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Pier della Vigna: dalla corte di Federico II alla Commedia di Dante

Braccio destro di Federico II, consigliere e funzionario più fidato della corte di Svevia. E poi accusato di tradimento e collocato da Dante tra i sucidi. Ma chi era davvero Pier della Vigna?

7 minuti di lettura

Il busto in pietra di un uomo con la barba folta e una tunica annodata al petto, proveniente dall’antica porta di Capua. La menzione nei versi immortali di un’opera letteraria pilastro della nostra letteratura: la Commedia di Dante. Poi documenti e lettere, tante lettere. Questo ci rimane oggi di un controverso quanto affascinante personaggio della storia medievale: Pier della Vigna. Letterato, maestro dell’ars dictandi, consigliere e guardasigilli dell’imperatore Federico II di Svevia, morto con addosso la terribile accusa di tradimento.

Chi era? Chi era il braccio destro del Puer Apuliae, dello Stupor mundi? Chi era il consigliere e il funzionario più fidato della corte di Svevia? Chi era il letterato? Chi era il funzionario? Fu davvero un traditore? Cosa ci dicono le fonti? E cosa ci dicono i suoi scritti? Chi era l’uomo? Proveremo in questo articolo a sintetizzare l’esperienza intellettuale, umana e politica di un personaggio che ha segnato, al fianco destro dell’imperatore Federico, la prima metà del XIII secolo, lasciando tanti dubbi e tante parole.

La penna dell’imperatore nel cuore della corte di Sicilia

Una corte unica nel suo tempo, un’accolta di personaggi poliedrici, filosofi, artisti, poeti, astronomi, cavalieri e teologi. Un crocevia di civiltà, lingue e religioni differenti, col suo cuore a Palermo, in Sicilia e infinite ramificazioni nel Mezzogiorno d’Italia, in Puglia, in Campania, a Napoli, poi in Germania e a Gerusalemme, in Terra Santa.

Al centro di questa complessa realtà imperiale, ammirata e detestata, una schiera di cancellieri, consiglieri e funzionari circondava Federico II, sovrano colto e illuminato, anticipatore del Rinascimento. Tra questi, a capo della cancelleria, vi fu proprio Pier della Vigna.

Nato a Capua, probabilmente nel 1190, forse da tale Angelus de Vinea, magistrato di quella stessa città, egli iniziò il proprio cursus honorum intorno al 1220, come notaio della corte sveva. Pochi anni più tardi sarà già menzionato tra le figure di spicco della Magna Curia imperiale.

Frequentò molti di quei dotti che circolavano nella corte di Federico, tra i quali il filosofo Teodoro d’Antiochia. Fu giudice della corte imperiale e dagli anni Trenta del XIII secolo guardasigilli di Federico II. Nel 1231 non mancò tra i membri della commissione imperiale impegnata con le Costituzioni di Melfi, importantissimo codice federiciano.

Il castello di Melfi

E ancora fu diplomatico presso il Papa, per conto di Federico, ma anche nel Nord Italia e in Inghilterra, in vista degli accordi di matrimonio tra Isabella, la sorella del re Enrico III, e lo stesso Federico II, che la prese in terze nozze. Il re inglese in quell’occasione lo nominò anche suo vassallo. E con tutta probabilità fu la mano di Pier della Vigna a redigere quella generalis lictera, del 5 giugno 1224, ritenuta atto fondativo dell’Università di Napoli, che oggi porta il nome proprio di Federico II. Un personaggio, dunque, di primissimo piano della corte di Sicilia, braccio destro dell’imperatore e capo della sua cancelleria.

Federico II e Isabella d’Inghilterra, sua terza moglie

Il ricco epistolario e i documenti ufficiali dell’imperatore

Oltre a numerosi atti ufficiali redatti per conto dell’imperatore Federico II, nei quali Pier della Vigna fece trasparire la massima solennità e autorevolezza, scrivendo appunto per conto del sovrano, il guardasigilli ci ha lasciato un ricco epistolario, il cosiddetto Epistolario latino, una raccolta di missive di vario genere dalla quale si evince la raffinata esperienza nell’ars dictandi dell’autore.

L’ars dictandi è esattamente l’arte di scrivere epistole, dal latino dictare, cioè dettare, nella quale massima esperienza fecero nel Medioevo i funzionari delle corti – inclusa quella pontificia – e della quale Pier della Vigna fu “capostipite” dell’epoca e accurato esecutore.

