Stupor Mundi è l’appellativo con il quale era conosciuto il grande Federico II. Anche l’artista trova di volta in volta il proprio personalissimo e al tempo stesso universale stupor: quella luce, quella fiamma che illumina la porzione di realtà che egli si sente chiamato a indagare.
Filippo di Sambuy, come artista, ha scelto da tempo cosa indagare: l’uomo. La sua ricerca procede attraverso il ritratto oppure attraverso la riflessione sui grandi eroi della storia e della cultura di ogni tempo o, ancora, sui simboli o sulla forza archetipica di certe raffigurazioni araldiche. L’artista, inoltre, sembra aver fatto una scelta precisa riguardo al mezzo o, meglio, al metodo con cui condurre la propria indagine. Questo metodo è il disegno. La forza grafica dell’artista è ravvisabile anche nelle sue opere non grafiche, tanto nei dipinti quanto nelle installazioni o nelle raffinate realizzazioni in ghiaia. Qualunque mezzo usi quello di Di Sambuy è sempre un disegnare, un’indagare inesausto in punta di matita, tanto sulla realtà quanto sulla storia, teso ad affondare senza pietà nell’essenza del tempo come una lama affilatissima penetra nella carne rivelandone l’aspetto prima occultato dall’integrità delle membra.
Lo scorso venerdì 15 aprile, all’interno della sala gialla del Palazzo Reale di Palermo, alla presenza dell’on. Giovanni Ardizzone, presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, di Carlo Vermiglio, assessore regionale ai Beni Culturali e dell’Identità siciliana, di Gaetano Pennino, dirigente generale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Emmanuele Francesco Maria Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo, Francesco Forgione, direttore generale della Fondazione Federico II, Valeria Patrizia Li Vigni, direttrice del Museo RISO, è stato presentato il progetto ideato da Filippo di Sambuy, con la collaborazione di Aldo Taranto e di Giovanna Dalla Chiesa, curatrice della mostra.
Il progetto è ispirato ai simboli fondamentali legati alla figura di Federico II, quale fautore di un’integrazione miracolosa tra culture diversissime quali quelle greca, latina, araba, ebraica. Dopo l’interessante disquisizione dei relatori del convegno, abbiamo avuto il piacere di conoscere direttamente il maestro Filippo Di Sambuy e sua moglie Patrizia all’opening della mostra che si è svolto nel pomeriggio di venerdì, nella splendida cornice della Cappella dell’Incoronazione, vicinissimo alla Cattedrale di Palermo. Lì ci siamo dati appuntamento per l’indomani mattina presso la Galleria Agorà, dove erano in corso i preparativi per l’inaugurazione di un’ulteriore mostra dello stesso autore, e abbiamo potuto dedicarci all’intervista.
Intervista con l’artista
L’inizio della carriera
«Maestro, ci parli dei suoi inizi e dei primi anni della sua formazione di artista»
«Tutto è iniziato quando ho finito il mio servizio militare. Ero in dubbio su cosa fare del mio futuro. Avevo iniziato a disegnare, poi mi sono recato a Ginevra e lì ho seguito un corso di Storia dell’Arte all’Università. Ho iniziato a lavorare in una galleria di arte contemporanea come aiuto gallerista. Da lì sono entrato in contatto con gli artisti che ruotavano attorno alla galleria e poi ho cominciato a fare le mie prime mostre. Il contatto con gli altri artisti è stato di fondamentale importanza per me»
«Ha parlato di Ginevra. Leggendo il suo profilo biografico, è facile notare come il suo percorso si sia svolto in città diversissime tra loro. Da Torino a Roma alla stessa Ginevra. Qual è stata l’influenza che queste città hanno esercitato sulla sua arte?»
«Ho trascorso sette anni a Ginevra ed è in questa città che mi sono formato artisticamente. Dopo un’esperienza di circa un anno a Parigi avevo voglia di tornare in Italia e così nel 1984 sono tornato Torino. Ho vissuto per circa quattro anni in Piemonte, a Torino. È la città che più mi ha influenzato sotto il profilo artistico. Questo è stato possibile grazie alla presenza dei protagonisti dell’arte povera: Mario Merz, Pierpaolo Calzolari e Gilberto Zorio, i quali hanno esercitato una profonda influenza su di me. All’epoca il loro movimento era all’apice e in città gli intellettuali erano ben connessi tra di loro. C’era un gruppo di artisti molto coeso e noi giovani cercavamo di inserirci, ascoltare e imparare. Un’altra città che ha giocato un ruolo rilevante nella mia vita è certamente Roma, la città in cui sono nato. Con essa ho intrattenuto da sempre un rapporto molto intenso. Ci ho lavorato per anni, lì ho avuto lo studio e il soggiorno romano ha costituito anche un’importante esperienza formativa. Lì sono stato in contatto con artisti della mia generazione come Domenico Bianchi, Giuseppe Gallo, Marco Del Re che erano agli inizi proprio come me».
