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Limitare il suffragio
è una cagata pazzesca

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L’esito del referendum britannico che ha decretato la Brexit ha dimostrato che il Regno Unito è spaccato esattamente a metà: è spaccato tra Inghilterra e Galles da una parte e Scozia e Irlanda del Nord dall’altra, è spaccato tra città e provincia, è spaccato tra giovani e anziani, è spaccato tra persone istruite e persone incolte. Inoltre, come riportato da alcuni organi di stampa, sembrerebbe che tanti inglesi che hanno votato leave già dal giorno dopo se ne siano pentiti, ed è già partita una petizione – che ha superato il milione di firme – per indire un nuovo referendum per chiedere il rientro dell’Uk nell’Unione europea.

Al di là di questi ultimi aspetti che fanno quasi sembrare il nostro un Paese normale, in queste ore successive al voto da più parti ha preso forza ed è emerso in modo dirompente un argomento che già da tempo circolava sotterraneamente. Ossia: il suffragio universale è davvero giusto? Oppure, come titola un articolo de Il Post che è molto girato in rete (e che riprende un articolo originariamente del Washington Post): devono votare anche gli ignoranti?

La risposta dell’autore del pezzo, David Harsanyi, è semplicemente no«Se non avete idea di cosa stia succedendo, anche sottrarre noialtri alla vostra ignoranza è un dovere civico. Purtroppo non ci possiamo fidare di voi». Ciò che propone il giornalista statunitense è di sottoporre agli elettori un test di educazione civica, con domande per la verità molto basilari ma necessarie per capire se chi vota abbia o meno una vaga idea di dove vive e di cosa succede intorno a lui.

Eppure l’idea di introdurre un siffatto test, o di limitare l’accesso al voto a persone non informate e via dicendo, è una cagata pazzesca. E lo è per svariate ragioni.

In primo luogo, ammettendo l’esistenza di un tale esame, chi scrive le domande e chi le corregge ha il potere di stabilire chi ha accesso al voto e chi no, e di conseguenza di stabilire l’esito del voto. Prendendo a esempio proprio il referendum britannico, è stato rilevato come le persone più istruite abbiano votato per il remain e le meno istruite per il leave. Ora, se ci fosse stato un test preliminare, ad esempio le domande sarebbero potute essere scritte in un modo da poter essere realmente comprese solo dalle persone più istruite. Le persone meno istruite magari non avrebbero pienamente compreso la domanda e avrebbero sbagliato la risposta, non ottenendo l’accesso al voto. E il remain avrebbe vinto. Benissimo, saremmo stati tutti più felici. Ma è democratico? Insomma, il potere sarebbe in realtà in mano non ai cittadini sovrani ma a una casta di funzionari e burocrati.

In secondo luogo si abolirebbe la democrazia a favore di una forma di oligarchia più o meno illuminata. Insomma, si realizzerebbe il sogno platonico di una repubblica governata “da chi sa”. Chi siano costoro, cosa sappiano e chi decida chi sa è tutto da dimostrare. Non c’è nulla di male in tutto questo, è una posizione legittima. Però bisogna avere il coraggio di dichiarare apertamente che si vuole l’abolizione della democrazia.

In terzo luogo si tratterebbe di una soluzione illiberale. Tutte le nostre democrazie occidentali si basano su principi liberali, le varie convenzioni sui diritti dell’uomo si richiamano a principi liberali. E il primo principio dei principi liberali è che gli uomini e le donne sono liberi, eguali e egualmente degni di rispetto, a prescindere dal ceto sociale, dalla razza, dall’orientamento sessuale e dal grado di istruzione. Limitare l’accesso al voto quindi violerebbe il primo principio dei principi liberali. Anche qui nulla di male, ma che lo si dica chiaramente.

In quarto luogo sarebbe un provvedimento decisamente classista. Al di là della vuota retorica meritocratica, sappiamo che non tutti i cittadini partono da un eguale punto di partenza nella corsa alla scalata sociale (se ancora esiste). Il punto di partenza è deciso dalla lotteria sociale e dalla lotteria naturale. Ossia dalla coincidenza essenzialmente fortuita di essere nati in una famiglia ricca anziché povera o viceversa, o dall’essere nati provvisti di un qualche talento che sia apprezzato in quel luogo e momento storico (ad esempio nascere oggi in Europa con i piedi buoni per giocare a calcio dà giusto qualche vantaggio in più rispetto all’avere un talento per la scrittura). È empiricamente dimostrato che chi parte avvantaggiato finisce ancora più avvantaggiato e chi parte più svantaggiato ha scarsissime probabilità di finire pari a chi è partito più avanti (banalmente: se devi lavorare per sostenere gli studi è più probabile, anche se non necessario, che ti laurei con un risultato inferiore e in più tempo di chi ha a disposizione 24 ore al giorno per studiare). Quindi, tornando a noi, un simile provvedimento come quello del test per l’accesso al voto tendenzialmente favorirebbe i ceti sociali più alti a scapito di quelli inferiori.