Sigillo di Federico II

Il suo epistolario rappresenta un vero e proprio modello, l’esempio principe della redazione di epistole e missive nell’ambito cortese, del quale in precedenza era stato fulgido esempio Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, consigliere di Teodorico Il Grande, con le sue Variae. Rilevanti, nel complesso dell’epistolario di Pier della Vigna, i libri I e IV. Il primo dedicato alle controversie tra Federico II e la Chiesa, il IV incentrato, invece, sulle cosiddetta consolationes, le missive consolatorie inviate, per conto proprio (nel caso di quelle private) o per conto dell’imperatore per confortare i destinatari per la perdita di congiunti o per gravi circostanze.

La corte di Sicilia in una rappresentazione del pittore tedesco Michael Zeno Diemer

Nelle lettere, soprattutto in quelle scritte a nome di Federico II, solenni e raffinate opere di letteratura e diplomazia, non mancò di far trasparire l’essenza naturale della morte, come parte della vita stessa e come inevitabile debito per ciascuno: «Naturae debitum solvit», scrisse in più circostanze. I più attenti studiosi degli scritti federiciani non hanno mancato di sottolineare analogie di stile tra le missive sveve, redatte con tutta probabilità da Pier della Vigna e quelle prodotte in ambiente pontificio di Roma.

Dalla medesima mano di Pier della Vigna fu composta, con tutta probabilità, la missiva (10 febbraio 1242) con cui l’imperatore Federico annunciò la morte del figlio Enrico VII di Svevia, che tradì il padre, tentando addirittura di muovergli guerra. Nella missiva che – ricordiamolo – il cancelliere redige per conto dell’imperatore, viene fatta trasparire la sofferenza del padre per la perdita di un figlio, nonostante questi si fosse macchiato di tradimento.

Il sarcofago di Enrico VII di Hoenstaufen, figlio di Federico II, nel Duomo di Cosenza, Di Sailko – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=137132569

Pier della Vigna non mancò, secondo la storiografia, di contribuire allo sviluppo della Scuola siciliana e della poesia medievale. A lui sono attribuite alcune composizioni in versi e taluni sonetti rivolti, ad esempio, a Jacopo da Lentini. Taluni, nelle riflessione sentimentali, teologiche e filosofiche del cancelliere della corte sveva, hanno intravisto anche rimandi, più o meno impliciti, a certe concezioni della dottrina del filosofo arabo Averroè.

L’accusa di tradimento, l’accecamento, la prigione e il suicidio

La sua vicenda umana ricorda, a tratti, quella di un altro funzionario imperiale, vissuto molto tempo prima: Severino Boezio. Anche Pier della Vigna, che ricoprì ruoli di primissimo piano alla corte sveva, finì per essere accusato di tradimento e imprigionato.

Il tutto avvenne nel 1249, un anno prima che anche l’imperatore Federico II morisse, nel 1250. Accusandolo di tradimento e corruzione, Federico II lo fece prima accecare pubblicamente, nella piazza di Pontremoli, un paesino della Toscana, per poi farlo rinchiudere nella prigione di San Miniato, dove Pier della Vigna avrebbe commesso suicidio.

Il castello di Pontremoli (Toscana), di età medievale

La Commedia di Dante, i rami sanguinanti, i tentativi di revisionismo delle accuse

Nel VII cerchio dell’Inferno, nella selva dei suicidi, Dante inserisce l’incontro ultraterreno col cancelliere Pier della Vigna. Virgilio, l’illustre guida di Dante nell’aldilà, invita il poeta a spezzare uno dei rami degli arbusti che incontrano. Solo in quel momento l’Alighieri vede da essi sgorgare del sangue e ode la voce dell’anima del suicida intrappolata nella pianta: proprio quella di Pier della Vigna, che gli racconta dell’accusa di tradimento, proclamando la sua innocenza e del successivo suicidio in cella.

Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi,

che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi;
fede portai al glorïoso offizio,
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.

La meretrice che mai da l’ospizio
di Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio,

infiammò contra me li animi tutti;
e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.

(Commedia, Inferno, XIII)

Dante presenta, nella sua Commedia, un’immagine del cancelliere Pier della Vigna visto come vittima; una vittima delle invidie altrui, delle congiure di palazzo, delle ingiuste accuse, della volontà comune di eliminarlo, tra gli alti ranghi della corte imperiale di Federico II. Fu davvero colpevole di corruzione e tradimento come lo stesso imperatore asserì in una missiva indirizzata al conte Riccardo di Caserta? Fu invece una congiura di palazzo per estrometterlo dalla cancelleria? Forse non lo sapremo mai. C’è però da tener conto di una cosa.

