Vi sono continue lotte che si svolgono nello sconfinato campo di battaglia che è la mente umana. Ma quale è più lunga e dolorosa di quella combattuta fra il genio e la malattia? La genialità è un impulso ad essere, a creare, a superare i propri limiti, e la malattia debilita profondamente i mezzi dei quali l’artista dispone. Un’incarnazione di questo conflitto lo si può certamente trovare nel grande e talentuoso spirito di Virginia Woolf.
Nata a Londra il 25 gennaio 1882 da Julia e Leslie Stephen, Virginia Woolf fu circondata fin dall’infanzia da un’atmosfera culturale alla quale contribuirono gli stessi genitori. Sir Leslie Stephen era infatti un autore e curatore di grande rilievo, al centro dell’ambiente culturale inglese, mentre la madre Julia, di origini anglo-indiane, era una donna la cui bellezza fu motivo di ispirazione per artisti del calibro di Edward Burne–Jones. Ma fu proprio l’ambiente famigliare a causarle quei traumi che oggi vengono considerati le origini della sua malattia.
Le fu vietato di avere un’istruzione, a causa della bigotta morale vittoriana profondamente radicata nei coniugi Stephen, privandola così di qualsiasi possibilità di confronto. «Ero intelligente, stupida, bella, brutta, passionale, fredda? In parte perché non potei mai andare a scuola o competere coi miei coetanei, non fui in grado di confrontare i miei difetti e i miei pregi con gli altri».
Questa sofferenza, della quale non riuscì mai a liberarsi, fu però solo il preludio del vero dolore. All’età di tredici anni, perse infatti la madre, e nell’arco di pochi anni la sorellastra Stella, alla quale era profondamente legata e infine il padre nel 1904. Proprio in questo periodo si verificò il primo importante crollo nervoso, che la porterà, qualche anno dopo, al primo tentativo di suicidio. Ma la vita di Virginia Woolf non fu la vita di una vittima, bensì quella di una donna combattiva che non aveva intenzione di arrendersi davanti alla crudeltà del destino.
Tentò così di ricominciare, e insieme ai fratelli e ad un ristretto gruppo di amici, diede vita a quello che divenne il cuore pulsante della cultura inglese del tempo, il Bloomsbury group. Fu un periodo particolarmente importante per la sua formazione,sia culturale,sia umana,poiché poté godere della compagnia di grandi personalità,quali quella di T.S. Eliot e di un momentaneo stato di quiete. Ma anche questa gioia fu brutalmente strappata a Virginia Woolf e alla sua famiglia quando, nel 1906, l’amato fratello Toby morì di tifo. Distrutta dalla perdita di un’altra persona amata, Virginia cercò con tutte le sue forze di aggrapparsi ai pochi affetti rimastele, soprattutto alla sorella Vanessa, la quale, poco tempo dopo, si sposò con un caro amico di Toby, Clive Bell, lasciandola in un profondo stato di abbandono. Nemmeno il matrimonio, nel 1912, con quello che sarà il grande amore della sua vita, Leonard Woolf, riuscì a darle la pace che tanto agognava.
Una mente geniale iniziava così la sua strenua lotta contro la follia. Sentiva voci, voci maschili che la deridevano e la umiliavano. Perdeva il controllo e la cognizione del tempo. Compiva atti violenti contro le persone che amava. E tremava nel buio di una stanza in compagnia della sua solitudine.
Ho la sensazione di impazzire. Non posso più andare avanti in questi tempi terribili. Non devo guarire questa volta. Ascolto delle voci e non posso concentrarmi sul mio lavoro. Ho combattuto contro ciò ma non posso combattere più.
Solo quel foglio bianco e il nero inchiostro facevano filtrare un raggio di luce in quella profonda oscurità. Una spirale di fumo usciva dalla sua sigaretta, la penna fra le sua mani fremeva di impazienza, e poi le parole scorrevano. «Non c’è cancello, nessuna serratura, nessun bullone che potete regolare sulla libertà della mia mente». E infatti, nemmeno la sua mente offuscata dai vapori della pazzia le impedì di dare vita a opere grandiose oggi considerate fra le più importanti del XX secolo.
Riscopriva il rumore del mare e del vento delle estati della Cornovaglia progettando una Gita al faro con la famiglia Ramsay, e condivideva con loro il dolore della perdita. S’interrogava sul senso della vita mentre comprava i fiori con La signora Dalloway. Viveva la forza dell’amore, della poesia e del cambiamento passeggiando attraverso i secoli con Orlando e parlava a tutte le donne in Una stanza tutta per sé. Quella donna dunque, nata con il dono della poesia, era una donna infelice, una donna in lotta con se stessa. Tutte le condizioni della sua vita, tutti i suoi istinti, erano ostili a quello stato d’animo che è tuttavia indispensabile, se si vuole esprimere liberamente ciò che si ha nel cervello.
Virginia Woolf fu una grande scrittrice e una grande donna, il cui pensiero stese come un flusso su un candido pezzo di carta, la cui forza venne messa alla prova contro se stessa, il cui dolore fu perdonato con un ultimo atto d’amore. Perché è questo che fu, mentre, il 28 marzo 1942, le acque del fiume Ouse trasportavano alla deriva il suo corpo e la sua vita, e le sue ultime parole erano strette fra le mani di Leonard, quell’uomo che aveva amato il talento,che aveva adorato la donna, e che non aveva mai saputo lasciarla andare.
Quello che voglio dirti è che devo a te tutta la felicità che ho avuto nella mia vita. Hai avuto con me un’infinita pazienza, sei stato incredibilmente buono. Se qualcuno avesse potuto salvarmi questo qualcuno eri tu. Tutto se ne è andato via da me, tranne la certezza della tua bontà. Non posso più continuare a rovinarti la vita.
Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi.
V.
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