Foto da Flick
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Si potrebbero portare numerosi altri argomenti, ma questi sono qui sufficienti. È bene notare che i ragionamenti precedenti si fondano sull’assunto che è più informato, e quindi in grado di superare il test, chi ha un livello di istruzione superiore. Ovviamente a livello teorico non è necessariamente così, ma anche in questo caso è empiricamente dimostrato che tendenzialmente le cose vanno in questo modo. A questo proposito è utile riportare la risposta di TRed all’articolo de Il Post:

«[…] si tratta di un articolo perfetto per il Post: nel senso che va a grattare il pancino proprio alla sua clientela di riferimento (d’altro canto molto preziosa “commercialmente”): quella degli under 35 istruiti. Non sorprende quindi che la condivisione su Facebook abbia ricevuto più di 2 mila mi piace e oltre 1400 condivisioni. […] Queste condivisioni, queste migliaia di like, dimostrano nitidamente la frattura che sta avvenendo nella società italiana. Che è una frattura drammatica, perché divide due categorie che la crisi ha messo in condizioni molto simili fra di loro. Quelli che hanno condiviso l’articolo del Post sono spesso lavoratori intellettuali precari, con orari di lavoro impossibili e salari ridicoli. Fanno parte a pieno titolo di quel “ceto medio decadente” (cioè in via di proletarizzazione) di cui si riempiono le bocche analisti e sociologi. Certo, pensare di togliere il diritto di voto agli “ignoranti” può essere un buon modo per cercare di ricostruire un’identità sociale (quella dei propri genitori) perduta. Soprattutto se quelle condizioni sociali – considerate “scontate” per tutta la vita – sono diventate un miraggio».

Il breve articolo di TRed si conclude auspicandosi che gli “ignoranti” e gli “istruiti” si coalizzino contro la classe dominante che li ha fregati e li sta mettendo gli uni contro gli altri. Decisamente condivisibile.

Ma se allora abolire o limitare il suffragio universale è, come abbiamo detto, una cagata pazzesca, che fare? Perché comunque sia è evidente che spesso chi vota non ha la più pallida idea di quale sia il significato reale e le conseguenze di quella X tracciata sulla scheda – come dimostrato anche dai rimpianti britannici del day after.

Non bisogna togliere il diritto di voto a chi non vota consapevolmente, bensì lavorare e sforzarsi – non è certo facile, ma è necessario in un sistema democratico – per costituire una consapevolezza critica nei cittadini. Questo è il ruolo che Antonio Gramsci attribuiva agli intellettuali nella formazione di una coscienza rivoluzionaria nelle classi subalterne. Questo è il ruolo che dovrebbero avere gli intellettuali oggi nel costruire una coscienza civica nella cittadinanza nella cornice di un sistema davvero democratico.

Non fosse che oggi gli intellettuali – se di intellettuali si può oggi parlare – siano troppo impegnati ad autocompiacersi della propria erudizione nei salotti televisivi.

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Michele Castelnovo

Classe 1992. Laureato in Filosofia. Giornalista pubblicista. Direttore di Frammenti Rivista e del suo network. Creator di Trekking Lecco. La mia vita è un pendolo che oscilla quotidianamente tra Lecco e Milano. Vedo gente, scrivo cose. Soprattutto, mi prendo terribilmente poco sul serio.

1 Comment

  1. […] L’esito del referendum britannico che ha decretato la Brexit ha dimostrato che il Regno Unito è spaccato esattamente a metà: è spaccato tra Inghilterra e Galles da una parte e Scozia e Irlanda del Nord dall’altra, è spaccato tra città e provincia, è spaccato tra giovani e anziani, è spaccato tra persone istruite e persone incolte. Inoltre, come riportato da alcuni organi di stampa, sembrerebbe che tanti inglesi che hanno votatoleave già dal giorno dopo se ne siano pentiti, ed è già partita una petizione – che ha superato il milione di firme – per indire un nuovo referendum per chiedere il rientro dell’Uk nell’Unione europea. Continua a leggere… […]

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