Non va dimenticato che l’intera vicenda si deve ascrivere proprio a quella fase storica di accesissimo scontro tra il potere imperiale e quello pontificio. E non vanno dimenticate le conseguenti due fazioni contrapposte: quella dei guelfi (vicini al pontefice) e dei ghibellini (vicini all’imperatore). Dante scrive la Commedia da guelfo – seppur molto moderato – alla luce anche delle condanne ecclesiastiche dirette a Federico II, presentato dalla storiografia della Chiesa come un anticristo, più volte scomunicato. Che il tentativo di scagionare Pier della Vigna non sia il modo di condannare gli atti di Federico e la sua intera visione politica?

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L’episodio di Pier della Vigna nella selva dei suicidi, illustrazione della Commedia di Dante

Dante e l’ispirazione antica: il parallelismo con la vicenda di Polidoro raccontata dall’Eneide

Una curiosità ormai risaputa, ma che vale la pena riprendere in questa occasione. La costruzione narrativa dantesca, con l’anima di Pier della Vigna intrappolata in una pianta, con i rami sanguinanti, trova una simmetria perfetta con l’episodio del ritrovamento del corpo di Polidoro, raccontato nell’Eneide, la cui morte era avvenuta, secondo il racconto virgiliano, con numerose frecce che trafissero il suo corpo. A rinvenirne il corpo e ad udirne lo spirito, poi, sarebbe stato proprio Enea, sulle coste della Tracia.

Enea, nel racconto di Virgilio, strappò alcuni arbusti per rivestire un altare improvvisato, ma da questi sgorgò del sangue, mentre la voce dello spirito di Polidoro iniziò a parlare, raccontando all’eroe e compatriota troiano la sua tragica morte e la trasformazione in rami di quelle frecce che lo avevano trafitto uccidendolo. A Polidoro – racconta Virgilio – Enea offrì degna sepoltura, liberandolo da quella prigione a metà strada tra la vita e la morte.

Antica raffigurazione della sepoltura di Polidoro da parte di Enea

Il palazzo di Pier della Vigna, Ottobono Fieschi e la corte pontificia

Assai curiosa è pure la vicenda del palazzo napoletano appartenuto al cancelliere e guardasigilli Pier della Vigna, nei pressi della Sellaria. Questo edificio, dotato di giardino e ampi spazi, fu confiscato al cancelliere, dopo l’accusa di corruzione e tradimento, proprio da Federico II. Pochi anni dopo la morte di Pier della Vigna e dello stesso Federico II, verosimilmente intorno al 1254, questo palazzo fu ceduto dalla sorella del defunto cancelliere, che nel frattempo, morto Federico ne era rientrata in possesso, ad Ottobono Fieschi, futuro papa Adriano V (1205-1276).

Ottobono Fieschi, papa Adriano V

Proprio nel palazzo di Pier della Vigna la curia papale di Adriano V soggiornò per diverso tempo. E nello stesso luogo spirò il pontefice. E ancora nel palazzo fu radunato il conclave per eleggere il suo successore, Alessandro IV, che vi soggiornò per un certo periodo. Volontà esplicita della sorella di Pier della Vigna? Semplice casualità? Sta di fatto che il palazzo che a Pier della Vigna era stato tolto da Federico II finì in mano proprio a quelli che erano stati i suoi detrattori di prim’ordine: i pontefici.

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RIFERIMENTI:

  • Mario Gaglione, Una fontana trecentesca alla Sellaria, il palazzo di Pier della Vigna e le botteghe dei Fieschi nella città di Napoli, estratto dall’Archivio Storico per le Province Napoletane CXXIII, Società Napoletana di Storia Patria, 2005
  • Fulvio Delle Donne, La porta del sapere. Cultura alla corte di Federico II di Svevia, Carocci
  • Fulvio Delle Donne, Le consolationes del IV libro dell’epistolario di Pier della Vigna, Reti Medievali
  • Antonio Gagliardi, Piero della Vigna, poeta averroista (Academia.edu)
  • Giulio Ferroni, Storia e testi della letteratura italiana. Dalle origini al 1300, v.1, Mondadori Università
  • Edoardo D’Angelo (a cura di), L’epistolario di Pier della Vigna, Rubbettino
  • Dante Alighieri, Divina Commedia
  • Pier della Vigna – Wikipedia

Paolo Cristofaro

Nato nel 1994, si è laureato in Lettere e Beni Culturali all'Università della Calabria. Presso lo stesso ateneo ha conseguito poi la laurea magistrale in Scienze Storiche, con una tesi di ricerca sul Medioevo. Collaboratore di quotidiani e riviste, è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti.

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