Con 173 voti favorevoli e 71 contrari, giovedì 25 febbraio il Senato ha votato la fiducia al maxi-emendamento del Governo al Ddl Cirinnà. Il lungo e sofferto iter parlamentare delle unioni civili sembra aver finalmente superato l’ostacolo più grande: salvo sorprese clamorose, infatti, la Camera dei Deputati confermerà l’impianto normativo uscito dal Senato, segnando così la più importante riforma del diritto di famiglia dal 1975 ad oggi.
Nonostante i proclami da parte della senatrice Monica Cirinnà e della minoranza del Partito Democratico, come avevamo anticipato il Ddl Cirinnà era destinato ad essere modificato (rispetto al testo uscito dalla Commissione) per ricevere l’approvazione del Senato. Così, infatti, è avvenuto: PD e Nuovo Centro Destra hanno raggiunto l’accordo sullo stralcio della stepchild adoption e dell’obbligo di fedeltà dal disegno di legge, modifiche che ne hanno consentito l’approvazione a larga maggioranza ma anche causato forti proteste davanti a Palazzo Madama da parte delle associazioni LGBT. Se estende alle coppie gay tutti i diritti del matrimonio, infatti, il Ddl Cirinnà non segna l’approdo dell’Italia al novero dei Paesi occidentali che riconoscono piena uguaglianza alle famiglie omosessuali: il nostro Paese prosegue, di fatto, lungo la strada del principio «separate but equal».
DIRITTI SENZA UGUAGLIANZA – Va detto subito: il Ddl Cirinnà include nelle unioni civili tutti i diritti previsti per il matrimonio. Dai diritti patrimoniali all’eredità (compresa la legittima), dal ricongiungimento familiare all’ottenimento della cittadinanza italiana per lo straniero unito civilmente, dal diritto al mantenimento ed agli alimenti al diritto alla pensione di reversibilità, dal congedo matrimoniale a tutte le prerogative in materia di lavoro, dalla disciplina sui carichi di famiglia alle imposte di successione e donazione, dagli assegni familiari a tutte le disposizioni fiscali, dall’impresa familiare alle numerose norme del codice civile in materia di contratti, prescrizione ed altro, dalle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi popolari ai punteggi per i concorsi e i trasferimenti, dai trattamenti pensionistici, assicurativi e previdenziali al diritto di ricevere informazioni sullo stato di salute e le opportunità terapeutiche, dalle decisioni sulla salute in caso di incapacità alle norme in materia di diritto e di procedura penale (e così via): dal punto di vista dei diritti conseguenti all’atto di unione, ad eccezione dei diritti di filiazione l’uguaglianza tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali è stata raggiunta.
Dove risiede, dunque, la mancanza di uguaglianza? Numerose (e talvolta bizzarre) sono le differenze rispetto al matrimonio, dalla mancanza dell’obbligo di fedeltà allo snellimento procedurale (non sarà più necessario attendere la pubblicazione sul registro civile) al divorzio breve (sono sufficienti 3 mesi dalla dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile) alla libertà di scelta del cognome, ma il punto della questione è un altro: a livello politico-culturale, prima ancora che normativo, si è scelto di procedere verso una piena uguaglianza tra famiglie eterosessuali e coppie omosessuali. La discriminazione matrimoniale nei confronti della minoranza LGBT non è stata superata, nonostante in larga parte d’Europa siano già stati fatti passi decisivi in questa direzione, per ragioni che attengono sostanzialmente alla cultura cattolica, ancora fortemente influente sulle istituzioni a prescindere dal suo essere o meno maggioritaria tra gli italiani. Soprattutto, è stato avvilente assistere alla pusillanimità della nostra classe dirigente, che ha invocato inesistenti vincoli costituzionali per giustificare la propria mancanza di coraggio (laddove non l’aperta ostilità nei confronti dell’uguaglianza matrimoniale).
