Oggi intervistiamo Giacomo Leopardi.
- Signor Leopardi, lei è nato e vissuto a Recanati. Come descriverebbe il suo paese?
- Il natio borgo selvaggio
- Selvaggio?
- Vede, Recanati è un paese piccolo, semplice e rude. La popolazione contadina non ha saputo apprezzare la grande biblioteca allestita da mio padre, Monaldo.
- A proposito di questo, quanti volumi conta la sua biblioteca?
- Circa ventimila.
- E si vocifera che lei ne abbia letti una grandissima parte.
- Tra le sudate carte ho speso gran parte della mia giovinezza. Sette anni di studio matto e disperatissimo, che hanno influito sulla mia labile salute e sul mio sì fragile fisico. Insomma, non ho seguito molto il precetto quintilianeo “mens sana in corpore sano”. La natura, inoltre, non ha amato molto il mio aspetto esteriore. Rinchiuso nel buio del mio studiolo ho passato gli anni migliori nel dialogo con gli antichi. Ma quante cose mi hanno detto! E, quando potevo, mi affacciavo alla finestra e vedevo la piazza in festa, il sabato, oppure di tanto in tanto ero distratto dal canto della fanciulla dirimpettaia..Silvia.
- Molti si chiedono se lei fosse innamorato di Silvia. Ci sveli questo segreto.
- Silvia…Era tutto quello che io non ero. Fresca e bella, gioia di vita e gioventù. Guance rosee e sabati del villaggio. La donzelletta che veniva dalla campagna all’ora del calar del sole…..Silvia. Ha avuto la fortuna di morire giovane.
- Mi scusi l’indiscrezione signor Leopardi, ma le pare una fortuna?
- Certo, non ha conosciuto la morte delle illusioni. È morta con loro
- La morte delle illusioni? Si spieghi meglio.
- Vede, le dicevo, ho passato sette anni di tormento. Volevo la gloria, e dunque studiavo, per poter produrre qualcosa di Grande, che mi avrebbe reso Immortale. Poi un giorno venne il buio.
- Parla della malattia agli occhi?
- Quella fu la manifestazione fisica del buio che occupò la mia anima e la mia mente. Fu causa ed effetto. Improvvisamente, nel buio, tutto fu più chiaro. Lo so, sembra un ossimoro, ma è così.
- Signor Leopardi, mi permetta di insistere. Cosa divenne più chiaro?
- L’arido vero! Fino ad allora mi ero nutrito di Illusioni antiche! La primavera degli antichi, i miti, Saffo e Bruto! Insomma: l’infinito oltre la siepe. La mente, vede signorina, la mente può spaziare verso mondi e speranze senza confine. Ma quando tutto tace, il silenzio di ogni canto, naturale o umano, rivela l’infinita vanità del tutto.
- Ed è così che ha iniziato a scrivere le sue poesie?
- No! in questa affermazione pone un gravissimo errore, che spesso voi tutti mi additate. La poesia, presti bene attenzione, e prestate attenzione anche voi altri che ascoltate, ebbene, la poesia nasce dalla bellezza. Solo le illusioni possono aiutare i nostri occhi a vedere quel bello che nutre la pianta del poeta. La poesia nasce dai sensi, e questo ce lo insegnano i greci. Platone non è un filosofo, è un poeta! I suoi miti sono pura poesia. Ma quando subentra la ragione, allora la poesia muore e bisogna fare filosofia.
- Ma lei signor Leopardi non ha smesso di poetare.
- Si sbaglia. Ho smesso per un certo periodo.
- Parla degli anni di stesura delle operette morali vero?
- Esattamente.
- Quest’opera viene spesso definita come l’apice del suo pessimismo: è veramente così?
- C’è un’evoluzione. Ma si potrebbe benissimo dire che abbia toccato le punte più elevate di pensiero pessimista.
- In quale delle operette?
- Direi il cantico del gallo silvestre.
- Signor Leopardi, come nasce il suo pessimismo?
- Io non sono pessimista.
- Ma come? L’ha ammesso lei stesso appena poco fa.
- Lo sono stato, ma non ho mai perso la speranza.
- Si spieghi meglio.
- Forse è meglio prima definire qualche altro punto. Mi faccia altre domande.
- Sappiamo che da ragazzo tentò di fuggire da Recanati. Questo tentativo di fuga fu, in qualche modo, legato al suo difficile rapporto con i genitori?
- Recanati non mi dava tutti gli stimoli che cercavo. Volevo vedere la varietà, per non cadere nel tedium vitae.
- Ma il suo tentativo fallì. E non ha risposto alla domanda sui genitori.
- Fallì, ma qualche anno dopo riuscii a lasciare casa. Ma il primo viaggio fu un’enorme delusione.
- Delusione?
- Roma è una città bigotta, ferma nell’antica erudizione e chiusa alle novità del mondo.
- I genitori? Evita di parlarne perchè ancora mosso da timore reverenziale nei confronti della madre?
- Mia madre in fin dei conti ci volle un gran bene, non era colpa sua se era stata educata ad un rigido cattolicesimo.
- É vero signor Leopardi che augurava ai suoi figli la morte?
- Pensava fosse il bene. Se esistesse la vita del regno di Dio non la biasimerei, dato che il mondo è fango.
- Se esistesse?
