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La società, la disumanizzazione e i fatti di Parigi

I fatti di Parigi hanno messo in luce la crescente disumanizzazione che negli ultimi anni ha raggiunto livelli preoccupanti, diventando il fattore preponderante nelle relazioni umane.

3 minuti di lettura

La disumanizzazione della società

Nessuno è immune da rischi nel mondo. Non più.
Zygmunt Bauman

Era il 1999 quando Zygmunt Bauman scriveva In search of politics, tradotto e pubblicato in italiano nel 2000 dai tipi di Feltrinelli con il titolo La solitudine del cittadino globale. Un testo che quindici anni dopo è ancora terribilmente attuale, eppure, per certi versi, tristemente superato.

In peggio, si intende. Perché se pure le contraddizioni delle società post-industriali neoliberiste sono state benissimo messe in evidenza da tutto il filone di critica del potere di cui Bauman è uno dei più recenti esponenti, ciononostante nulla, da qualche decennio in avanti, si è guadagnato, e in particolare negli ultimi anni l’arretramento è stato a dir poco disumano.

Se Marx poté parlare di alienazione, Adorno di dominio, Marcuse di non-libertà, Camus di umiliazione e Bauman di iper-individualizzazione, oggi, quasi sicuramente, non commetteremmo un azzardo troppo grande a porre la disumanizzazione come fattore preponderante nel complesso intreccio di cause ed effetti che producono le relazioni umane. Le relazioni umane sono basate, influenzate o prodotte da fattori disumani(zzanti).

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A e non A: umano e disumano

Non sarebbe sterile porre al vaglio di un dubbio armato dei risvolti dell’oggi, i leviatani messi a fuoco dalla critica del potere (o del capitale) fino a questo momento, scopriremmo una contraddizione da mandar in ospedale Aristotele, in quanto per forza di cose dovremmo assistere alla coesistenza di A e non A. Nel momento di massima alienazione, abbiamo parallelamente una sensazione di massima inclusione; al massimo del dominio (la scansione dei volti) corrisponde la minor percezione della soggiogazione; alla peggiore non libertà, dovuta anche a un’ipertrofia di libertà, corrisponde la falsa-coscienza di una libertà pressoché assoluta; alle più terribili umiliazioni il massimo stoicismo; alla massima individualizzazione la permanenza h24 sulla piazza pubblica.

Non aveva torto Aristotele, e non sono impazziti tutti, o meglio in parte lo sono, impazziscono di continuo, perché l’ipocrisia fondante sulla quale basiamo le nostre vite non può che entrare in corto circuito incessantemente. Poiché non è vero che A e non A coesistono sullo stesso piano, A e non A coesistono sì, ma su piani separati: uno è il piano umano, l’altro e il piano disumano (di cui il mondo mediatico e digitale sono l’espressione più  evidente) che continua a schiacciare quello umano fino a fare in modo che la percezione di realtà venga rovesciata su di sé.

I fatti di Parigi 

La psicosi che è seguita ai fatti di Parigi spinge l’asticella della disumanizzazione delle nostre società a livelli non preoccupanti, ma schizofrenici. La paura e il panico scoppiati e aizzati a puntino tra la gente colpiscono un nervo scoperto, che all’improvviso si rivela tale: proprio nel momento in cui siamo il più in connessione possibile ci scopriamo drammaticamente soli. E soprattutto vulnerabili e senza reti di sicurezza che tengano.

Di fronte l’impossibilità di sopportare individualmente un simile trauma collettivo (e dunque ho paura, ho paura, ho paura!) scopriamo che le strutture di sicurezza (casa, stato, famiglia) sono andate in frantumi, e ciononostante riusciamo a fare di peggio: alla paura di poter essere colpiti ovunque e in qualsiasi momento non più dalle contraddizioni sociali (a monte e a valle del libro di Bauman con il quale abbiamo aperto) che minacciano i vari aspetti della nostra vita (casa, lavoro, amore), ma dalla morte itinerante e imprevedibile che minaccia la vita stessa, reagiamo alzando ancora di più le barricate dove già eravamo imprigionati.

Se non l’hanno fatto volutamente di proposito c’è da dire che i burattinai del potere hanno preso al volo la palla alzata dai pazzi assassini che essi stessi hanno affamato e armato: sospensione parziale (finora) del trattato di Schengen, restrizione delle libertà personali, stato di emergenza (eccezione) che impedisce o si prefigge di impedire assembramenti di persone in luoghi pubblici, escalation militare, restrizione della libertà di espressione (vedi caso Cecilia Strada e Giuseppe Genna).

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I problemi di fondo della disumanizzazione 

Il problema non è nemmeno questo, il problema è il consenso popolare. La folla sembra gridare «imprigionateci per proteggerci» laddove già si protegge da sola rinchiudendosi a casa, o escludendo ulteriormente lo straniero, il già escluso, il marginale. Il problema è la tragedia umanitaria che piomberà sui migranti e gli esuli in fuga dalle regioni che abbiamo devastato – ferita che pure cominciava a incidere qualche breccia nel muro dell’indifferenza.

Il problema è quello che siamo diventati. Un’immagine ci ha segnato più di tutte: la pioggia di bombe sulla Siria. E il cervello che di fronte alla distruzione non faceva che riportare il grido disperato Allah Akbar suggerendomi «vedi, sono dei fanatici che inneggiano ad Allah pure mentre piovono le bombe».

Poi si rinsavisce, ci si ricordano tutti gli Oh my God dei newyorkesi attoniti di fronte al secondo aereo che si schiantava contro le Torri Gemelle, tutti gli Oddio che esclamiamo quando gustiamo una prelibatezza, o, ancor più allucinante, facciamo l’amore.

Bisognerebbe ricordarsi sempre che i diversi sono molto più simili a noi di quanto pensiamo, pure se gridano a un dio differente, hanno una pelle di un altro colore o chiamano i loro figli con nomi impronunciabili.

Purché si resti umani, e umani si sta cominciando davvero a non esserlo più.

Sul perché, su A e non A insisteremo più avanti. Anche se un primo modo di disumanizzarsi meno sarebbe quello di sottrarsi, per quanto possibile e senza diventare indifferenti, a tutta la disumanizzazione (il mediatico) che ci piomba addosso.

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I quadri sono paesaggi urbani di Mario Sironi

di Aurelio Lentini

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Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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