Sono passati ventitré anni da quando Richard Linklater decise di prendere in prestito il titolo di una canzone di Jake Holmes – Dazed and Confused – e trarne un cult movie generazionale tradotto in italiano con il poco felice La vita è un sogno. Era l’ultimo giorno di high school per un gruppo di giovani texani dei favolosi anni ’70. C’erano Milla Jovovic e Matthew McConaughey, i ragazzini vessati dagli anziani della scuola e l’ala protettiva dei più assennati pronta a stendersi sui teenager lasciati in balia della crescita. Giro di tempo e dai ’70 si passa agli ’80, il liceo è finito e il college apre le porte al sesso, i party e qualche responsabilità in più. Ancora una canzone a fare da titolo (Everybody Wants Some!! dei Van Halen), ancora un arco di tempo limitatissimo per vivere le esperienze migliori della gioventù.
Tutti vogliono qualcosa è il sequel spirituale di Dazed and Confused, con ragazzi cresciuti ma sempre pronti a fare casino, il Texas bello e montuoso a fare da sfondo e protagonisti al principio di una nuova fase della vita. Jake (Blake Jenner) è un lanciatore di baseball che in sella alla sua Oldsmobile 442 procede verso una casa dello studente ascoltando My Sharona. Scende, bussa, e ad aprirgli c’è la sua squadra di baseball, un mucchio selvaggio di giovani aitanti, muscolosi e molto Eighteen. Tra questi spiccano il maschio alfa battitore Glen McReynolds (un Tyler Hoechlin che lascerà scioccati chi lo ricordava in Settimo Cielo) e il “luogotenente” Kenny Roper (Ryan Guzman), perfettamente inseriti nell’ideale di baccanale no stop come risulta essere il college americano secondo le trasposizioni cinematografiche.
Il campus e le location limitrofe sono il teatro reale di una generazione che Linklater coglie nel quotidiano svolgersi dei suoi riti di iniziazione all’età adulta, dove i colpi di fulmine, gli approcci maldestri e le risse sfiorate sembrano quasi essere antidoto a quell’horror vacui che coglie i ventenni alle soglie delle prime responsabilità dell’età adulta. Nulla è per caso nei film di Linklater, anche laddove lo sfoggio di braccia e pettorali sembra richiamare a gran voce lo stereotipo degli All American Boys; un ostentazione non casuale, ma legata a caratteri di nostalgica empatia con i protagonisti, perfetti attori di una commedia in cui l’effimero e la goliardia riescono a mettere in stand-by ogni forma di ansia e malessere.
È un dato di fatto, comunque, che il film trasudi testosterone da ogni poro. È una pellicola “maschia”, fatta di corpi scultorei indagati dalla cinepresa, bevute al pub e giri in discoteca mentre si è fasciati in camicie hawaiane, rapporti consumati nello sgabuzzino o in macchina, boxer lasciati in giro per la casa e materassi ad acqua pronti ad essere testati con la bella di turno rimorchiata a una festa. C’è così tanto machismo in Tutti vogliono qualcosa da restare storditi. Gli unici interessi di questo gruppo di atleti sono – per loro stessa ammissione – il baseball e le ragazze, cose che riescono loro benissimo come proprio di ogni maschio dominante. Eppure, a un occhio ben attento, sotto questa superficie testosteronica e assolutamente eterosessuale si nasconde una tensione omoerotica decisamente spiccata.
Stupisce il fatto che la maggior parte delle recensioni non accenni nemmeno di sfuggita a questo aspetto; gli unici ad essersene accorti sembrano essere Pietro Bianchi ed Elisa Cuter su Doppiozero, oltre al magazine online Vulture che ha parlato dell’ultima opera di Linklater titolando: Why Everybody Wants Some!! Is Accidentally One of the Gayest Movies of the Year. In effetti, la gayness sottesa ad alcuni atteggiamenti dei maschissimi atleti della Southeast Texas Cherokee esplode in tutta la sua ambigua innocenza nelle inquadrature costanti del film che sembrano accarezzare i muscoli di McReynolds e dell’aitante combriccola. La cinepresa li indaga mentre si guardano allo specchio, giocano a baseball, basket e fanno pesi, vanno in discoteca e si stravaccano sul divano a bere birra vietata dal coach e prendere in giro l’unico del gruppo fidanzato in casa.
Se da un lato la loro prestanza ben si esprime all’esterno attraverso lo slang da rimorchio e gli apprezzamenti alle ragazze, dall’altro ogni singolo sguardo e azione sembra orientato all’interno, verso la casa di soli uomini in cui la tensione erotica sgorga a fiumi insieme all’alcool e agli integratori vitaminici. Ragazzi di vent’anni che si formano e maturano come maschi tra maschi. Al pari di ogni ambiente o gruppo sociale in cui si sta con appartenenti al proprio genere (si pensi all’esercito, alle palestre, ai collegi), la tensione omoerotica è al contempo mostrata ed esorcizzata. Ecco allora che alla cura con cui McReynolds insegna a una matricola come mettere la colonia («Ma cosa fai?! Cos’è, la prima volta che metti la colonia? La devi mettere sotto le braccia, sul petto, non solo sul collo. Dai! Fidati di me, le ragazze ne vanno pazze») corrisponde la spregiudicatezza ostentata nell’approccio col gentil sesso, apostrofato con epiteti sempre sul crinale tra galanteria esagerata e volgarità abbozzata. C’è una sottile ambiguità che permea l’intera pellicola, continuamente oscillante tra conquiste di una sera o ragazze “diverse” (Beverly, la fidanzata di Jake) e ostentazione della propria mascolinità di fronte all’altro. Emblematico al riguardo è il momento della preparazione dei ragazzi prima di andare a ballare, dove ognuno guarda se stesso e l’altro con una cura e un’insistenza che non possono passare inosservate. C’è chi commenta la statuarietà del proprio fondoschiena, chi si taglia i baffi, chi fa pesi guardando i muscoli che si gonfiano, chi si sistema i capelli richiamando alla mente il Danny Zuko di Grease.
La separazione tra sessi è poi esplicitata fin dalle prime scene, a sottolineare come il cameratismo maschile abbia bisogno dei propri spazi senza invasioni di campo; i ragazzi dormono nella grande casa, le ragazze vivono nel dormitorio in cui a ogni stanza corrisponde un numero. Le coccole e i baci d’amore si consumano lì, in zona franca, mentre all’interno della casa ogni telefonata alla fidanzata è disturbata da grotteschi “bu” da stadio, ogni tipo di solidarietà tra amici cessa nel momento di portarsi una fanciulla in camera e a dominare sono le pacche sul sedere reciproche e agonistiche gare a chi è più forte.
Come sottolineato da Bianchi e Cuter, «Tutti vogliono qualcosa ci mostra quella fase della vita dove la costruzione dell’identità come compiutamente eterosessuale o omosessuale è ancora in fieri», ed ecco che allora l’interregno di piena crisi tra adolescenza ed età adulta viene rappresentato partendo da quello che è il punto più sensibile di ogni percorso di crescita: l’identità sessuale. L’inizio delle lezioni segnerà poi forse un’altra strada da intraprendere, con una consapevolezza più grande da acquisire consistente nella ricerca di se stessi e del proprio posto del mondo. Tenendo sempre a mente che, come sta scritto sulla lavagna della prima lezione di Jake e l’amico Plummer, «frontiers are where you find them».
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