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Sesso, ossessione e identità in «Petrolio» di Pier Paolo Pasolini

Il protagonista, Carlo, è sdoppiato in due sé opposti. E il doppio diventa simbolo della scissione interiore tra desiderio di purezza e repressione borghese, in una critica radicale alla società consumista e alla conformità dell’identità moderna

5 minuti di lettura

L’ultima, incompiuta opera di Pier Paolo Pasolini, Petrolio, è definita dal suo autore come il «poema dell’ossessione dell’identità e, insieme, della sua frantumazione». L’ambiziosa impalcatura del testo – magmatico e disorganico – si poggia su una complessa rete di corrispondenze e opposizioni che procede da un primario gioco di specchi in grado di conferire all’intera opera un carattere «marcatamente bipolare»: il protagonista Carlo Valletti, infatti, è un uomo scisso, dimezzato.

Ingegnere borghese, cattolico di sinistra ed esperto di politiche petrolifere, egli, a un certo punto, sulla terrazza del suo appartamento ai Parioli, si sdoppia in due sé perfettamente opposti e complementari: Carlo di Polis e Carlo di Tetis (o Carlo primo e Carlo secondo, o Carlo e Karl – con la K, avverte Alberto Sobrero, «come si usava allora per segnalare il male»). Tutto discende da qui. In Petrolio infatti, ogni cosa accade nel nome del doppio, che non è solo rielaborazione della figura letteraria ottocentesca ma punto di partenza necessario a Pasolini per raccontare ciò che da tempo egli denuncia: l’«ossessione dell’identità», il desiderio di potere borghese, la repressione di ogni tipo di diversità in nome dell’omologazione imperante.

Carlo primo e Carlo secondo sono due facce della stessa medaglia, «identici» – «e infatti si identificano». Tutto ciò che accade nel testo li vede protagonisti o ascoltatori: essi si dividono le mansioni, mostrando «un accordo perfetto. Un vero equilibrio». Carlo di Tetis, addetto ai «bassi servizi», permette a Carlo di Polis di svolgere la sua vita pubblica, rispettabilmente integrata nella “buona” società. Uno è il «servo» e l’altro il «padrone», anche se – precisa Pasolini – «Karl (forse) è libero, mentre Carlo sicuramente non lo è».

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Karl è un emarginato che non ha spazio nella nuova società. Assomiglia ai poliziotti di Valle Giulia, ai ragazzi de Il sogno di una cosa (1962). È simbolo della diversità disprezzata dalla classe dominante, incarna la parte altra che ogni “buon borghese” deve soffocare dentro di sé. Karl fa cose immonde, si vota al sesso e alle perversioni, e per questo Carlo, nel momento in cui se ne distacca, avverte di essersi liberato di una «zavorra». Le sue «azioni volgari» (in realtà baluardi di purezza, secondo la visione pasoliniana) si configurano come sintomi di un’irrazionalità insostenibile per lo spirito borghese o piccolo borghese.

Lo sdoppiamento di una sola persona in due – che in Bestia da stile (1965-1974) Pasolini indica come «la più grande delle invenzioni letterarie» – permette all’autore di rendere visibile non il “male” della dissociazione, bensì il disordine e la frantumazione che dall’ossessione identitaria scaturiscono. Sobrero dichiara che uno dei fini di «questa storia» è quello di mostrare come il riconoscimento «della pluralità della condizione umana» debba costituire «l’ordine dell’esistenza». Così, Il borghese però non accetta «la natura “diversa” di ogni esistenza» e istituisce una norma, un parametro, in base al quale disprezzare e sopprimere l’altro sé e l’altro da sé.

L’identità da cui questi è ossessionato è da intendersi, del resto, nei termini che indica Augusto Ponzio: «come appartenenza, conformismo, riproduzione della realtà, […] appiattimento nell’essere-così del mondo, adesione alla realtà, allergia, fobia nei confronti dell’altro, estromissione ed eliminazione dell’alterità». È in questo senso che Pasolini parla di una non libertà dell’ingegner Valletti. Ma nella nuova Italia del capitalismo non c’è posto per quelli come Karl: la ratio borghese ripudia la genuinità incorrotta.

