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In my secret life: due fotografi e il ritratto di un’America a luci rosse

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5 minuti di lettura

«La fotografia» – dichiarava con certezza Susan Sontag – «è una storia incompleta, una sorta di capolavoro mozzato, un insieme di storie assurdamente realistiche e parole incompiute, per questo preziose». Ci muoviamo così tra le fotografie erotiche, in particolare quelle tra gli anni ’20 e ’80, con una serie di storie interrotte, di condizioni e momenti immobilizzati per sempre, come a descrivere un luogo, una canzone e un’epoca intera.

E.J Bellocq ©Photographs from Storyville, the Red-Light District of New Orleans
E.J Bellocq ©Photographs from Storyville, the Red-Light District of New Orleans

Imbattersi in una fotografia erotica datata anni ’20 è come sintonizzarsi su una canzone di Sophie Tucker: Some of these days  crea il sottofondo adatto per inquadrare l’atmosfera necessaria. Proprio quegli anni segnano il periodo d’oro della fotografia erotica, sono quelle stanze, quella carta da parati, quei quartieri e quei primi ritratti femminili a sprigionare, verso un pubblico stupito, una mescolanza di intimità e scandalo, presente già in autori come E.J. Bellocq. 

E.J. Bellocq ©Photographs from Storyville, the Red-Light District of New Orleans Per vedere senza censura, clicca sull'immagine
E.J. Bellocq ©Photographs from Storyville, the Red-Light District of New Orleans
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All’anagrafe John Ernest Joseph Bellocq nasce a New Orleans nel mese di agosto del 1873 e, come molte persone in città, ha radici in Francia, la sua è un’aristocratica famiglia creola. La sua predisposizione verso la fotografia nasce proprio negli anni in cui la fotografia stessa sta muovendo i suoi primi passi nel mondo dell’arte: inizia fotografando navi e macchine ma ben presto viene attratto dal quartiere a luci rosse di Storyville, che finisce nel suo mirino per anni. Le prostitute che frequentano Storyville – luogo nel quale i visitatori potevano acquistare il blue book su cui trovare l’elenco in ordine alfabetico di nomi, indirizzi e prestazioni di più di 700 prostitute – diventano le protagoniste ideali del ritratto fotografico del quartiere stesso.

E.J Bellocq ©Photographs from Storyville, the Red-Light District of New Orleans Per vedere senza censura, clicca sull'immagine
E.J Bellocq ©Photographs from Storyville, the Red-Light District of New Orleans
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Photographs from Storyville, the Red-Light District of New Orleans è un vero e proprio ritratto americano, nel quale emerge il lato più nascosto dell’America di quegli anni, tanto immaginato quanto ostentato. I corpi delle donne disinibiti, i vestiti sciupati, le grandi camere chiuse agli sguardi altrui e i divani comodi diventano per Bellocq fonte di grande ispirazione; ma a loro volta le opere di Bellocq influenzeranno numerosi romanzi, novelle, film e poesie, come quella di Ophelia, nome immaginario di una prostituta fotografata nel 1912 e diventata la musa di una grande quantità di artisti.

«I pose nude for this photograph, awkward,
one arm folded behind my back, the other
limp at my side. Seated, I raise my chin,
my back so straight I imagine the bones
separating in my spine, my neck lengthening
like evening shadow. When I see this plate
I try to recall what I was thinking—
how not to be exposed, though naked, how
to wear skin like a garment, seamless.
Bellocq thinks I’m right for the camera, keeps
coming to my room. These plates are fragile,
he says, showing me how easy it is
to shatter this image of myself, how
a quick scratch carves a scar across my chest».

Natasha Trethewey
from “Storyville Diary,” Photography 1911
Excerpted from Bellocq’s Ophelia

L’intera serie di Bellocq contiene solamente due immagini che raffigurano un salotto, per il resto fotografa i suoi soggetti a figura intera. Le immagini sono notevoli per le loro impostazioni modeste e informali: la maestria del fotografo sta nell’essere riuscito a catturare molti dei volti di Storyville nella neutralità delle proprie abitazioni, chiedendo loro semplicemente di essere se stesse di fronte alla sua fotocamera. Non vediamo così pinup sessualizzate per le cartoline erotiche, bensì fotografie che risultano integre, profonde e cariche di significato.

