Gli Stati Uniti d’America sono ancora oggi una potenza mondiale di primo piano, seppur in crisi sotto molti aspetti. Le elezioni presidenziali americane, per questo, catturano ogni volta l’attenzione di tutto il mondo. Dalla scelta del presidente a stelle e strisce dipendono le sorti e gli equilibri di molti altri paesi. Ma gli Stati Uniti hanno una storia relativamente molto breve, risalente al XVIII secolo; una storia fatta di lotte per l’indipendenza, di colonie, di scontri tra classi sociali diverse e ancora oggi marcati, di commerci.
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E questa storia, tutta settecentesca, fatta di legami, talvolta stretti, con l’Europa, ma anche di voglia di riscatto dal mondo europeo, ha visto tra i principali protagonisti un benestante possidente della Virginia, ufficiale dell’esercito, che si è mosso sul campo di battaglia con precisione ed estrema razionalità, così come la sua mano da geometra si è mossa sulle cartografie e sui disegni da lui stesso tracciati: George Washington. Forse mai, da giovane, avrebbe immaginato di tracciare, nella politica, i confini e le sorti di una nuova nazione: gli Stati Uniti.
Il geometra e il possidente
Ebbene sì. Il primo presidente degli Stati Uniti d’America, era un geometra. George Washington, nato in Virginia, a Bridges Creek, nel 1732, ha esercitato da giovane la professione di perito geometra. Cresciuto in una famiglia benestante, figlio di un proprietario terriero, aveva dimostrato fin da subito uno spiccato interesse per le discipline scientifiche, per i calcoli, per i disegni. Una devozione alla precisione, ai numeri, alla geometria, che lo accompagnerà anche sui campi di battaglia, dove non ha esitato a tracciare mappe, schemi, piani, disegni; come pure quando non ha mancato di dedicarsi, nella sua tenuta di Mount Vernon, ad alcune osservazioni astronomiche.
Oltre che geometra, ben presto, grazie anche a rapporti familiari e legami d’amicizia – diventò possidente, tra i più ricchi delle colonie, colonie inglesi in America, sulla costa orientale, che all’epoca erano 13. La nota proprietà di Mount Vernon, sede della storica dimora di George Washington, finì in suo possesso grazie ai rapporti con la famiglia Fairfax, della quale faceva parte la sua grande amica (o forse qualcosa in più) Sarah”Sally” Fairfax. Il fratello di George Washington, Lawrence, prima di morire aveva sposato una Fairfax, Annie, prendendo, oltre a lei, anche gli oltre 2000 acri del terreno di famiglia. Morto Lawrence, proprio il giovane geometra ne prenderà possesso.
In realtà George Washington da tempo frequentava già la famiglia Fairfax. Oltre all’amicizia con Sally, che durerà praticamente per tutta la vita (i due intrattenevano una fitta corrispondenza, in larga parte perduta perché Washington bruciava spesso le lettere temendo indiscrezioni), il giovane geometra era stato avvicinato dal padre di Sally, che proprio a lui aveva incaricato di eseguire misurazioni nelle sue terre. Preso in simpatia dalla famiglia, George Washington fu avviato negli ambienti della società alto-borghese coloniale. Pare che la stessa famiglia Fairfax spinse per il suo matrimonio con la ricca Martha Dandridge Curtis: un tentativo di far fare, al giovane geometra, rimasto orfano di padre, una scalata sociale facile e comoda.
Politica, società, denaro: la scalata sociale
Indubbiamente va sottolineato il ruolo di George Washington come possidente e amministratore di terre. Ci si stupisce ancora oggi – come fosse un’eccezione – che taluni uomini politici siano rappresentanti o portatori di grandi interessi economici, anche diretti; basti pensare a Donald Trump. Ma la politica americana, linfa vitale di un paese fortemente capitalista, fin dagli albori ha assistito a queste dinamiche.
