«Sto vivendo un momento di grazia interiore, sono felice. A chi mi critica, rispondo con amore»
Giovanni Allevi
Giovanni Allevi è uno degli artisti più controversi degli ultimi anni, criticato anche da Uto Ughi che lo ha definito «presuntuoso e mai originale», accusandolo di approfittarsi dell’ignoranza della gente, attraverso una furba operazione di marketing.
Eppure il sold out del Politeama di Genova il 29 aprile per l’ultima data del suo Piano Solo Tour 2015 e l’accoglienza a lui riservata dal suo pubblico, poco spazio lasciano alle polemiche e alle insinuazioni dei suoi denigratori. Un tour di grande successo cominciato a Londra e che lo ha visto suonare su importanti palchi europei e italiani, registrando sempre il tutto esaurito, nel quale ha eseguito i brani del suo ultimo album, Love, uscito il 20 gennaio scorso: 13 composizioni inedite per pianoforte dedicate all’amore in ogni sua declinazione.
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Assistiamo al concerto di chiusura della tournée evitando di partire prevenuti nei suoi confronti, cercando invece di capire quanto pesi il personaggio Allevi rispetto alle sue doti di pianista e compositore.
L’entrata in scena a passo di corsa già ci fa capire di che tenore sarà la serata. Allegria scanzonata e brillante autoironia sono le qualità che risaltano appena prende il microfono e parla, un po’ incerto, con voce bassa ed emozionata.
Così presenta il primo brano in scaletta, Yuzen:
«Mi trovavo in Giappone durante il tour del 2013 e mi sono ammalato. Ho dovuto rinunciare a visitare il museo delle sete dipinte con la tecnica yuzen. Per la febbre alta, lo “yuzen” è venuto a visitare me, ho avuto visioni deliranti che mi hanno ispirato questo brano».
Quando le prime note del preludio iniziano ad echeggiare nella sala, si comprende l’intensità degli arpeggi di Allevi, tormentati e tesi verso l’estasi finale.
Il secondo brano, Amor sacro, è una sorta di corale rock, un inno d’amore sublime verso la totalità del creato, che racchiude gli studi del contrappunto barocco di Bach improntati a una visione quasi rock-progressive.
Di ritmica totalmente diversa, caratterizzata da una spiccata solarità, è Asteroid 111561, la composizione dedicata all’asteroide a cui l’agenzia spaziale NASA ha attribuito il nome dell’artista, su indicazione del Dipartimento di Astrofisica dell’Università di Padova. «È un sasso che orbita tra Marte e Giove che io mi immagino sfrecciare nello spazio ricco di una rigogliosa vegetazione».
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Emozionante e delicatissima la ballade Loving you, una vera e propria dichiarazione d’amore romantico dell’artista nei confronti delle persone che gli stanno vicino, per la Musica, per la sua vita folle.
The other side of me offre uno spaccato della doppia personalità di Allevi: da una parte il giudice severo, dall’altra il bambino giocherellone e spensierato. Il contrappunto rinascimentale messo a confronto con ritmiche più moderne, il tutto compiuto in una complessa costruzione formale.
«Ho due bimbi… sì, ci ho messo un po’ ma alla fine ho capito come si fa». Con questa battuta, Allevi presenta il brano La stanza dei giochi, brano raffinato e nostalgico, composto in un momento di solitudine lontano dai figli.
Completamente diverso It doesn’t work, ispirato dal termostato rotto dell’aria condizionata nel camerino della Carnagie Hall e dalla frase ovvia di uno zelante tecnico responsabile dell’impianto.
Lovers, il cui linguaggio musicale riporta alla tradizione dei compositori russi dei primi del ‘900, è dedicato al desiderio, alla passione, all’amore più fisico, il tutto caratterizzato dalla malinconia per una gioia intensa vissuta e già passata.
L’amore è leggerezza e spensieratezza nella briosa Come with me, mentre è disperazione e tensione crescente in Asian eyes, dedicata a una donna giapponese di cui ha avuto una sorta di visione.
In My family, la confusione di una riunione famigliare nel bilocale di Milano, con tanto di biglia lanciata più volte da un bambino contro una finestra, è inaspettatamente fonte di ispirazione per una soave melodia.
Sweetie pie, morbida e struggente, vuole evocare i momenti di tranquillità al mattino durante la colazione prima di affrontare la vita frenetica della giornata.
«La forma d’amore più complicata è quella da dedicare a noi stessi, perché è sempre difficile accettare i nostri errori, le nostre mancanze, i nostri difetti». Ispirato dalla poesia di Charles Baudelaire, Allevi ha composto L’Albatros, l’animale goffo e impacciato quando cammina sulla terraferma per le grandi ali, ma che riesce ad essere se stesso in cielo quando può planare finalmente libero.
Qui terminerebbe il concerto, con tutte e tredici le tracce di Love. Ma non possono mancare i bis, che il pubblico chiede a gran voce continuando a battere le mani mentre Allevi è già dietro le quinte. E lui ritorna sul palco, ogni volta correndo, ogni volta emozionato e avvolto dall’amore dei fan. Ne suona tre, uno dopo l’altro.
Aria: «Se non lo avete ancora capito, sono una persona ansiosa. Ho scritto questo brano proprio per permettermi di respirare e la dedico a tutte le persone che vivono il mio stesso problema».
Back to life: «La mia forza è la mia fragilità, e questa scoperta mi ha fatto tornare a vivere».
Prendimi: «Amore è felicità e gioia».
Quello che ci rimane di questo concerto è la sua simpatia, l’emozione che, forse più in alcuni brani rispetto ad altri, sa dare con la sua musica, la sua gestualità con la quale sembra voglia accompagnare le ultime note fuori dal pianoforte fin su nell’aria, quei secondi di pausa alla fine di ogni brano in cui sembra cerchi di recuperare le energie consumate sulla tastiera, ricaricandosi con l’applauso.
Forse non abbiamo la cultura musicale per capire se Uto Ughi abbia ragione su di lui o meno, ma di sicuro Allevi ci ha comunque trascinati in uno spettacolo di musica e di bellezza che ci ha fatto alzare in una standig ovation insieme a tutto il suo pubblico.
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