Da sempre al centro della riflessione artistica, il corpo occupa in essa una posizione privilegiata, tanto che a partire dalle sculture greche se ne ha una concezione quasi mistica. Il corpo così assume un ruolo fondamentale nello studio dell’espressività di ogni singolo periodo storico: interpretare ogni arto, e più in generale la massa corporea in movimento o statica, ha interessato gli studi degli artisti che si sono susseguiti nel tempo.
Dall’arte greca arriva a noi anche il rispetto per il corpo e per la sua bellezza, la voglia di studiarlo, attentamente e in modo curato, come un importante tassello della nostra interazione con il mondo esterno. Attualmente il corpo, soprattutto quando ritratto nudo, è di nuovo al centro delle espressioni artistiche, dalle arti visuali fino ai nuovi media.
L’obbiettivo della macchina fotografica di Marwane Pallas, giovane artista emergente francese, è deciso: le sue idee contemplano il corpo raggiungendo a volte riscontri inquietanti.
Pallas opera principalmente a Saint-Etienne, sviluppa la sua arte come autodidatta e diventa artista visivo. Con la sua Canon EOS 550D, un vecchio 50 millimetri 1.8. e Photoshop CS5 ottiene ritratti (sopratutto autoritratti) che raggiungono una bellezza incredibile, tra nostalgia, introspezione e magia.
Le sue serie fotografiche sono tutte fantastiche, dove il termine va inteso come sinonimo di “immaginarie”, “suggestionanti”, “irreali”: uno dei suoi segreti è non prendersi troppo sul serio.
Un ragazzo dal talento prematuro che, alla testata Phlearn, spiega il suo lavoro con l’aggettivo “pittorico”. Secondo lui c’è un collegamento forte tra pittura e fotografia, che esattamente come in una ricetta, mescolando gli ingredienti nella giusta dose, regala un risultato unico.
«A volte due cose buone possono fondersi in qualcosa di molto deludente. Come il cioccolato, con l’alcol». È questo il suo continuo esercizio: cercare un sottile collegamento, il dosaggio perfetto tra rappresentazione pittorica e fotografica.
Si racconta come un bambino che ha espresso tutto il suo essere introverso e consapevole proprio attraverso la sua inclinazione all’arte visiva.
«La mia infanzia è la mia fonte di ispirazione. Quando non avevo nemmeno dieci anni, disegnavo scene orgiastiche dei greci, ma i miei genitori non hanno mai espresso alcuna preoccupazione ne represso la mia passione. Mi hanno anche mandato, una volta alla settimana, da un pittore vicino di casa che mi ha insegnato episodi di storia dell’arte e alcune tecniche di pittura».
Più tardi viene il suo approccio alla fotografia, incontrata proprio cercando un disegno sempre più realistico: inizia a creare i propri universi con forme più semplici, distaccate dalla realtà e, infine, avvicinandosi sempre di più al corpo.
La sua fonte di ispirazione, dice, sono i dipinti del XX secolo, le immagini di film, alcune vecchie serie della BBC, la sua infanzia, la musica popolare, la campagna, le frustrazioni della vita, i pezzi di vestiti, il cielo e gli scherzi.
Le serie iniziano nel 2011, con The tribes of Egos, letteralmente La razza dell’ego. Si tratta di un parallelo tra il nostro ego e le diversità insite nelle civiltà umane. In francese la parola razza è termine intraducibile, semplicemente perché non esistono tecnicamente razze all’interno della specie umana. La serie è anche una riflessione personale di Pallas, attuata in un momento di cambiamento e di perpetuo conflitto con se stesso, come spiega durante l’intervista.
Il bambino indaco (The indigo Child) invece, è una auto-pubblicazione di pochissime copie di cui l’autore va molto orgoglioso. «Ovviamente, non è stato creato per un pubblico. Vorrei creare più immagini per un secondo libro, questa volta possono provare a farlo pubblicare da un editore, ma non ho grandi speranze in merito».
The Doctrine of Signatures, uno dei suoi lavori più recenti, sfrutta l’autoritratto come taglio per esprimere uno studio molto più introspettivo, le varie parti anatomiche sono sostituite, in modo ironicamente grottesco, da pezzi di frutta e verdura.
Ma il significato che Pallas va ricercando scava più a fondo e fa riferimento ad un aspetto della medicina popolare secondo la quale l’associazione di oggetti naturali ad una determinata parte del corpo ne curasse le malattie che vi potevano sorgere. Una credenze riconducibile soprattutto agli erboristi medievali.
La locuzione latina similia similibus curantur, tradotta letteralmente, significa «i simili si curino coi simili». Frase, che sintetizza il principio basilare della medicina omeopatica, consistente nella somministrazione di rimedi capaci di provocare nell’individuo sano sintomi simili a quelli della malattia che si vuole curare. È usata talvolta anche in senso estensivo e traslato, e per il lavoro di Marwane, in senso espressivamente figurativo.
Oltre alla fotografia, Pallas si dedica occasionalmente alla fumettistica e all’arte illustrata e le sue opere sono state esposte a Parigi, Londra, Miami e New York.
Pallas diventa lui stesso opera d’arte e studio anatomico.
Attento e presente sui social network (instagram, twitter e facebook) Marwane Pallas esprime sempre il corpo, in tutti i suoi progetti. Un corpo cristallino, risultato di uno studio acuto, sensuale e a tratti sanguinante, come dipinto su tela. Il suo lavoro è quindi una narrazione allegorica che sfiora l’irreale e entra nel reale con una facilità quasi magica.
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