Non possiamo non valutare, tracciando un’analisi storica, che certamente per George Washington anche le ricchezze e i possedimenti hanno rappresentato un ottimo trampolino di lancio sulla scena militare e poi politica. E non possiamo non valutare che l’attenzione nei suoi confronti, indubbiamente, pare difficile da immaginare senza considerare il suo figurare tra i più facoltosi possidenti dello Stato, legato a doppio filo a quell’alta borghesia coloniale che quasi palesava certe somiglianze con l’aristocrazia inglese ed europea.
Nulla di nuovo sul fronte occidentale, insomma. La storiografia più recente pare concordare sul fatto che quella società coloniale, specialmente i suoi ambienti più in vista, all’alba della guerra d’indipendenza e delle lotte per la libertà, non differiva poi tanto dai salotti di quei nobili inglesi destinati a diventarne nemici. I cambiamenti ci sono stati, ma sono stati lenti.
Il soldato
Di certo George Washington non si è fatto le ossa nello schieramento continentale, nella guerra d’indipendenza e nella politica americana, ma amministrando terreni, frequentando salotti e disegnando mappe. Il ruolo centrale, nella sua esperienza umana e poi politica, fu l’esperienza militare. Un cursus honorum rapidissimo sul campo di battaglia, che ne ha fatto l’eroe principale della Nazione, il generale che ha condotto le 13 colonie verso la libertà dalla corona britannica.
Intorno al 1752 l’ormai proprietario di Mount Vernon, fece il suo ingresso nella milizia della Virginia. Anche in questo caso, la provenienza familiare e lo status sociale giocarono un ruolo essenziale nel fargli attribuire il grado di maggiore. Sono gli anni che di poco precedono la guerra franco-indiana (1756-63). I coloni americani, all’epoca ancora coloni inglesi, furono impegnati in scontri diretti con l’esercito francese, alleato con i nativi. La milizia comandata da George Washington, che non risparmiò agli avversari feroci attacchi – ebbe il compito di difendere le aree strategiche per lo sviluppo coloniale dalle incursioni francesi.
Curiosa vicenda quella dei rapporti tra gli Stati Uniti, George Washington e la Francia. Se non altro perché poco dopo, durante la guerra d’indipendenza, la Francia si rivelerà, per le colonie e per lo stesso George Washington, a capo dell’esercito continentale, un’alleata indispensabile e forse cruciale per l’esito della guerra. Un rapporto che muta, dunque, e non soltanto in questo caso. Raggiunta l’indipendenza, gli Stati Uniti torneranno a riallacciare significativi rapporti commerciali con l’Inghilterra, aggirando le richieste francesi.
È il giugno del 1775 quando George Washington viene nominato comandante dell’esercito continentale. Un esercito infinitamente meno addestrato ed efficiente di quello britannico. Quest’ultimo era una macchina da guerra perfettamente oleata. Le famose giubbe rosse britanniche erano numerose, militarmente impeccabili e temutissime sul campo di battaglia. Il “metodo Washington“, perciò, fu uno solo: evitare di incontrare gli inglesi in campo aperto e procedere con azioni di guerriglia e attacchi a sorpresa, non mancando di ordinare ritirate strategiche quando le cose si mettevano particolarmente male.
L’esercito dei coloni non era un esercito. Neanche lontanamente. Nulla a che fare con la precisione da orologio delle truppe inglesi sul campo, guidate da generali raffinatissimi in strategie – come Charles Cornwallis – e neppure con l’esercito francese: entrambi da secoli preparati a vaste operazioni e a battaglie sanguinose. Quello statunitense è un esercito coloniale mal preparato, che scarseggiava anche di polvere da sparo. Saranno gli ex nemici (e poi amici) francesi a fornirgliela, per armarli contro gli inglesi.
La battaglia risolutiva per l’indipendenza americana – sancita intanto dalla Dichiarazione siglata nel 1776 – si svolse solo nel 1781, a Yorktown, in Virginia. Una serie di imprudenze e iniziative personali condotte dal generale inglese Charles Cornwallis, che contravvenne alle indicazioni del suo alto comando, lo portarono a trovarsi bloccato tra i nemici. Questi ultimi, esercito continentale e alleati francesi, assunsero invece un’abile posizionamento tra Rhode Island, New York e le aree costiere limitrofe.