Il lavoro da artista
«Che ruolo gioca la tipologia del materiale nel suo lavoro d’artista in riferimento, ad esempio, alle piccole pietre che impiega nelle installazioni o all’uso sempre diverso dei supporti?»
«Di base sono stato sempre un disegnatore. Mi considero il più grande disegnatore italiano [ride n.d.A.], mentre la pittura è un punto di arrivo successivo raggiunto attraverso vari studi e prove. Per me il disegno è un mezzo d’espressione completo che ti dà la possibilità di lavorare in maniera continuativa, io, ad esempio, disegno sempre, instancabilmente. Per quanto riguarda, invece, l’uso delle pietre nelle installazioni, questo espediente risponde alla volontà di far espandere l’opera da una dimensione bidimensionale a una tridimensionale. Vive nelle realtà e, soprattutto, dialoga con l’architettura, un campo che amo moltissimo»
«Cosa l’attrae maggiormente della figura di Federico II al quale è, in qualche modo, dedicato il progetto che ha pensato per Palermo?»
«Di Federico mi impressionò moltissimo Castel del Monte in Puglia e la visione esoterica che ha impresso alle sue architetture, oltre all’innata capacità di unire culture differenti e distanti tra loro»
«Che ruolo ha, secondo lei, la pittura nel sistema contemporaneo dei linguaggi?»
«La pittura è e rimane, con la scultura e l’architettura, uno dei linguaggi predominanti e più rappresentativi nell’arte. Ma è innegabile che le tecnologie abbiano messo a disposizione altri mezzi che bisogna utilizzare e che sono veri e propri linguaggi del futuro. L’unica differenza rispetto al passato è che oggi possiamo esprimerci non solo con la pittura ma anche col video, con l’installazione o con altri mezzi, senza per questo dover considerare la pittura come sorpassata o in qualche modo superata. Io vedo l’esistenza degli altri mezzi come un’opportunità di espressione in più per noi pittori»
Ispirazioni e influenze
«L’anno scorso è stato in mostra al Vittoriale degli Italiani con dodici ritratti di personaggi contemporanei da lei immortalati come “dannunziani”. In quale forma è possibile declinare oggi il Dannunzianesimo?»
«Per me il Dannunzianesimo è un modo di affrontare e condurre la propria vita. Io ho scelto di raffigurare quei dodici personaggi soprattutto in base alle loro vicende biografiche o al loro particolare modo di aderire alla vita. Ma il “vivere dannunzianamente” non è qualcosa che si può determinare e definire a tavolino; è qualcosa che nasce spontaneamente dall’arte, dalla propria attività o attitudine creativa. Questa poi finisce per influire inevitabilmente sugli altri aspetti della vita»
«Qual è l’artista del passato che più ha ispirato la sua produzione?»
«Senza alcun dubbio, Diego Velazquez»
«E tra i contemporanei, quale artista considera a lei più vicino?»
«Marco Del Re»
«Cosa cercava e cosa ha trovato in Sicilia?»
«Relativamente al progetto Stupor Mundi mi sono trovato benissimo, non ho incontrato alcuna difficoltà organizzativa e, quindi, da un punto di vista professionale è stata un’ottima esperienza. Poi Palermo è una città entusiasmante, che ha le caratteristiche di una vera e propria Capitale della cultura. Non è una città votata solo al passato nonostante sia colma di storia, ma è anche rivolta verso il futuro e piena di giovani artisti interessanti e di talento»
Informazioni sulla mostra
La mostra di Filippo di Sambuy sarà visitabile all’interno di Palazzo Reale, nel cortile Maqueda, nella Cappella dell’Incoronazione, nella Cripta e nella Loggia dell’Incoronazione. Vi sono anche spazi out del Museo e a completamento del percorso, nella grande Vetrina esterna di Palazzo Belmonte Riso. Rimane aperta al pubblico dal 16 aprile al 15 giugno, visitabile da martedì a domenica. A palazzo Reale (Cortile Maqueda) dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 16.00 alle ore 19.00. Nella Cappella dell’Incoronazione dalle ore 9.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 19.30.
Photo Credits: foto_maXZarri@016
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