Il legame fra le esperienze personali e la poetica di un autore è sicuramente un nodo cruciale per comprenderne appieno l’arte; così non sembra un caso l’ossessione del fotografo francese Guy Bourdin (Parigi, 2 dicembre 1928 – Parigi, 29 marzo 1991) di ritrarre esclusivamente modelle dalle caratteristiche affini ai pochi ricordi che lui ha della madre che lo aveva abbandonato quando era un bambino. Egli fotografa, infatti, solo donne pallide e pesantemente truccate.
«Guy Bourdin influenced a generation of photographers with sadistic images drawn from his own appetite for sexual perversion».
(Guy Bourdin ha influenzato una generazione di fotografi con immagini sadiche riprese direttamente dal suo appetito per la perversione sessuale)
Gaby Wood, Death becomes her, in Culture, The Observer, 13 aprile 2003
Bourdin si avvicina alla fotografia a Dakar, durante il servizio militare. Dopo quest’esperienza torna a Parigi e conosce quello che sarebbe poi divenuto il suo mentore: l’artista Man Ray, ricordato anche come uno dei massimi esponenti del dadaismo e certo ebbe un ruolo cruciale nel definirsi della poetica bourdiana, che si configura come strettamente legata alla pittura. Nel 1955 inizia a collaborare con Vogue Paris e si apre davanti a lui una grande carriera nel mondo della moda e spicca per il suo gusto grottesco, provocatorio e decisamente fuori dall’ordinario il cui fulcro centrale non è il prodotto da sponsorizzare, quanto l’immagine in sé. Le protagoniste delle sue fotografie sono principalmente donne, quasi mai riprese per intero: si sottolineano di loro determinate parti anatomiche, soprattutto le gambe.
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Il mondo che si crea oltre l’obiettivo di Bourdin è sospeso in un’atmosfera onirica e misteriosa, in cui la fanno da padroni tacchi e set angusti, grotteschi o surreali: alberghi con tappezzeria fuori moda, muri scrostati, desolati paesaggi urbani.
«Ciò che Guy ha creato è stato condurre la propria psicoanalisi in Vogue»
Serge Lutens su Guy Bourdin
Per ottenere questi effetti l’artista gioca molto sul colore, accostando spesso toni accessi e in tal maniera conferisce alle figure una consistenza plastica, tanto che le scene sembrano spesso riprese da una casa delle bambole. Si direbbe al limite della misantropia, con donne ridotte a meri oggetti di gioco o, al massimo, a corpi inermi e senza vita ma è difficile esprimersi a favore di giudizi così forti, negativi ed estremi anche se lo stesso Guy Bourdin è ricordato come un essere basso dalla voce languida e dai modi bruschi, soprattutto nei confronti delle sue modelle. Un individuo certo curioso, sul conto del quale giravano voci sinistre alimentate dai suicidii di due sue amiche e della moglie.
Guy non perdonò mai la madre per averlo abbandonato. Era duro con le donne
(Michel, il fratellastro)
He and I had so much in common – friends, a love of shoes – yet I was never a friend of Bourdin. (…) He was a very strange man, clearly driven by demons. He was short, with a whiny voice, and incredibly demanding; incredibly, everyone loved him and wanted to work with him. Even his friends said he was essentially unknowable. Dark rumours surrounded him: his mother abandoning him; his wife’s suicide; the fact that his girlfriends always seemed to end up injured or dead
(Avevamo molto in comune – gli amici e l’amore per le scarpe – ma non sono mai stato amico di Bourdin. Era un uomo molto strano, chiaramente afflitto da demoni. Era basso, con una voce lamentosa ed era incredibilmente esigente: sorprendentemente, tutti lo amavano e volevano lavorare con lui. Persino i suoi amici dicevano che era praticamente inconoscibile. Strane voci lo circondavano: sua madre che l’aveva abbandonato; il suicidio di sua moglie; il fatto che le sue amiche sembra finissero sempre o ferite o morte)
Manolo Blahnik su Guy Bourdin
Esiste un limite oltre il quale si trova la follia: Bourdin non ha paura di superarlo e il suo genio rende tale follia materia di moda e di arte in un’ansia surrealista e visionaria. Le sue immagini – con la violenza, le strane pose pericolose al limite del sadismo e un’eccentricità che si tinge spesso di sangue – sono parte di una storia che l’osservatore non può conoscere, sono tasselli di una trama più ampia da cui siamo esclusi. Eppure, in tanto mistero, Guy Bourdin sa mettere la bellezza: al limite della perversione, ma pur sempre di bellezza si tratta.
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