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ulisse oltre l'umano

«E i remi mutai in ali al folle volo»: Ulisse oltre l’umano

dalla newsletter n. 43 - ottobre 2024

4 minuti di lettura
E fuggendo si muore e la mia morte
Sento vicina quando tutto tace
Sul mare, e maledico la mia sorte
Non trovo pace
Forse perché sono rimasto solo
Ma allora non tremava la mia mano
E i remi mutai in ali al folle volo
Oltre l'umano

(Francesco Guccini, «Odysseus»)

La figura di Ulisse rappresenta uno degli archetipi più complessi e affascinanti della letteratura occidentale. La strofa citata prima è tratta dalla canzone Odysseus di Francesco Guccini; in particolare, l’espressione «oltre l’umano» coglie in pieno uno degli aspetti più profondi dell’eroe omerico: il suo desiderio e la sua capacità di spingersi al di là dei limiti umani, fisici e morali, in un viaggio che non è solo geografico, ma anche esistenziale.

Il «folle volo» e il desiderio di conoscenza

Il «folle volo» a cui Francesco Guccini fa riferimento richiama chiaramente il celebre passo del Canto XXVI dell’Inferno di Dante, in cui Ulisse racconta il suo ultimo viaggio, intrapreso dopo il ritorno a Itaca. Dante non conosceva il greco e quindi non aveva letto la storia originale: per questa ragione, ciò che Dante racconta non corrisponde alla storia omerica. Alcuni elementi, però, sono coerenti: l’eroe riprende il mare con pochi compagni per spingersi in un viaggio, ma secondo la versione dantesca lo fa oltre le Colonne d’Ercole, il confine del mondo conosciuto. Questo viaggio rappresenta la sua sfida estrema ai limiti imposti dalla condizione umana. «Oltre l’umano», allora, per Ulisse può essere interpretato come la volontà di superare non solo i limiti fisici della natura, ma anche quelli imposti dalle leggi divine e morali.

Ulisse è infatti mosso da un’insaziabile sete di conoscenza, un desiderio di andare oltre ciò che è noto e accettato, anche a costo della vita. In Dante, il suo discorso finale ai compagni esprime l’essenza della sua personalità: l’essere umano, per quanto limitato, non può accontentarsi della mera sopravvivenza o dell’ignoranza, ma deve tendere alla virtù e alla conoscenza, anche se questo implica la trasgressione di regole e limiti.

"O frati", dissi "che per cento milia 
perigli siete giunti a l’occidente, 
a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente, 
non vogliate negar l’esperienza, 
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza: 
fatti non foste a viver come bruti, 
ma per seguir virtute e canoscenza".

Li miei compagni fec’io sì aguti, 
con questa orazion picciola, al cammino, 
che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino, 
de’ remi facemmo ali al folle volo, 
sempre acquistando dal lato mancino.

(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI)

Ulisse come eroe oltre l’umano

Il re di Itaca ha trovato larghissimo spazio in vari autori, anche cantautori (Lucio Dalla cita la sua Itaca in una canzone, per esempio), forse per la sua profonda modernità. Pur nella sua umanità, incarna una tensione verso qualcosa di superiore, verso il divino. Nel mito omerico Ulisse è un uomo che riesce a confrontarsi con divinità, mostri e pericoli sovrumani, come Polifemo, Circe, Scilla e Cariddi, il che lo rende un essere eccezionale, capace di superare prove che andrebbero oltre le capacità di un uomo comune.

Dall’altra parte, però, c’è anche una dimensione più intima e tragica nella sua ricerca di ciò che è oltre l’umano, che lo rende profondamente fragile e vero. Ulisse è un eroe solo, come emerge nella strofa di Francesco Guccini: «Forse perché sono rimasto solo». La sua solitudine è, in un certo senso, il prezzo che paga per la sua ambizione e per il suo desiderio di conoscenza. È quella stessa libertà che Björn Larsson (autore svedese che come Ulisse ama il mare e che nei suoi libri ha spesso parlato di libertà paragonandola al mare) spiega quando afferma che spesso induce alla solitudine. Ma qui non si parla semplicemente di libertà; superare i limiti umani implica anche distanziarsi dagli altri uomini, diventare diverso, in qualche modo alieno alla comunità umana, incapace di trovare pace. Questo aspetto risuona profondamente in Francesco Guccini, che descrive Ulisse come un uomo tormentato dal proprio destino, che maledice la sua sorte e non trova pace.

In agguato c’è sempre, nel tentativo di andare oltre l’umano, il limite più evidente della condizione umana: la morte, che nella sua quiete e nel suo silenzio sembra quasi una compagna inevitabile nel viaggio oltre l’umano di Ulisse. Questo non solo sottolinea la mortalità di Ulisse, ma anche la consapevolezza che l’eroe ha dei limiti. Nonostante la sua volontà di sfidare i confini, Ulisse è consapevole della fragilità umana. Il mare, simbolo dell’infinito e dell’ignoto, diventa il teatro della sua sfida estrema, ma anche il luogo dove la sua vita può giungere alla fine.

Ulisse non è un eroe che può aspirare all’immortalità come gli dèi: è, in fin dei conti, un uomo che sfida il destino sapendo che la sua fine è certa. Tuttavia, ciò che lo distingue è la sua capacità di affrontare questo destino con coraggio e determinazione, senza rassegnarsi ai limiti che la vita gli impone.

Il destino di Ulisse: tra gloria e dannazione

Se da un lato Ulisse è un eroe celebrato per la sua astuzia, la sua determinazione e il suo coraggio, dall’altro la sua figura è anche carica di ambiguità. Dante lo colloca nell’Inferno, condannandolo per aver osato troppo, per aver trasgredito i limiti stabiliti dalle divinità. Ulisse è, in questo senso, un eroe tragico, poiché la sua grandezza lo conduce inevitabilmente alla rovina. Il desiderio di andare oltre l’umano, di trasgredire i confini, porta non solo alla gloria, ma anche alla dannazione. Chiaramente nell’ottica dantesca, dove il Dio è quello cristiano e quindi il rapporto con le divinità non è quello dei Greci e neppure quello – tutto particolare – di Ulisse, voler conoscere troppo, voler sfidare Dio, è un peccato. Così come è un peccato traviare i propri compagni con le parole. Eppure, il discorso che Dante ha messo in bocca a Ulisse è diventato monito di quella virtù e conoscenza di cui Ulisse parla. Quella stessa conoscenza che forse incarna il paradosso dell’essere umano: da un lato, l’aspirazione alla trascendenza, dall’altro, la consapevolezza della propria fragilità, nella continua ricerca di qualcosa di più. Come a qualcosa di più si deve aspirare quando si studia, quando si legge, quando si conosce.


Illustrazione di Lucia Amaddeo

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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. È docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale e critica musicale. È autrice di due saggi dal titolo "Dietro lo specchio, Oscar Wilde e l'estetica del quotidiano" e "La fedeltà disattesa" e della raccolta di racconti "Dipinti, brevi storie di fragilità"

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