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Alle radici del dissesto idrogeologico

2 minuti di lettura

Uno dei principali problemi italiani di oggi, fra le molte cose, è il dissesto idrogeologico. Quotidianamente se ne sente parlare su tutti gli organi di informazione e, purtroppo, sempre quotidianamente si assiste a nuovi casi di alluvioni, frane e allagamenti. La popolazione colpita da queste tragedie naturali se la prende – giustamente – con la classe politica, ritenuta incapace di prevenire con efficacia i problemi derivanti dal maltempo.

Tuttavia è scorretto attribuire per intero la responsabilità all’attuale classe dirigente. Se è vero che comunque degli errori sono stati commessi in tempi recenti, è anche vero che la causa principale del dissesto idrogeologico affonda in tempi più lontani. Potremmo quasi dire che è uno dei problemi strutturali della modernità.

Si prenda il caso di una delle città più colpite negli ultimi anni: Genova. Chiunque abbia visitato il capoluogo ligure, o comunque vi sia anche solo passato a fianco in autostrada, non può non aver notato le schiere di palazzoni che connotano la periferia della città. Questi edifici non sono nati ieri e nemmeno dieci anni fa: sono nati negli anni del boom economico.

Com’è noto, in questi anni si è verificato il più grande movimento migratorio interno all’Italia: centinaia di migliaia di persone si trasferiscono in massa dal meridione alle regioni del nord, alla ricerca di un lavoro. Tra il 1955 e il 1970 in Lombardia si trasferiscono 938.100 persone, in Piemonte 720.500 e in Liguria 226.300. Di questi, in particolare, in 845.100 si stabiliscono a Milano, in 641.800 a Torino e 131.500 a Genova. Le città industriali del nord, letteralmente, esplodono. Nel giro di venti anni questi comuni si trovano a dover ospitare numeri incredibili di persone, equivalenti alla popolazione di intere città. Ad esempio, per quanto riguarda Genova, è come se alla città pre-boom si annettesse l’attuale popolazione che compone Rimini. Ovviamente gli amministratori si sono fatti trovare impreparati: emblematico è il caso di Roma, in cui i nuovi edifici sono stati costruiti direttamente dagli stessi migranti senza fondarsi su alcun piano regolatore. Anche dove questo processo di ampliamento cittadino è avvenuto con più ordine, è pur sempre avvenuto senza criterio: l’importante era costruire, senza curarsi di dove si va a cementificare. Il caso di Genova è appunto eclatante: i palazzoni sorti in questi anni sono sul fianco della montagna. Si consideri ad esempio il “Biscione” nel quartiere Forte Quezzi, o anche il quartiere Ca’ Nuova, sulle alture di Pra’. Ancor più eclatanti, in passato, sono stati i casi della Valtellina (alluvione del 1987) e del Vajont (1963), ma in generale nessuna parte di Italia può considerarsi immune da rischi.

genova biscione

valtellina

vajont

Se oggi si parla di dissesto idrogeologico, la colpa è nell’aver costruito città dentro città senza alcun criterio urbanistico: quella che si potrebbe definire una cementificazione selvaggia. Non si può costruire in tutti i luoghi. Non si può pensare di eludere la natura: essa è più forte di qualsiasi sforzo umano. Bisogna far tramontare definitivamente l’idea per la quale si possa sottomettere la natura. Bisogna invece imparare a rispettarla, nel senso più originario ed autentico che la parola “rispetto” possiede (“Sentimento e atteggiamento di riguardo, di stima e di deferenza, devota e spesso affettuosa” – Vocabolario Treccani).

Chi amministra oggi il territorio non può eludere il problema. Se da un lato quello che già c’è non si può demolire, bisogna, in primo luogo, impedire nuovi abusi edilizi e, in secondo luogo, monitorare costantemente il territorio – in ogni condizione meteorologica – al fine di prevenire disastri ulteriori.

Chiudo con una provocazione: la soluzione migliore per prevenire davvero il dissesto idrogeologico in ogni caso resta distruggere e ricostruire daccapo tutte le città italiane, utilizzando nuovi criteri urbanistici più rispettosi della natura.

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Michele Castelnovo

Classe 1992. Laureato in Filosofia. Giornalista pubblicista. Direttore di Frammenti Rivista e del suo network. Creator di Trekking Lecco. La mia vita è un pendolo che oscilla quotidianamente tra Lecco e Milano. Vedo gente, scrivo cose. Soprattutto, mi prendo terribilmente poco sul serio.

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