Da una parte George Washington, dall’altra il comandante francese Jean-Baptiste Donatien de Vimeur de Rochambeau, poi Gilbert du Motier de La Fayette, a capo della milizia continentale, mentre sul mare le navi francesi del conte di Barras e del conte de Grasse. L’inglese Charles Cornwallis fu costretto alla resa, al termine di violente offensive nemiche, essendo fallita la sua proposta di armistizio, non accolta dai continentali. Nascevano, di fatto, gli Stati Uniti d’America, mentre gli inglesi rinunciavano al controllo sulle loro ormai ex colonie d’oltreoceano (Trattato di Parigi, 1783).
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Il politico
Prima di essere eletto presidente dei neonati Stati Uniti, George Washington prese parte, assiduamente, alle discussioni politiche per la fondazione del nuovo Stato. A Filadelfia, fu tra quei 54 deputati che presero parte al Congresso continentale. Si puntò quasi fin da subito – e George Washington fu favorevolissimo – a un’organizzazione federale del Paese. Come si puntò fin da subito a dotare gli Stati Uniti di un forte potere esecutivo, rappresentato in prima persona dal presidente.
Il presidente
Il 4 febbraio del 1789 fu proprio George Washington ad essere eletto – senza voti contrari – primo presidente degli Stati Uniti d’America. La nomina ufficiale avvenne presso la Federal Hall di New York. George Washington rimarrà presidente fino al 1797, seguito poi da John Adams, che era stato il suo vice. Inizialmente George Washington aveva rifiutato l’indennità di carica, 25mila dollari, che accettò in un secondo momento. Cercò in tutti i modi di non somigliare ad un sovrano europeo, di non far somigliare la presidenza a una corte europea, ma di farne una nuova istituzione democratica.
Inizialmente cercò addirittura di scoraggiare il formarsi di partiti politici e di fronti barricati su posizioni incontrovertibili. L’idea del neopresidente era quella di scongiurare il crearsi di contrapposizioni durature e continue, spesso futili. Ma spaccature e visioni opposte avrebbero in realtà fatto presto a sorgere. Per quanto riguarda la politica estera, il primo presidente mantenne una rotta neutralista, fuori dai confini nazionali. Nonostante le pressioni francesi, riallacciò ben presto rapporti con l’Inghilterra, garantendo scambi commerciali sicuri, costanti e proficui.
Cercando di tirare le somme sulla sua carriera politica e istituzionale, George Washington fu senza dubbio un presidente considerato esemplare, sul piano amministrativo, politico e ovviamente militare. La sua intraprendenza, la sua razionalità, ma anche la sua sobrietà nella gestione pubblica, ne hanno fatto un esempio di virtù politica e di equilibrio al potere. Rimase, praticamente fino alla fine dei suoi giorni, apprezzato politico e militare, considerato ancora oggi il primo tra i padri fondatori.
Le due anime: dall’elogio della libertà allo schiavismo
La figura umana di George Washington, come quella di molti altri personaggi, anche a lui contemporanei (una tra tutte Voltaire) non è esente da interpretazioni contrastanti. George Washington era, come diremmo oggi, progressista? O era fortemente conservatore? Inseguiva la libertà e l’uguaglianza oppure nella realtà quotidiana applicava e fomentava differenze sostanziali? Il primo presidente americano fu certamente un propugnatore dell’indipendenza coloniale, di una maggiore libertà e autonomia dei singoli (anche dal punto di vista religioso), ma è pur vero che non mancò di possedere e di sfruttare centinaia di schiavi.
