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L’erotismo inquieto di Johann Heinrich Füssli

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L’arte non ha nulla a che vedere con la morale. È questo l’imperativo categorico di Johann Heinrich Füssli che, dopo aver compiuto studi ecclesiastici volti a condurlo a un’esistenza morigerata, si trasferì appena ventinovenne nell’Urbe dove, stando alle biografie, condusse vita da libertino. Era il 1770 e Roma era il paradiso della voluttà e del peccato.

Perdere la fiducia nella Chiesa e nello Stato fu, per l’artista, conseguenza semplice e immediata della presa di coscienza di una mancanza, quella di tre elementi per lui fondamentali nell’espressione artistica: l’orrendo, la corruzione dei sensi e la moda.

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Der Nachtmahr
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Benjamin Robert Haydon, dopo averlo a lungo seguito, lo abbandonò al suo destino “blasfemo” regalando il ritratto più veritiero del nuovo corso della sua opera: «Le forze operanti nell’animo di Füssli sono il blasfemo, la lussuria e il sangue. Le sue donne sono tutte puttane, e gli uomini briganti. Sono puttane non per il piacere della carne ma per odio, per astio e ostilità nei riguardi della virtù, e i suoi uomini sono furfanti non per un audace desiderio d’avventura e di rischio ma per un’incoercibile ribellione contro la repressione morale».

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Fuseli, ‘Kopulerend paar op Priapus-altaar’.
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Il soggiorno romano, di fatti, aveva reso Johann Heinrich Füssli pittore del diavolo. Non c’è traccia più visibile del suo mutamento etico, estetico e morale dei disegni erotici realizzati tra il 1770 e il 1778, prima del ritorno del pittore in Svizzera dove, forte del suo rinnovato spirito, si lasciò andare a convulse e lascive vicende sentimentali.

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Creati attraverso un’espressione stilistica diretta, al contrario delle rappresentazioni del tardo rococò che tentavano di inserire il tema voluttuoso in un’atmosfera aneddotica, i symplegma fanno dell’elemento orgiastico il punto centrale della rappresentazione. I personaggi appaiono come posseduti da demoni, vittime di forze interiori che traggono dall’esterno una misteriosa spinta al furor distruttivo.

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Le donne, semivestite o completamente nude, presentano tratti esteriori pronti a riflettere il pathos e la sofferenza che le anima, senza dimenticare la componente animalesca che nel mondo di Füssli trova sempre più spazio come elemento “naturale”.

Tacciato di volgarità dal bigottismo e l’invidia del tempo, l’universo erotico dell’artista è in realtà, stando alle parole di Werner Hofmann, il perfetto regno di un «inventore dei più arditi sfoggi di anatomia», tanto da indurre l’illustre Mario Praz ad affermare: «Immagino che anche gli esistenzialisti siano affascinati dall’intensità della passione che investe le sue indemoniate creature».

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La spinta erotica, l’ambiguità, sono del resto componenti essenziali e ormai costanti nell’opera di Füssli. «Il sublime risiede anche nel male, poiché persino nell’empietà può esserci qualcosa d’ammirevole», scrive il pittore nel 1771 ed ecco allora che nell’arte tutto può diventare lecito, senza censure e imbrigliature morali.

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Cessato il periodo di sperimentazione romana a tutto tondo, l’artista dà sfoggio di tutte le sue perversioni, lasciando nelle opere da qui in poi realizzati i segni tangibili della morbosità. In Ezzelino e Meduna del 1979, ad esempio, l’immaginario conte di Ravenna Bracciaferro, uccide la moglie accusata di adulterio e rimane, inquietantemente pensante, davanti al cadavere. È Hofmann a individuare l’incredibile somiglianza tra Ezzelino e Füssli stesso, effigiatosi in tal modo in un autoritratto che riprende posa, espressione e postura dell’uxoricida. Nell’omicidio di Meduna, il critico individua poi la constatazione, da parte del pittore, dell’impossibilità di costruire un rapporto amoroso duraturo, come poi dimostrerà la sua vita sentimentale, ancora colma di lacune e ambigui misteri.

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‘Ezzelino e Meduna’, olio su tela
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È l’Incubo allora, nelle sue due versioni, a esplicitare con chiarezza il velata di enigma la concezione amorosa dell’artista, a cominciare dalla genesi ormai nota a tutti; Anna Landolt, la giovane svizzera che fu oggetto della sua più forte passione, non poté essere sua in quanto promessa a un altro. In una missiva all’amico Johann Kaspar Lavater, Füssli scrisse così: «La notte scorsa l’avevo nel mio letto; gettai via in disordine le coperte, avvolsi intorno a lei le mie mani calde e strettamente serrate, fusi il suo corpo e la sua anima con i miei, versai in lei il mio spirito, il mio respiro, la mia forza. Chiunque ora la tocchi commette incesto e adulterio! E mia e io sono suo. E l’avrò – faticherò e suderò per lei, e starò solo fin quando l’avrò conquistata ».

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Incubo

La sua passione, però, non ebbe alcun esito. Il pittore ne fu distrutto, ma non sappiamo, come afferma H.W. Janson, se ritrasse mai la donna dei suoi incubi. Quel che è certo è che, quando il Detroit Institute of Art acquistò Incubo II, si rinvenne sul retro un altro pezzo di tela incollato, al di sotto del quale, dopo il distacco, apparve il ritratto incompiuto di una graziosa giovane. Se il recto, come ipotizza Janso, è l’originale Incubo II, anche il ritratto deve essere di Füssli «e il suo carattere di sensuale seduzione lascia supporre che esso raffiguri la giovane amata dall’artista».

La stessa giovane che, in entrambe le versioni del dipinto, sogna da sdraiata la violenza sessuale, tradizionalmente considerata commercio con il diavolo. Lo stupro è rappresentato dall’irruzione della testa di un cavallo, a simboleggiare la maschilità esuberante mentre un orrendo mostricciattolo le sta accucciato sul ventre.

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Incubo
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Ma è nel tardo dipinto Britomarte libera Amoretta dall’incantesimo di Busirane che Füssli dà sfogo completo a ciò che per lui è diventata legge di vita, ossia la liberazione dell’anima dalla prigionia delle fantasie sessuali ad opera della castità. Le braccia della liberatrice e della prigioniera s’incontrano nella figura rannicchiata del demone mentre Amoretta, priva di sensi, è quasi separata dalla lotta vera e propria.

Johann Heinrich Füssli rimase coerente fino alla fine; il demoniaco, il crudele e l’erotico continuarono a dominare la sua opera sino allo spegnersi dell’estrema forza.

Britomarte libera Amoretta dall’incantesimo di Busirane

 

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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