Mantova è stata capitale del Rinascimento, ai suoi bei tempi, ed ora è pronta per una nuova Rinascenza. Questo il leitmotiv della presentazione dei progetti per l’anno in corso, in cui la cittadina rimarrà effigiata del pomposo titolo di Capitale della cultura 2016.
«Dal 27 ottobre scorso […] Mantova ha raccolto una sfida, di rigenerazione culturale ed economica» ha dichiarato il sindaco Mattia Palazzi. Sarà un «approccio di sistema che conta sulle nuove tecnologie e sulla attivazione della comunità».
Mantova spalanca porte rigenerate a un futuro aggiornato, traghettata dal mezzo cultura, oggi sempre più motore di benessere e civiltà. Il programma di eventi a tappe serrate è iperconcentrato. L’agenda fitta di nomi importanti, a celebrare questo tempo lungo di festeggiamenti.
Attualmente in corso, e allestite rispettivamente fino al 2 luglio e al 17 luglio, a Palazzo Te, sono le due installazioni, luminosa e sonora, del guru britannico Brian Eno. L’artista inglese è stato iniziatore e insaziabile esploratore dell’ambient-music e del glam-rock, video artista, le sue derive toccano le rive dell’art rock, del rock sperimentale, della musica elettronica e di quella etnica. È il patriarca della new wave, world music e new age. E il creatore primo della musica d’ambiente. In questo sovraffollamento di etichette e generi, dal soffocamento si salva con la negazione di competenze. Eno si definisce “non-musicista”, artista privo di capacità tecnicamente valide. La sua linfa vitale, e la ragione del suo successo, stanno nel genio creativo. A lui, cresciuto nel Suffolk, vicino a una base militare Usa, i suoni marziani, ultraterrestri, sono sempre piaciuti. E c’è stato un momento, da piccolo, in cui, meticcio com’era di musica e di arte, indeciso e strappato tra due mondi che l’affascinavano, ha capito che in fondo, poteva continuare a fare entrambi nella vita.
«I’m set free, to find a new illusion». L’uomo non naviga da un’illusione a una solida verità, ma quello che fa funzionare le società di larga scala, le fa coesistere e cooperare, è la loro capacità di condividere storie. Come la democrazia, la religione, i soldi. Eno rompe i legacci formali delle solite sonorità. Salta le convenzioni di struttura ritmica e accordo progressivo e sguinzaglia le voci. Le lascia galoppare libere nel loro spazio e nel loro tempo, come eventi di un paesaggio.
«I wanted to place sonic events in a free, open space». Quello che lui fa, da non-musicista professionista, è ammaestrare le voci. È dirigere un’orchestra di suoni. Se l’opera d’arte è concepimento del brano, esecuzione da parte di singoli strumentisti competenti, e manipolazione finale dei nastri da parte dell’autore, lui partecipa, ed è, solo quest’ultimo, pregno e densissimo ruolo.
The Ship è l’installazione sonora realizzata per Palazzo Te. È ambientata nelle Fruttiere del Palazzo, una piccola sala che si apre sul giardino dell’Esedra, da cui si può ammirare l’opera luminosa. La traccia è estrapolata dal suo ultimo album, una sonorizzazione diffusa che impregna l’ambiente. Luci e strumenti dialogano e si rincorrono, nello spazio dilatato e mai finito di una composizione di una cinquantina di minuti, che ciclicamente si ripete tutto il giorno.
«Gli esseri umani sembrano camminare sul bordo tra arroganza e paranoia». Arroganza di prevaricare sull’altro e accumulare. Paranoia di difendere tutte le nostre ricchezze inconsistenti. La paranoia butta in una difesa strenua, e ci si ritrova tutti a lottare senza sosta e senza senso, e a morire nel fango. Eno pensava alla prima guerra mondiale mentre componeva, quella sorta di follia trans-culturale che si scatenò dalle arroganze degli imperi. «Stavo pensando a quei vasti campi belga dove la guerra stava crescendo agonizzante; e il vasto profondo oceano dove il Titanic è affondato; e quanta poca differenza faccia tutto quello a cui portano l’umana speranza e la disapprovazione. Loro continuano e noi passiamo, in una nuvola di chiacchiere».
L’installazione visiva 77 million paintings for Palazzo Te, disegni luminosi sulla facciata rinascimentale del Palazzo, ammirabile dal giardino dell’Esedra, è la seconda parte dell’opera di Eno. Sono 77 milioni di fotogrammi, che si susseguono a variare impercettibilmente la proiezione luminosa sulla facciata. A tenere lo sguardo incollato, non ci si accorge del farsi dell’opera. Non si percepisce il cambio di fotogramma. La variazione dell’immagine è fluida e lenta, impercettibile. Ma le evoluzioni sono consistenti nel corso della performance, e si aprono in tele di luce diversissime tra loro. Lo spettacolo dura due ore e mezza.
Il progetto di visual art è realizzato tramite software appositamente ideati dall’artista. L’evoluzione di sagome e colori densi, vivaci, è un trip psichedelico, e straordinariamente romantico. È da godere, nel ritmo lento dei silenzi, e degli spazi vuoti. È un’esperienza meditativa. Per eccitare i sensi, indurre «visual ecstasy» e «heightened calm», Eno ripete l’esperienza delle 77 million paintings dell’Opera House di Sidney e di Rio de Janeiro.
«By allowing ourselves to let go of the world that we have to be part of every day, and to surrender to another kind of world, we’re allowing immaginative processes to take place»
È un credere nella forza dell’immaginazione, e della creatività, e dell’arte, come mezzi salvifici. Come fonti di ispirazione per sgusciar fuori da momenti di crisi. Crisi economica, politica, sociale, religiosa, perché sempre crisi umana. Salvarsi per salvare il mondo che abbiamo costruito. Una barca che è scialuppa, che tra i flutti alti e il mare profondo, trova una via per guadagnare la spiaggia.
Ancora, è arte che valorizza l’arte. È portare il valore di opere artistiche e architettoniche di fama consolidata su un altro livello, amplificarne il significato, moltiplicarne il senso.
Ulteriori informazioni e gli orari sono disponibili sul sito di Palazzo Te.
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