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Pederastia

L’amore ai tempi del Partenone, tra pederastia e omosessualità

6 minuti di lettura

«Se qualcuno mi concedesse, o Giovenzio,
di baciare i tuoi occhi di miele,
ti bacerei trecentomila volte
e mai mi sembrerebbe di essere sazio,
neppure se il raccolto dei nostri baci
fosse più fitto delle secche spighe.
»

A lungo si è provato a dimostrare che questi e altri versi di Catullo non fossero stati scritti per un uomo. Poesie e immagini assolutamente esplicite nella loro trasparenza sono state lette in chiave metaforica, interpretate in modi fantasiosi, accusate di essere fasulle. Ma, alla fine, ci si è dovuti arrendere all’evidenza: la storia della letteratura e dell’arte antica sono ricchissime di riferimenti all’amore omosessuale che davvero poco lasciano all’immaginazione.  Ha richiesto enormi sforzi agli studiosi dell’antichità ammettere che l’omosessualità in Grecia e a Roma era non solo accettata, ma anche considerata assolutamente normale. E tuttavia l’imbarazzo creato da questa evidenza non è nulla paragonato alla constatazione che l’omosessualità non era accettata in tutte le sue forme, ma soltanto in una: la pederastia, cioè il rapporto amoroso (che comprende quello erotico) tra un uomo adulto e un giovane di età variabile, ma senza dubbio inferiore ai diciotto anni. Anche agli occhi di noi uomini 2015, questa usanza sembra ripugnante, scandalosa, oscena, inaccettabile in una società civile. Come potevano società complesse come quelle dei Greci e dei Romani accettare questo?

Una diversa prospettiva erotica

La risposta sta nella diversa prospettiva da cui si guarda. Per noi l’amore ha due facce opposte: l’omosessualità e l’eterosessualità. Nel mondo antico, invece, avere rapporti con persone dello stesso sesso o di quello opposto non era rilevante: ciò che era importante era il ruolo che si ricopriva nella coppia. La caratteristica dell’uomo, inteso come maschio adulto, era l’essere attivo: attivo in politica, in guerra, nella scienza e nell’erotismo. Il che significava, in poche parole, che l’uomo fosse libero di sentirsi attratto da chiunque, uomo, donna, giovane, schiavo o libero che fosse, purché fosse il dominatore nel rapporto: la società, lungi dal biasimarlo, lo avrebbe anzi guardato con ammirazione per la sua “potenza”. Vergognoso era, se mai, comportarsi nella maniera opposta ed essere la parte passiva della coppia: la passività era propria della donna e un uomo passivo era, in pratica, equivalente ad una donna. Nella società antica non esisteva probabilmente insulto peggiore del dire a qualcuno che era “effeminato” o “molle come una donna”. In questo modo si spiegano alcuni carmi non esattamente delicati di Catullo:

«Vi inculerò e ve lo farò succhiare, Aurelio e Furio
froci ed invertiti che non siete altro!
Pensate che io sia poco virile
perché i miei versetti sono dolci?
Ma il poeta deve essere casto,
lui, ma non i suoi versi!
»

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La pederastia nel mondo antico

L’uomo greco e romano, insomma, non si faceva problemi ad instaurare relazioni omosessuali, ma aveva l’obbligo sociale di dover essere parte attiva della coppia. Di fatto, quindi, non era ben vista una coppia formata da uomini adulti, non tanto perché erano entrambi uomini, quanto perché erano entrambi adulti: uno dei due avrebbe dovuto necessariamente venire meno al suo ruolo virile e “fare la parte della donna”. Ma i maschi raggiungevano il loro status di uomini virili intorno ai diciotto anni, cioè quando iniziava a spuntare loro la barba. Fino ad allora, non erano uomini completi; nell’immaginario antico, anzi, essi erano equiparabili alle donne, poiché, come loro, non avevano piena capacità giuridica e decisionale. Gli adolescenti, in quanto tali, potevano dunque ricoprire il ruolo passivo in una coppia omosessuale senza il rischio di incorrere nel biasimo della società.