IL MINISTRO ALFANO E LA “NATURA” – Nel corso della giornata di giovedì, durante la conferenza di rito propedeutica al voto in aula, il Ministro degli Interni Angelino Alfano non ha usato mezzi termini: «È stato un bel regalo all’Italia avere impedito che due persone dello stesso sesso, cui lo impedisce la natura, avessero la possibilità di avere un figlio. Abbiamo impedito una rivoluzione contronatura e antropologica». Un’affermazione che ha suscitato la (a dir la verità, moderatissima) stizza del Partito Democratico ed una feroce indignazione in tutto il Paese, data la volontà di rimarcare le differenze antropologiche e quasi “ontologiche” tra i “normali” eterosessuali ed i “deviati” omosessuali. Una concezione fortemente tradizionalista della “natura”, intesa come “ordine creato da Dio”, ed una visione dell’uomo, patrimonio di un cattolicesimo integralista purtroppo ancora largamente diffuso nella società italiana, che rallenta fortemente il percorso dell’uguaglianza e ancora oggi relega i gay in un apartheid socio-culturale.
Indubbiamente non è compito della legge cambiare la cultura: al contrario, è l’ordinamento giuridico a dover essere lo specchio delle tendenze culturali e dei cambiamenti che avvengono nel corpo sociale. In questo senso, è forte la sensazione che le istituzioni italiane siano in ritardo rispetto alle evoluzioni intervenute nella cultura e nel modo di pensare degli italiani: tra i quali, sebbene in ritardo di decenni rispetto al resto del mondo occidentale, si sta sempre più diffondendo l’idea che l’omosessualità sia una tendenza perfettamente naturale dell’essere umano, una tendenza differente dalla “media” ma non inferiore sul piano del valore o della “salute” dell’organismo. Così come si sta affermando l’idea che le coppie omosessuali siano “famiglie” nel senso comune della parola, e non uno strano aggregato socio-sentimentale: da questo punto di vista il Ddl Cirinnà è molto esplicito, parlando della vita di coppia nelle unioni civili come di una “vita familiare”. Non che ce ne fosse bisogno, dato che le famiglie sono una realtà pre-giuridica che non necessita del diritto per essere affermata e riconosciuta: il passo in avanti è comunque decisivo, a prescindere da cosa ne pensi il Ministro Alfano.
LA VERGOGNA DEI DIRITTI NEGATI AI BAMBINI – L’aspetto indubbiamente peggiore del maxi-emendamento del Governo, frutto della volontà dei cattolici di imporre la propria visione del mondo e rimarcare le differenze sostanziali tra coppie omosessuali e famiglie eterosessuali, è lo stralcio della stepchild adoption. È davvero inaccettabile che, in un Paese democratico che si richiama ai valori occidentali, non sia stato possibile mettere nero su bianco il principio del diritto dei bambini al riconoscimento giuridico della relazione con i propri genitori, a prescindere dall’orientamento sessuale di questi. Sono oltre duecentomila i bambini che attualmente già vivono con due genitori dello stesso sesso: il Governo Renzi ha rinunciato a riconoscere sul piano del diritto una realtà già esistente nella nostra società, negando così un diritto pensato per tutelare il minore.
Nei giorni scorsi era stato lanciato un appello per confermare la stepchild adoption nell’impianto del Ddl Cirinnà, ma la politica ha preferito “lavarsene le mani” e scaricare la responsabilità sui giudici: inserendo nel testo della legge l’espressione “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”, una disposizione che non ha altro significato se non quello di avallare il percorso giurisprudenziale intrapreso negli ultimi anni. Con l’approvazione dell’articolo 5, la famosa stepchild adoption appunto, nulla sarebbe cambiato nelle modalità, nei tempi e nei costi già previsti per le procedure di adozione da parte dei giudici minorili: le famiglie arcobaleno potranno infatti rivolgersi ugualmente alla magistratura, e con ancora più ottimismo e fiducia di prima, ma la rinuncia del nostro Parlamento al riconoscimento ufficiale della stepchild adoption è un fatto simbolico particolarmente significativo delle resistenze politico-culturali alle tendenze già in atto nella società italiana e ci fa fare una figura davvero meschina e vergognosa nei confronti del resto dell’Occidente civilizzato.
L’approvazione del Ddl Cirinnà segna dunque un primo, fondamentale passo nella direzione dell’uguaglianza, che tuttavia oggi ancora manca. La comunità LGBT ha ottenuto i diritti, senza vedersi riconosciuta l’uguaglianza. I toni trionfalistici ed entusiastici di larga parte della classe politica sono dunque eccessivi e lontani dal sentimento di rabbia e rassegnazione che c’è nel Paese. La battaglia per la piena uguaglianza è già ripartita: il 5 marzo si terrà a Roma una grande manifestazione di protesta, e la spinta dell’Italia progressista non cesserà fino a che non sarà raggiunta la piena uguaglianza matrimoniale.
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