Sempre con il cappello in testa, la barba bianca, un paio di occhiali, da sole o da vista e una trascinante padronanza del palcoscenico. Il Francesco De Gregori del Vivavoce Tour gira l’Italia con i suoi successi immortali, accompagnati ad altri meno noti, tutti con un nuovi arrangiamenti. Una veste sgargiante, multicolore, che conferisce un’energia del tutto nuova anche a brani entrati nell’immaginario collettivo da trenta o quarant’anni. Insomma, il Principe indossa vestiti nuovi, probabilmente più leggeri, che gli stanno perfettamente, se non meglio dei precedenti.
Francesco De Gregori intona con la sua voce perfetta, senza l’ombra di un cedimento, e si diverte, forse come prima d’ora aveva fatto solo in compagnia di Lucio Dalla, e omaggia l’amico bolognese con le note finali di Santa Lucia, in cui il violino cita il tema di Come è profondo il mare. L’ovazione del pubblico è immediata, e il Principe, stavolta, si toglie il cappello. Chapeau. E’ uno dei momenti più emozionanti del concerto, che in due ore di tempo, troppo rapide, accosta quelle canzoni malinconiche, venate di nostalgia, come Caterina o la meno conosciuta La testa nel secchio, ad altre più esuberanti, se non nei testi, sicuramente nell’arrangiamento scattante, come la sempre irresistibile Titanic.
I risultati migliori, però, come è congeniale alla sua voce, Francesco De Gregori, forse, li raggiunge quando canta accompagnato da pochi strumenti: indimenticabile, ad esempio, la versione de La donna cannone. Il pianoforte, con l’introduzione che è la più celebre del cantautore, sostiene un canto intimo, poco dopo arriva il violino solista a rendere ancora più ineffabile il tutto. Si ha l’impressione di un rapporto simbiotico dell’artista con la propria creazione: De Gregori canta La donna cannone come se modulasse, con un filo di voce, la ninna nanna per un bambino.
Lo stesso effetto si ha con la già citata Santa Lucia, una preghiera così densa di commozione e così colma di voglia di sperare, o con Atlantide, o con La leva calcistica della classe ’68, che proprio Lucio Dalla considerava una delle canzoni più belle del cantautorato italiano, in cui il calcio si fa metafora della vita, è nuovamente un invito a non arrendersi.
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A colpire, comunque, è anche la vivace disponibilità a “giocare” con il pubblico, ad esempio nel ritardare simpaticamente il ritornello di Niente da capire, inducendo così in errore chi canta con lui. A cantare con lui era davvero tutto il Palazzetto Carisport di Cesena: Viva l’Italia, Generale, Alice, Rimmel (che quest’anno compie quarant’anni) risuonavano amplificate da migliaia di bocche, mentre sul palco la band “capeggiata” dal bassista Guido Guglielminetti colorava questi pezzi sempreverdi in una maniera nuova e smagliante.
Al termine, i bis sono numerosi, ma uno è gustoso più di tutti: si tratta di Vola vola: è una canzone, se vogliamo, “piccola”, una sorta di stornello o di filastrocca, dolce e delicata come un canto popolare. Accanto a pezzi immensi, Vola vola è quasi un’oasi di innocenza, e la si ascolta con la bocca aperta e la meraviglia nel cuore. Solo a un grande artista riescono questi miracoli, e De Gregori lo è. L’applauso del pubblico pagante, interminabile, lo ha sottolineato.
Michele Donati
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