- Nessuno ne ha la certezza. Io sono materialista. Purtroppo mio padre riuscì ad ottenere il permesso di avere, e farmi leggere, i filosofi francesi messi all’indice. Loro hanno nutrito il mio ateismo. E poi, comunque, quel che importa è la felicità nel mondo. Questo cerca l’uomo. Questo distrugge la ragione, questo infanga la religione.
- Che cosa intende dire con questo?
- Torniamo al discorso delle Illusioni.
- Ebbene, ora proverò ad essere chiaro. Esiste una teoria, si trova nello Zibaldone ben formulata, su cui baso il mio pensiero, per la maggior parte.
- Sì, la teoria del piacere.
- Esatto, vedo che è preparata. Me la saprebbe spiegare?
- Certamente! L’uomo desidera infinitamente, a tal punto che il suo desiderio risulta essere inappagabile. Perché non esiste nulla in natura, infinito per estensione e durata, da poter spegnere del tutto quel desiderio.
- Esatto, saprebbe andare avanti?
- Forse è meglio che spieghi lei.
- Proverò a fare degli esempi. Immagini un bambino. Un bambino ha un desiderio da bambino, per esempio: desidera avere un cavallo. Il bambino culla questo desiderio e pensa che la ragione della sua infelicità sia il fatto di non avere questo cavallo. E così vive nella speranza di averlo, immagina notte-giorno il momento in cui si troverà davanti all’animale tanto sospirato, immagina la sua statura, il colore, immagina di pettinarne il crine, di montarlo, di passeggiare al passo per i prati. Il tutto è effimero, ha contorni VAGHI ed INDEFINITI. Questo sogno di speranza riempie le ore infinite del tempo.
- Arriva il giorno in cui il bambino ottiene il cavallo. Il che significa che il cavallo si fa carne. Il vago diviene concreto. Quale bambino non direbbe che “il sogno era meglio della realtà”? Perchè la realtà ha contorni, il desiderio è infinito.
- Poi che il bambino abbia giocato con il suo cavallo per un po’ di tempo, ne avrà noia. E così, quella che sembrava la risoluzione alla sua infelicità, si trasforma in tedio, in qualcosa di ancora più profondo dell’infelicità, per il suo stato piano e molle. E subentrerà un nuovo desiderio. Mi segue?
- Certo che sì.
- Ora, quando lei ha fame desidera mangiare, giusto?
- Certo
- E quando ha mangiato, si sente sazio
- Tendenzialmente è così
- Ma, dopo qualche ora, ha di nuovo fame
- É così.
- Per la sete, è ancora peggio
- Eccome.
- Noi abbiamo perennemente sete. E nulla può saziare fino in fondo una sete infinita. Badi bene SETE INFINITA, non DI INFINITO. Non ho mai parlato di Dio, chi dice così scempia le mie parole. E, per questo, viviamo in uno stato che oscilla tra noia e dolore. Immagini di avere perennemente sete.
- Sarebbe una tortura.
- Esatto. Per questo la Natura ci ha dato le Illusioni. Apparenze di infinito, apparenze di possibilità per l’uomo di essere felice.
- E quali sarebbero signor Leopardi?
- Le Illusioni antiche! La gloria, l’amor Patrio, la Bellezza. Ma poi l’uomo ha voluto Sapere. La ragione ha prevalso sulla fantasia ed è finito il tempo delle favole antiche. Ma non è solo colpa dell’uomo! La natura, matrigna, ha messo in noi la ragione, e non potevamo non usarla. Abbiamo diviso a pezzetti la realtà, abbiamo voluto metterci al pari di Giove. Abbiamo bestemmiato gli dei ed abbiamo conquistato quello che tanto abbiamo cercato. Allora tutto è diventato amaro.
- Poi c’è chi ci ha nutrito di false illusioni, più pericolose del vero. La religione, promette un domani che rende l’uomo vile. L’uomo vuole l’oggi, e la felicità immediata.
- E questo è ancora possibile?
- Nella mezza filosofia.
- Cosa intende per “mezza filosofia”?
- L’aurea mediocritas. Siamo giunti al tempo del disinganno, ma è ancora possibile rifugiarsi nella speranza e nel ricordo.
- I moralisti greci lo sapevano. Sa che ho tradotto Epitteto?
- No, questo non lo sapevo.
- Ebbene sì. La mezza filosofia contro il platonismo e il neoplatonismo.
- Torniamo al pessimismo quindi?
- Forse ora potremo spiegarci una volta per tutte. Esiste un’ultima illusione. Si chiama Amore.
- Ma « perì l’inganno estremo»?
- Fanny era solo un’altra Clodia! Guardi a Plotino e Profirio piuttosto
- Oppure alla Ginestra?
- Vedo che capisce. Non siamo dati a morire. Possiamo vivere per l’amor proprio e per l’amore per gli altri. L’uomo deve portare conforto agli altri uomini.
- Non ho mai capito chi mi definisce “pessimista”. Ho semplicemente svelato la verità. Non sono magnifiche sorti progressive le nostre. Eppure non si può recuperare l’antico vigore. Ma c’è una soluzione: non dimenticare mai l’entusiasmo del fanciullo che guarda il mondo per la prima volta. C’è una soluzione: unirsi in social catena.
- C’è una soluzione: essere un’umile ginestra e non smettere di rivolgere le proprie domande alla luna.
- La ringrazio.
- Aspetti, un’ultima domanda signor Leopardi. La siepe?
- Si ricordi questo: il naufragare è dolce.
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Costanza Motta
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