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Cechov reloaded:
variazioni sul nulla

4 minuti di lettura

Prendi Anton Cechov, mettilo nella centrifuga del postmoderno attraverso il filtro di un’autrice tedesca quarantenne, e ne verrà fuori una rilettura intelligente, tesa non a dissacrare ma a mostrare il vuoto di un’esistenza che ha smarrito il senso e si sente presa in trappola. È questo il caso di Villa Dolorosa – Tre compleanni falliti, testo del 2009 di Rebekka Kricheldorf, che rielabora il capolavoro cecoviano Le Tre Sorelle (1900). Lo ha portato in scena al Teatro Franco Parenti il regista Roberto Rustioni, che negli ultimi anni lavora con passione intorno all’autore russo.

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© Manuela Giusto

Villa Dolorosa è la casa dei Freudenbach, tre sorelle e un fratello dei giorni nostri, che conserva solo l’apparenza di antichi fasti signorili e cade a pezzi come la vita dei suoi abitanti. Nel salotto, i relitti di un’epoca andata: giradischi, lampade vintage di dubbio gusto, qualche festone ingiallito traccia dei precedenti compleanni, un divano. Ovunque cornici vuote, appese con l’effetto di «promesse che fin dalla loro formulazione non si mantengono»: restano come perimetri inconclusi perché nessuno sa come riempirle, rinviando la scelta del quadro giusto a un vago domani.

Vuote sono pure le vite dei protagonisti che, dietro la patina radical-chic da intellettuali esigenti, sono soli, e si aggrappano l’uno all’altro con innocenza puerile, pronta a mutarsi in un gioco al massacro alla Carnage. Il fratello Andrej ha una teoria: forse l’umanità di oggi è qui solo come «materiale di riempimento, fertilizzante» necessario all’arrivo di creature geniali, la nostra banalità è solo una preparazione per dei futuri Mozart o Shakespeare. Una delega continua delle proprie responsabilità, l’idea quindi di una vita come attesa, sospensione, vacuità, orrore per l’ordinario.

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© Manuela Giusto

I nomi cecoviani scelti dai genitori risultano quasi un marchio simbolico paralizzante che, insieme a una maturazione intellettuale troppo precoce, li ha portati a un senso ipercritico verso la realtà. Ognuno vorrebbe sfuggire alla Villa-trappola, ma invano. La festeggiata Irina (Eva Cambiale) è convinta che solo lo studio insegni a dominare il caos del mondo ed è bravissima a parole quando progetta il suo futuro universitario. Promesse inconcludenti di una perenne fuori-corso, che cerca solo di procrastinare la decisione sulla propria vita, rifiutando la mediocre normalità di possibili partner. La sorella maggiore Olga (Federica Santoro) è un’insegnante di liceo frustrata: disprezza i suoi giovani alunni idioti e i colleghi, sogna la fuga a Formentera, ma viene eletta preside e resterà incagliata nel noiosissimo perbenismo borghese. La minore Mascha (Emilia Scarpati Fanetti) ha pensato di trovare una via d’uscita nell’amore, si è sposata (abita di fronte alla Villa) e ora è delusa dal marito e dalla piatta vita coniugale. Assetata di vita, ma incapace di afferrarla a piene mani, pensa che forse l’unica realizzazione può venire dal lavoro. Non conclude nulla e si innamora di Georg (Roberto Rustioni), altro relitto della società in crisi esistenziale, con una moglie che tenta continuamente il suicidio. Infine vi è Andrej (Gabriele Portoghese), velleità di artista e romanziere: eppure la svolta verso la novità, il cambiamento, l’ “emancipazione” sembra proprio venire da lui, quando decide di lanciarsi nella vita, sposando la giovanissima e povera Janine (Carolina Cametti). Da provincialotta sboccata e volgare, Janine si trasforma in donna borghese e dominatrice di Villa Dolorosa, colei che tiene i conti, ricorda i debiti, impone divieti, urla in faccia alle sorelle la loro chiusura egocentrica, senza peraltro scalfire il loro mondo.

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© Manuela Giusto

Sul terzo compleanno, i trent’anni di Irina, sembrano soffiare venti di cambiamento, ma tutto si sgretola in pochi istanti e l’autocommiserazione tocca il culmine, annaffiata da fiumi di alcool. L’amara conclusione è: tutti hanno un buon motivo per uccidersi, ma per sopravvivere alla vita, a cui siamo condannati, occorre ironia, nella consapevolezza dell’assedio invincibile del vuoto.

La Villa è simbolo di un nido-trappola, microcosmo vischioso della famiglia, ma anche del velleitarismo di una generazione priva di volontà pragmatica, tutta presa nel narcisistico e masochistico autocompiacimento del proprio mal de vivre. Il Muro è crollato, sembra dirci la Kricheldorf, ma non ci ha reso la vita più semplice, perché, come proclama Olga ubriaca, «la libertà di pensiero non porta da nessuna parte».

Il testo è interessante, punteggiato da riprese del testo cecoviano, rovesciato a creare cortocircuiti di senso. Ad esempio, Andrej incontra Janine nella discoteca “Mosca”; Georg immagina il futuro fra due-trecento anni, scimmiottando le riflessioni del colonnello Vierscìnin dell’originale.  Il cast è affiatato e si distinguono le prove della Santoro e della Cambiale, come pure gli interventi di Rustioni; più pallide le altre interpretazioni.

Ciò che non convince è la prima parte dello spettacolo, infarcita di battute salaci da intellettualoidi alla Woody Allen. L’impasto però non decolla, o meglio, i toni iperbolici ammiccano solo per ottenere la risata facile del pubblico, con ritmi dal sapore televisivo e a tratti fastidiosi (si pensi al divano di Friends o alla famiglia dei Robinson). Lunghi e poco significativi gli stacchi di proiezioni e musica che segnano il passaggio cronologico all’anno successivo, mentre è più riuscito il disegno di climax discendente degli altri due atti, quando cadono le maschere, si rivelano nervi scoperti e disperazioni personali, mentre nell’aria continua ad aleggiare lo spettro di Cechov. Pare di risentire le sue Sorelle, che concludevano con una riflessione sul tempo: «Passerà il tempo, e anche noi ce ne andremo per sempre. Saremo dimenticate. Ma le nostre sofferenze si muteranno in gioia per coloro che verranno dopo di noi». Nessuno può dimenticare Cechov, ma tutti abitiamo in una Villa Dolorosa.

Villa Dolorosa – Tre compleanni falliti
di Rebekka Kricheldorf
adattamento e regia: Roberto Rustioni
Produzione Fattore K
Teatro Franco Parenti, Milano
8-24 marzo 2016

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Gilda Tentorio

Grecia e teatro riempiono la mia vita e i miei studi.
Sono spazi fisici e dell'anima dove amo sempre tornare.

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