Da quando Manuel Agnelli, fondatore e frontman degli Afterhours, nota band italiana alternative rock, ha accettato di far parte della giuria del talent show X-Factor, il mondo musicale e del web si è diviso: uno dei più importanti esponenti della musica underground italiana si è venduto al mondo del mainstream? Lui, che dagli anni ottanta porta avanti con la sua musica la personale battaglia contro il commerciale, osa sedere a fianco di Fedez e Alvaro Soler? Lo fa per i soldi? Lo fa per la gloria? Insomma il dibattito è acceso e vede la maggior parte dei fan della band indignati per la direzione che Agnelli ha voluto far prendere alla sua carriera.
Certo viene da chiedersi se questo sdegno sia giustificato o non sia esageratamente snob, come d’altronde è la maggioranza del pubblico cosiddetto indie. Già gli Afterhours non erano più quelli degli anni Novanta, dopo le firme con le major, dopo Sanremo. Sono andati avanti per la loro strada, non necessariamente sbagliata.
«Mettiamola così: prima di tradirlo, io sono stato tradito dal mio mondo e dall’ideale alternative», ha dichiarato Agnelli a Vanity Fair. «La scelta di partecipare a X Factor è un segnale forte di rottura che voglio dare al mondo indie. Io lo avevo scelto perché per me voleva dire libertà: non solo di fare la musica che volevo, quello è il minimo. Quell’ambiente è cambiato radicalmente, è diventato conformista, di più: fascista».
La sua è una scelta programmatica, non una svendita qualunque: se il mondo della musica alternativa vuole essere schizzinoso, stia pure rinchiuso nella sua torre eburnea lontano dal mondo reale. È un’ideale di poetica molto forte, di chi vuole dialogare con il pop, pur rimanendo saldamente inchiodato al suo stile musicale; una visione della cultura che si allarga, lasciando da parte sofismi e borie di una scena presuntuosa che si gingilla nelle sue vanità.
«Portare la cultura − piccola, pop, definiscila come vuoi anche marginale, però cultura − portarla fra la gente. Questo è il lavoro che dovrebbe fare un intellettuale. L’intelligencija che abbiamo in italia oggi è […] criminale. Non sto andando a fare la rivoluzione dentro la televisione dove non cambierò una virgola, ma andrò ad occupare uno spazio che si è reso disponibile e andrò a portare la mia visione lì ed è la mia ambizione, al di là dei risultati che ottengo. Perché troppo spesso sento dire “non serve a un cazzo”.»
(Manuel Agnelli in un’intervista di Giovanni Ansaldo per Internazionale)