri; ognuno di noi era un capo di famiglia, pensava alla propria famiglia. Forse solo Berardo pensava diversamente, ma lui non aveva né terra né moglie».

Ad ogni modo, Silone mostra una certa tendenza all’esagerazione e all’esasperazione della durezza delle condizioni di vita dei cafoni meridionali mettendo in atto un’opera di deformazione. La ruvidezza di tale scenario (alcuni parlarono addirittura di mancanza di umanità in Silone), può essere tuttavia ricondotta a dispositivi di alterazione che hanno come fine la denuncia dell’oppressione mediante l’uso di immagini iperboliche.

Ecco cos’è Fontamara: un’opera di denuncia. Non da leggere solo hic et nunc ma anche come l’universalizzazione di una condizione che si staglia a simbolo di più e più sopraffazioni che si oppone al cosmopolitismo borghese. E così Ignazio Silone scavando nelle dure condizioni delle classi contadine, per lo più analfabete, traduce i suoi ideali politici nell’ambito narrativo ottenendo un successo inaspettato che aprirà la strada ad altri capolavori come Pane e Vino, Il segreto di Luca, Il seme sotto la neve o Una manciata di more.

 

 

Camilla Volpe

Classe 1995. Prima a Milano, ora sotto il Vesuvio - almeno per un po'. PhD candidate in Scienze Sociali e Statistiche. Mamma e papà non hanno ancora capito cosa faccio nella vita.

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