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De-costruire la realtà. Il superamento dell’uomo in «The Island»

dalla newsletter n. 43 - ottobre 2024

4 minuti di lettura

Lo studio della realtà, fin dai primordi della civiltà, ha attraversato secoli dove i vari avvenimenti sociali hanno prodotto significativi mutamenti nell’immaginario culturale e scientifico, ridefinendo il grande quadro del mundus imaginalis dell’uomo. Oggi, la realtà è dominata dalla presenza di determinate tecnologie le quali ci consentono, secondo la concezione dell’antropologo Arnold Gehlen, di sviluppare nuove condizioni di sopravvivenza e adattamento all’ambiente esterno poiché estendono le nostre capacità, sia psicologiche che fisiche.

Tuttavia, siamo stati abituati all’idea che esse possano diventare pericolose per la nostra esistenza poiché capaci di minare le abitudini socialmente e culturalmente istituite, inducendo l’uomo a esserne totalmente dipendente, come è stato rappresentato in determinate forme di narrazione letterarie e cinematografiche. Cosa succederebbe se un giorno fosse completamente legale clonare l’uomo, ma con il paradosso che la copia sia collocata all’interno di una tecno-caverna dove predilige un grande inganno, il cui scopo non è più soltanto quello di contrastare l’invecchiamento, ma di creare dei doppi privi di coscienza che possono sostituirci?

Il film The Island di Michael Bay, celebre regista dei film della saga Transformers e Armageddon, rappresenta attraverso momenti di azione una storia che mette al centro due personaggi, Lincoln 6 Eco (Ewan McGregor) e Jordan 2 Delta (Scarlett Johansson), in grado di prendere consapevolezza di sé stessi e di ribellarsi ad un sistema ingannevole.

Vivere dentro una simulazione

In The Island tutti i personaggi coinvolti vivono all’interno di una struttura altamente avanzata in termini di tecnologia, nell’anno 2019. Essa è stata progettata per permettere la sopravvivenza in quanto una contaminazione globale ha reso inabitabile la superficie terrestre. Per tenere sotto controllo i parametri vitali, i comportamenti e persino l’esistenza intera degli individui, vige sia un’attenzione scrupolosa per ogni dettaglio quali la dieta, la qualità del sonno e l’attività fisica, sia verso i comportamenti. Inoltre, essi vengono attratti da una lotteria a estrazione il cui vincitore viene portato sull’isola, un ambiente apparentemente realistico dove si può ricominciare il ciclo della vita umana.

La “copia” originale dei cloni viene mantenuta per mezzo di macchine incubatrici le quali, analogamente a quelle utilizzate negli ospedali per i neonati, mantengono in vita i corpi delle persone reali che si sono prestate a usufruire di questo servizio.

Nel momento in cui Lincoln inizia a mettere in dubbio l’organizzazione della comunità ponendo diverse domande e poi entrando a contatto, casualmente, con un insetto, inizia un viaggio per scoprire la verità al fine di mettere in salvo tutti e sé stesso, ripristinando il suo vero aspetto.

«The Island» e le ombre della tecno-caverna

Tutto ciò è reso possibile dall’ingegno quasi diabolico del Dr. Merrick (Sean Benn), il quale dirige un’azienda biotecnologica che si occupa di clonare i clienti per creare questi doppi, definiti “agnati“. L’inquietante realtà che si cela dietro questa operazione è che essi sono veri e propri esseri viventi. Lo scienziato manipola la percezione dei cloni fornendo loro l’immagine di una vita simulata, poiché altrimenti gli organi risulterebbero inefficaci per i trapianti in quanto privi di un’esistenza cosciente.

La storia della contaminazione, paragonabile alle ombre del mito platonico della caverna, serve a controllare e mantenere i cloni all’interno del complesso. L’inganno funziona grazie ad un meccanismo di trasmissione e sedimentazione della memoria indotto artificialmente, usando delle massime come «sei stato scelto», «tu andrai all’isola», «hai uno scopo» eccetera. Il meccanismo della lotteria, infine, serve a prelevare i cloni al momento opportuno per poi eseguire degli interventi di trapianto degli organi.

L’isola, dunque, assurge come modello illusorio per attirare gli individui dentro una trappola iper-tecnologica che impedisce loro di avere una lucida coscienza di sé stessi, e della realtà. Questa impossibilità è dovuta al fatto che gli individui, tornando all’analogia dei neonati avanzata precedentemente, non hanno un quoziente intellettivo sufficientemente avanzato, rendendoli di fatto dei bambini che non conoscono il mondo e, quando interagiscono con l’ambiente esterno, non detengono una fonte di conoscenza primaria per orientarsi. La socializzazione, dunque, risulta alterata sia nei comportamenti, sia in termini di elaborazione di pensieri.

L’esistenza umana nel reticolo digitale. Oltre il post-umano?

L’uomo odierno vive immerso quasi totalmente all’interno di un ecosistema digitale che, servendosi degli algoritmi, viene orientato in base alle sue abitudini e gusti sociali che ha sviluppato per costruire la propria realtà. Definiti come centri di calcolabilità, gli algoritmi non fanno altro che determinare una coscienza connettiva che si innesta nella mentalità degli individui, affinché possano interagire dentro un unico ambiente che simula la realtà. La realtà rappresentata in The Island è attualmente distante dalla nostra attuale.

Tuttavia, se pensiamo agli ultimi sviluppi tecnologici, in rapporto soprattutto al dibattito sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale in determinati settori, incalza maggiormente la paura che un giorno le macchine possano superare le nostre capacità psico-fisiche, facendo in modo di diventare totalmente indipendenti da esse. Seguendo la concezione dei transumanisti, l’uomo potrebbe riuscire ad andare oltre sé stesso e i propri limiti organici, estendendo notevolmente lo spazio dell’esperienza e dell’interazione con il mondo sociale dove è inserito. In questo modo, l’identità dell’uomo potrebbe divergere dai tratti essenziali e unici che finora l’avevano caratterizzata, mettendo fortemente in discussione sia il comportamento, sia la concezione della realtà umana che potrebbe inserirsi sempre di più in una simulazione.

Trovando una ragion d’essere nel simulacro, l’uomo si adatta a nuovi modi per interagire con diversi universi simbolici che configurano la nostra visione del mondo, inducendolo a definire non semplicemente una nuova etica, ma anche certi limiti se davvero si intende non giungere al superamento delle nostre condizioni originarie. Se si vuole seguire la concezione post-umanista, probabilmente si sbaglia a rifiutare l’idea del progresso in funzione di un comodo conservatorismo. Ma fino a che punto siamo disposti ad accettare la realtà o, meglio, fin quanto è possibile definire ciò che vediamo come reale, se l’uomo si sta avviando pedissequamente verso la digitalizzazione totale di sé stesso? Saremo in grado di accettare le nuove potenziali condizioni per vivere?


Illustrazione di Lucia Amaddeo

Questo articolo fa parte della newsletter n. 43 – ottobre 2024 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:

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Federico Ferrara

Classe 2000. Originario di Milazzo e laureato in DAMS a Messina, sto proseguendo con la specialistica in Scienze dello spettacolo. Appassionato di fotografia, letteratura e teatro, ma ho anche una vita sociale. Scrivo poesie e mi piacerebbe pubblicarle un giorno.

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