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Il doppio, dunque, informa l’intera opera. Emanuele Trevi, che in Qualcosa di scritto (2012) parla di Petrolio di Pasolini come della storia «di un’iniziazione», indica nello sdoppiamento di Carlo il primo passo per il raggiungimento di «un superiore regime di verità». A questa scissione del protagonista segue poi un’ulteriore trasformazione: il trapasso da uomo a donna sia di Karl sia di Carlo. A tal proposito il critico letterario Bruno Pischedda sviluppa una riflessione che, se da un lato coglie uno dei punti centrali dell’opera, dall’altro derubrica il cambio di sesso a mera espressione di una pulsione erotica che si mischia al desiderio di morte:

Considerata la radicale svalutazione del ruolo della donna che si respira in Petrolio di Pasolini, è assai difficile connotare tali mutamenti in accezione transessuale. Non il richiamo a un originario mito androgino sembra interessare l’autore, ma piuttosto la scissione portata all’interno stesso di Eros. La costante conversione pasoliniana di istinto di piacere in pulsione di morte, sperimenta qui la possibilità di una declinazione ulteriore: alla limitatezza del possedere fallico, si oppone l’ebrezza femminile dell’essere posseduti. Condizione assolutamente naturale, fisiologica, che mentre condanna la donna a un destino di sottomissione autoritaria, tuttavia la risarcisce nei termini di un attingimento dell’assoluto.

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Quest’ultima parte del discorso è indubbiamente vera: l’orgia del pratone della Casilina e la fugace unione con Carmelo («incarnazione di un dio proletario dell’amore», dichiara Sobrero) costituiscono due dei momenti sacri dell’opera, non a caso speculari alla metamorfosi che entrambi i Carlo subiscono. Durante gli amplessi, il protagonista si libera del suo “ruolo”, tocca con mano – anche solo per un momento – quella pienezza della vita a cui Pasolini sempre accenna e che appare, ormai, irrimediabilmente perduta. Il discorso è giocato sul senso che assumono l’atto del possedere e quello dell’essere posseduto:

È fuori discussione che il possesso è un Male, anzi per definizione, è IL Male: quindi l’essere posseduti è ciò che è più lontano dal Male, o meglio, è l’unica esperienza possibile del Bene, come Grazia, vita allo stato puro, cosmico.

Ma cos’è che si possiede? Il denaro, il prestigio, il potere: tutto ciò che «l’universo orrendo del consumo» ha reso esigenza normale e quasi vitale. Pasolini stesso ci guida in questo appunto, intitolato proprio Confidenze col lettore; è lui a dirci che «il possedere» implica limitatezza, qualcosa di «fatalmente limitato», mentre «l’essere posseduto è una esperienza cosmica». Il sesso e tutto ciò che lo concerne è dunque investito qui di una forte valenza allegorica, che rimanda a quell’amore per la “vita pura” di cui Pasolini denuncia la scomparsa.

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Il rapporto con Carmelo, in particolare, permette a Carlo di Polis di liberarsi per un attimo dalle convenzioni della società grazie all’azione di un «desiderio finora sempre considerato irrealizzabile»: «Era nato un nuovo capitolo della sua vita […]. La carriera, le ambizioni, il potere (il lettore sa tutto) ogni cosa gli sembrava perfettamente stupida e priva di valore». Non sarà però che una sensazione temporanea. Al momento dell’improvvisa scomparsa del giovane, dopo un iniziale dolore, Carlo avverte nuovamente un senso di «liberazione», come era stato in seguito al distacco dal suo doppio «superfluo e ingombrante».

Questo perché il desiderio del possesso, che è poi il desiderio di potere, non ammette deviazioni dalla norma. «Quella realizzazione di sé che si chiama carriera» richiede “rispettabilità” secondo l’orrenda e ipocrita morale borghese. Carlo primo e Carlo secondo rimangono infatti separati e la loro dissociazione, nel mostrare l’«ossessione dell’identità» di cui si parlava, permette di visualizzare microscopicamente uno degli effetti che il nuovo Potere – il potere dei consumi – ha sugli individui: la tensione inconciliabile tra desiderio di «“vita pura” e limiti del proprio tempo storico», genuinità ancestrale (rappresentata dall’eros) e utilitaristica ratio borghese.

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Bibliografia
Pischedda B., «Petrolio», una significativa illeggibilità, in “Studi Novecenteschi”, 27, 59, giugno 2000
Ponzio A., Fuori luogo. L’esorbitante nella riproduzione dell’identico, Roma, Meltemi, 2007
Sobrero A. M., Ho eretto questa statua per ridere. L’antropologia e Pier Paolo Pasolini, Roma, CISU, 2015
Trevi E., Qualcosa di scritto. La storia quasi vera di un incontro impossibile con Pier Paolo Pasolini, Milano, Ponte Alle Grazie, 2012

Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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