Prima che il nostro senso del pudore si ribelli di fronte a questo abominio, è necessario fare una precisazione. Innanzitutto, parafrasando una frase che si sente spesso dire, i giovani di allora non erano i giovani di oggi. Un quattordicenne del 2015 è poco più che un bambino, mentre nella Grecia del V secolo sarebbe stato un perfetto piccolo cittadino, pronto a prendere in mano le redini della sua vita; le ragazze, poi, a quattordici anni erano molto probabilmente già mogli e madri. In questa prospettiva, quindi, possiamo dare il beneficio del dubbio ai Greci e ai Romani e non bollarli come una massa di pervertiti. Ma il significato della pederastia era molto più profondo. Spesso si sente dire che “pederastia” è sinonimo di “pedofilia”, ma nulla potrebbe essere più lontano dal vero. Il rapporto tra adulto e giovane era regolato da rigidissime regole sociali, che implicavano che entrambi ottenessero un vantaggio da questo tipo di rapporto. Per l’adulto il vantaggio era nel piacere della relazione con il giovane; per il giovane l’amante doveva essere innanzitutto un maestro di vita, un insegnante pronto a trasmettergli tutto il suo sapere. Il giovane amato, dunque, non doveva essere troppo precipitoso nell’accettare le avances dell’adulto, perché doveva accertarsi che l’altro non fosse attratto semplicemente dal suo corpo; e l’amante adulto, da parte sua, doveva dimostrare di avere intenzioni serie ed essere disposto ad occuparsi dell’educazione del ragazzo. La relazione omosessuale tra giovane e adulto, insomma, era desiderabile per l’uno quanto per l’altro. Questo concetto è per noi estremamente difficile da comprendere, eppure risulta chiarissimo dalle parole di Alcibiade nel Simposio di Platone, che racconta in tono divertito i suoi falliti tentativi di farsi corteggiare da Socrate:

«Ebbene, amici, quando la lucerna fu spenta e i servi furono usciti, mi sembrò arrivato il momento di non ricorrere più a sotterfugi con lui, ma di confessargli apertamente i miei sentimenti. E scuotendolo gli dissi: […] “Io ti considero il solo amante degno di me, e mi sembra che tu esiti a dichiararti. Io per me sono arrivato alla conclusione che non considero irragionevole compiacerti in questo o in qualsiasi altro bene, mio o dei miei amici. Per me nulla è più onorevole che diventare quanto migliore mi riesce, e credo che a questo fine nessuno può aiutarmi più validamente di te. Non compiacendo un uomo quale tu sei, ne proverei vergogna davanti alle persone intelligenti più di quanta ne proverei, compiacendoti, di fronte alla massa degli ignoranti”. […] Orbene io, dopo questo colloquio, e avendo scagliato come dei dardi, credevo che lui ne fosse rimasto ferito; e, alzatomi, e senza lasciargli più aprire bocca, lo avvolsi nel mio manto e mi infilai sotto il suo mantellaccio e gettate le braccia attorno a questo essere veramente demoniaco e meraviglioso, rimasi sdraiato così tutta la notte […] e sappiate bene, per tutti gli dei e le dee, che mi levai dal letto dopo aver dormito con Socrate proprio come se avessi dormito con mio padre o con un fratello maggiore.»

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Ma altrettanto importante, sia per il giovane che per l’adulto, era capire quando bisognava porre termine alla relazione. Dato tutto quello che abbiamo detto, è semplice capire quando questo avveniva: quando il giovane diveniva a sua volta adulto e, ormai barbuto, compiva i riti di passaggio che lo avrebbero fatto diventare uomo. A quel punto era necessario per lui sposarsi e iniziare una nuova relazione, questa volta eterosessuale; dopo un ragionevole lasso di tempo, poteva a sua volta diventare – ed era consigliabile che lo diventasse – l’amante di un giovane. Ma l’omosessualità, nei tempi e nei modi che la società approvava, non era altro che uno dei modi in cui l’uomo poteva esprimere la sua potenza sessuale.

Saffo

L’amore saffico

Per concludere, un cenno all’amore lesbico. E può essere solo un cenno rapido, perché questo sì che era considerato scandaloso nel mondo antico e, di conseguenza, le notizie in proposito sono molto scarse. L’amore fra donne è stato cantato in versi meravigliosi dalla poetessa Saffo, maestra di un circolo per giovani fanciulle aristocratiche dove si insegnava tutto ciò che poteva servire alla futura vita coniugale: il ricamo, l’economia domestica, il canto, la danza e, perché no, l’ars amandi. Nonostante, anche qui, i numerosi tentativi di interpretarle come potenti manifestazioni di affetto, le poesie di Saffo non lasciano dubbi che le destinatarie fossero ragazze e che con loro la poetessa intratteneva rapporti fisici, oltre che intellettuali. Ma dopo tutto ciò che si è detto a proposito della pederastia, è facile pensare che anche questi rapporti tra fanciulle avessero finalità soprattutto educativa: una volta sposate, le giovani dovevano dimenticare l’affetto provato per la maestra e le compagne e concentrare tutte le proprie attenzioni sul marito. L’amore omoerotico tra donne adulte era, a livello sociale, del tutto inutile e cosa pensassero gli antichi delle donne che intrattenevano questo tipo di rapporti lo facciamo dire, ancora una volta, da Platone: le prostitute derivano da questa categoria.

 


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Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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