La proprietà di Mount Vernon si reggeva e producevano solo ed esclusivamente grazie al costante e sfruttato lavoro di centinaia di schiavi. Erano circa 320 poco prima della morte di George Washington, ma ne transitarono dalla tenuta molti di più. Pare che mai procedette a venderli e commerciarli, ma di sicuro se ne servì per i suoi terreni, sfruttandoli, secondo alcuni testimoni, anche duramente. Ai suoi oltre 300 schiavi di colore, secondo le stime, almeno altri 150 erano di proprietà della moglie Martha, ereditati forse dalla sua famiglia.
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Sulla vicenda dei rapporti con gli schiavi non c’è unanimità d’interpretazione. Sono vicende che oggi a noi appaiono assurde, ma all’epoca – purtroppo – erano dinamiche diffuse e quasi scontate. All’abolizione della schiavitù si arrivò più tardi, non senza le travagliate dispute che hanno avviato poi la guerra civile, soprattutto tra stati del nord e stati del sud, dove la schiavitù era molto più presente e impiegata nei lavori dei campi.
Alcune fonti, tornando a noi, riferiscono di un atteggiamento di George Washington non eccessivamente severo con gli schiavi, trattati anche alla pari di cittadini e lavoratori normali. I riferimenti a tal proposito non sono, come dicevamo, unanimi. Sappiamo che il primo presidente si espresse più volte a favore di una graduale abolizione della schiavitù, che reggeva ancora fortemente l’economia agricola americana. Però non sappiamo, alla luce dei fatti, quanto abbia fatto per raggiungerla o quanto, convenientemente, non abbia fatto.
Il massone
George Washington, di famiglia e formazione anglicana, fu credente e praticante convinto. Non mancarono, anche pubblicamente, suoi apprezzamenti verso il credo cristiano. Da giovane prestò anche servizio come sagrestano in chiesa. Ciò non toglie che fu anche un grande massone. Iniziato nel 1752 nella loggia Fredericksburg della Virginia, percorse a salire tutti i gradi del rito massonico, sino a divenire, nel 1788, Maestro Venerabile e nel 1789 Gran Maestro.
La passione del primo presidente degli Stati Uniti per la massoneria e per l’esoterismo trovò espressione pratica nella grande attenzione prestata da George Washington all’astronomia, alla simbologia e alla ricerca personale. Alla cerimonia per la posa della prima pietra del Campidoglio, George Washington indossò il suo grembiule massonico che, secondo alcune fonti, gli fu regalato dal francese Gilbert du Motier de La Fayette.
L’incarico per la costruzione della capitale, che da George Washington prenderà il nome, sarà dato dal presidente a Pierre Charles L’Enfant, architetto e progettista anch’egli massone. Per la progettazione e la successiva realizzazione della città e degli edifici fu consultato anche un astronomo. Pare che George Washington e Pierre Charles L’Enfant non abbiano esitato a considerare e ad includere elementi, simboli e riferimenti al mondo massonico ed esoterico, nonché a precisi allineamenti astronomici. George Washington spirò, in seguito a una grave febbre con complicanze, a dicembre del 1799. Alla sua morte Napoleone Bonaparte decretò in Francia alcuni giorni di lutto.
Il whisky
Una curiosità per i non astemi.
Terminata, per così dire, la carriera politica e presidenziale, George Washington si diede alla produzione di whisky, avviando una distilleria a Mount Vernon. Poco prima della morte del presidente, la sua distilleria riuscì a produrre quantitativi tali da superare molte altre analoghe attività nello Stato. L’attività di produzione e vendita del whisky gli garantì entrate a quanto pare considerevoli.
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RIFERIMENTI:
- Guido Abbattista, La rivoluzione americana, Laterza, 2021
- Nicola Matteucci, La rivoluzione americana, Il Mulino, 1987
- Fernando Masullo, George Washington, il geometra patriota, repubblica.it, 4 gennaio 2016
- La Bibbia di George Washington, primo presidente degli Stati Uniti, grandeoriente.it, 13 maggio 2020
- Gordon Wood, I figli della libertà. Alle radici della democrazia, Giunti, 1996
- Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, edizione Einaudi 2009
- George Washington – Wikipedia