«Le donne erano fittissime», si dice a un certo punto. Sarà, ma ne Il libro di Johnny [1] il genere resta relegato un po’ sullo sfondo, una specie di paesaggio su cui si muovono gli eroi maschili. Il capolavoro di Fenoglio è un romanzo di guerra e la guerra la fanno gli uomini. Alle donne restano le solite funzioni ancillari: prostitute a soddisfare le voglie dei soldati, madri trepide per il destino dei figli, giovani paesane ammirative verso i partigiani. Le funzioni restano quelle delle donne dell’epica, non a caso in molti hanno messo in luce le convergenze de Il libro di Johnny con l’epica classica, Gabriele Pedullà in particolare, con l’Eneide.
Fittissime le donne sullo sfondo, molto rade le figure femminili con uno spessore loro. Se Il libro di Johnny è una questione tra uomini, una certa femminilità si trasferisce però sui paesaggi, la città e la collina. Anzi: due forme opposte di femminilità.
La collina è la mamma. È il quartier generale dei partigiani, dove i fascisti non osano quasi mai avventurarsi. È la culla, il grembo materno. Sarebbe inutile tentare una descrizione di questo paesaggio, ancor oggi noto per i vini e il fascino incantato. Ci pensa già Fenoglio con questo verso: «nitide splendevano nella pura luce le creste di Mango». Le colline ti proteggono dal mondo, all’occorrenza ti occultano, ora con un nebbione ora con la neve, ora con i rittani.
Termine piemontese, i rittani sono un luogo magico, quasi un varco dimensionale. I rittani sono una fenditura, una valle molto scoscesa tra due colline. I partigiani delle Langhe vi giocavano da bambini, ora i rittani li occultano dal nemico. Perché ai fascisti e ai tedeschi nei neri, tenebrosi rittani non è dato di entrare: se inseguono una banda di partigiani, quando ci si approssima al rittano, son costretti a desistere e a sparare vanamente da lontano. I partigiani invece nei rittani ci ruzzolano come da bambini, solo che stavolta il gioco è di quelli da grandi. Rotolii privi di durata, protese nell’interminabile, in cui il partigiano che ne esce non è mai quello che vi è entrato.
La collina è la mamma che sfama, i partigiani si approvvigionano e vengono nutriti dagli abitanti, come neonati che suggono dal seno materno. “Mammellone”, viene infatti definita una di queste alture a un certo punto [2]. In collina vive la Padrona della Langa. Si tratta di una vecchia delle Langhe che alloggia e nutre i giovani guerrieri. Una donna senza paura che quando viene catturata dai fascisti non parlerà. Quasi una divinità ancestrale, una personificazione delle Langhe stesse, con la sua generosità, il suo lezzo primordiale, il suo radicato parlare in dialetto. La padrona delle Langhe ha una cagna, la Lupa per tutti. La Lupa, e subito vien fatto di pensare al canide che allattò Romolo e Remo, viene condotta in città dai fascisti insieme alla sua padrona.
E poi c’è la città, Alba. La “capitale geografica” delle Langhe che ha dato i natali a Johnny/Fenoglio. Alba si contrappone innanzitutto alle colline in virtù della dialettica città-campagna. Le colline danno libertà e isolamento, la città garantisce la civiltà e la compagnia umana. I partigiani si trovano sempre in mezzo alla contesa tra i due poli magnetici.
«Sospirò alla sua città, pensando che la miglior cosa era rivolgersi subito alle colline, le spalle ad essa e la fronte alla ventosa tenebra delle alte colline».
Quando hanno questa, bramano quella. Su in collina Johnny scruta la città col binocolo e gli capita di sentire «La brama della città e la ripugnanza delle colline», ma quando si trova in pianura Johnny prova «un’intollerabile nostalgia per esse (le colline) e agognò di tornarci appena possibile, a marciare su quei ciglioni desolati sotto quel grande vento superiore».
Ma la città piemontese non è solo questo. Alba è nome chiaro, di donna. Se le colline sono la mamma, Alba è la giovane donna, la fanciulla preda del nemico, da riscattare. Alba “cardiopulsa” come un essere vivente. L’ingresso in città dei partigiani ha quasi una valenza erotica («Andate a godervi la città liberata») ed è al tempo stesso un atto santo, accompagnato dai rintocchi festosi dei campanili azionati dalla cittadinanza.
La conquista di Alba è una chiamata sacra, non è giustificata dalla ragione. Johnny la giudica una follia e pronostica che non durerà più di quindici giorni e tuttavia partecipa alla manovra. Alba come Ilio dunque? O Alba come la Gerusalemme di Tasso, coi partigiani come crociati? Fenoglio ha in mente un’altra città. In un dialogo tra Johnny e un concittadino molto dubitoso, quest’ultimo gli domanda le ragioni dell’occupazione: «E perché allora l’avete fatto? – Qualcosa di più forte di noi. – Ah! Non avete resistito alla tentazione! Alba…come la Mecca, insomma! – Forse, ma per molti di noi nel senso religioso della similitudine».
La Repubblica Partigiana di Alba sarà un sogno caduco. I partigiani vi entrano 10 ottobre 1944. I fascisti la riconquistano (“deflorano”, come dice Fenoglio) il 2 novembre dello stesso anno. «E i soldati andarono personalmente a suonarsi le campane».
Note
[1] Fenoglio aveva concepito Primavera di bellezza e Il partigiano Johnny come un unico grande ciclo. Per ragioni editoriali fu poi costretto a scindere le due parti e a sfrondare parecchie pagine. Il libro di Johnny è la ricostruzione da parte di Pedullà del progetto originario.
[2] Curiosamente anche l’altro grande scrittore delle Langhe, Cesare Pavese, paragona la collina a una mammella in Paesi tuoi.
Bruno Contini