«Le uniche immagini che sembrano trasmettere qualcosa della meschinità e abiezione della vita di una prostituta sono quelli in cui le facce sono state graffiate dopo la stampa, una scelta artistica dello stesso Bellocq». 
Susan Sontag Bellocq’s Storyville: New Orleans at the Turn of the Twentieth Century, The Independent, June 1, 1996.

E.J Bellocq ©Photographs from Storyville, the Red-Light District of New Orleans Per vedere senza censura, clicca sull'immagine
E.J Bellocq ©Photographs from Storyville, the Red-Light District of New Orleans
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Le foto scattate a Storyville oggi sono riconoscibili come capsule, ritratti fermi di un’umanità, e anche di un’innocenza, lontana dalle luci rosse di New Orleans. 

Lo scorrere degli anni ha cambiato il destino dei quartieri a luci rosse, come la vita delle prostitute stesse e, se ci catapultiamo negli anni ’80, Scot Sothern diventa la voce narrante di questa evoluzione del mercato del sesso. Il suo Lowlife (letteralmente vita bassa) Photographs and Literary Vignettes è illuminante, sia come sguardo grintoso sulla realtà degli americani privati dei diritti civili che come commento impassibile sul commercio umano.

«I know a place not far from here where I can take your picture»
(Conosco un posto non lontano da qui dove posso prendere la vostra immagine)
Scot Sothern

©Scot Sothern Lowlife:Photographs and Literary Vignettes
©Scot Sothern Lowlife: Photographs and Literary Vignettes

Questa volta sembra di entrare in una delle canzoni folk di Leonard Cohen, proprio nella più intima delle storie: in my secret life dove Sothern è un moderno Bellocq, che invece di sedersi in un bordello di New Orleans nel 1912, guida per le strade della California meridionale alla fine degli anni ’80, armato semplicemente di una Nikon e di un flash.

«Le fotografie di Scot Sothern di stanze buie, facce contorte e corpi abusati ma imbattuti rivelano l’ipocrisia di una società che teme e festeggia contemporaneamente, a buon mercato, il sesso. Un mondo in cui entrambi, venditori e acquirenti, sono vittime di bisogni disperati ma distinti. Le sue immagini ci dicono qualcosa sulle persone e ci insegnano le verità difficili circa la condizione di animali che con tutti noi deve convivere».
John Sevigny

©Scot Sothern Lowlife: Photographs and Literary Vignettes Per vedere senza censura, clicca sull'immagine
©Scot Sothern Lowlife: Photographs and Literary Vignettes
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Tra confessioni confuse e infatuazioni noir queste storie e queste immagini, scattate per lo più nel sud della California tra il 1986 e il 1990, registrano l’esistenza di molte vite senza diritti, uomini e donne che per essere lavoratori del sesso lottano in una cultura che li ritiene criminali e sacrificabili.

«La fotografia» – dice Scot Southern – «non è stato un interesse che è cresciuto, è qualcosa che è nato con me». Il padre possedeva uno studio fotografico per ritratti di matrimoni e battesimi e si può dire che il primo ricordo di Scot è legato proprio ad una fotografia. «My first clear memory correspond to a photograph and because of that I’m not sure if it’s a memory» (Il mio primo ricordo chiaro corrisponde a una fotografia e per questo io non sono sicuro se è un ricordo).

Storyville e Lowlife sono entrambi libri fotografici, seppur distanti più di mezzo secolo uno dall’altro, e se analizzati con maggiore attenzione diventano un diario illustrato di una disfunzione di cui la nostra società soffre da tempi immemorabili. La consapevolezza fotografica ha permesso questo, una sorta di cognizione del limite insito nel mezzo stesso che, incompleto, ricerca nell’osservatore la prontezza di cercare e di aggiungere quel che manca, in questo caso la sensibilità.

 

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Fausta Riva

Fausta Riva nasce in Brianza nel 1990.
Geografa di formazione(Geography L-6) poi specializzata in fotografia al cfp Bauer.
Oggi collabora con agenzie fotografiche e lavora come freelance nel mondo della comunicazione visiva.
Fausta Riva nasce sognatrice, esploratrice dell’ordinario. Ama le poesie, ama perdersi e lasciarsi ispirare.