Il 20 settembre 1990 è la data che segna la scomparsa di Rosa Balistreri, una delle voci più intense e rappresentative della musica tradizionale siciliana. Nata a Licata nel 1927, Balistreri è stata un’artista che ha saputo incarnare l’anima e le tradizioni della sua terra con profonda forza espressiva. La sua carriera è stata caratterizzata da una profonda passione per le radici folk siciliane, che ha portato alla luce attraverso interpretazioni indimenticabili di canti popolari e testi poetici.
Rosa Balistreri non è stata solo una cantante, ma anche una figura di grande rilevanza culturale e sociale. La sua musica, intrisa di dolore, speranza e lotta, riflette le difficoltà e le aspirazioni della Sicilia del suo tempo. La sua voce potente e ruvida ha saputo emozionare e coinvolgere generazioni di ascoltatori. In occasione di questo anniversario, è importante ricordare e celebrare l’eredità lasciata da Rosa Balistreri, un patrimonio culturale che continua a ispirare e a far riflettere.
Per farlo, abbiamo intervistato Ibla, nome d’arte di Claudia Iacono, giovane cantante siciliana che ha indicato più volte Rosa Balistreri come una delle sue principali fonti d’ispirazione, fino a realizzare uno spettacolo intitolato Pi nun perdiri lu cuntu, un omaggio sentito e femminile alla figura di Rosa. Ibla ha dedicato molto tempo alla ricerca e alla sperimentazione per rendere omaggio a Balistreri, portando sul palco fino a questa estate nella sua Sicilia un repertorio che celebra la forza e la passionalità della celebre cantante siciliana. L’approccio di Ibla mira a mantenere viva la memoria e l’eredità di Balistreri, adattando le sue canzoni per il pubblico moderno. Ne abbiamo parlato con lei.
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Cosa rappresenta per te Rosa Balistreri e come ha influenzato il tuo percorso artistico?
Rosa in generale è arrivata a me come se fosse una specie di destino; era destino il fatto che io dovessi incontrare questa persona. Sono passati circa 8-9 anni, io cantavo per strada con una band e ogni volta che sentivano la mia voce mi chiedevano di cantare dei pezzi in siciliano di Rosa Balistreri. In quel periodo non la conoscevo completamente se non per qualche canzone siciliana che nemmeno sapevo fosse sua. Poiché sempre le persone mi chiedevano di cantare qualche suo pezzo, sono andata a documentarmi su di lei.
Sono rimasta shockata, quello che mi è arrivato era un dolore allucinante, una voce che sembrava venisse dall’Inferno, e volevo capire perché questa donna avesse questo modo di cantare. Sapevo che le canzoni fossero molto antiche, immaginavo avesse avuto una vita difficile dato il periodo storico, ma appena ho letto la sua storia, è stata una cosa meravigliosa che mi ha mandato fuori di testa. Ho detto «Questo è il coraggio che voglio trasmettere». Questo mi ha portato a innamorarmi di lei, a scrivere di lei, a portarla in giro.
Il tuo progetto Pi nun perdiri lu cuntu ha un forte connotato femminile. Cosa significa per te rendere omaggio a Rosa Balistreri da questa prospettiva?
Io in generale sono molto legata alla Donna, stimo tantissimo la figura della Donna con il suo coraggio, la sua lotta lenta a volte in silenzio per motivi sociali, la Donna è sempre dovuta stare un passo indietro. Questa cosa da un lato mi ha dato sempre tanto fastidio, ma ne ho riconosciuto anche la forza. Quello che di Rosa mi ha fatto impazzire e mi ha portato a fare un progetto teatrale su di lei è stato il coraggio che ha avuto per quei tempi, in cui ancora c’erano i matrimoni combinati, dovevi stare alle regole prima del padre e poi del marito, lei si è ribellata a tutto questo con enorme fatica.
Ha avuto il coraggio di prendere la sua vita in mano e cambiarla completamente, anche se ha subìto un sacco di violenza e disonori dalla gente che la considerava, senza giri di parole, una puttana. Tutto questo è portato dentro il mio spettacolo. Qui ogni canzone di Rosa è legata alla sua vita, alla vita di una Donna. Non so se è perché sono donna, ma io sono legatissima alla figura femminile, perché è stata legata da sempre all’idea di “debole”, quindi il fatto di portare sul palco una forza del genere che ha attraversato tutti, uomini, donne, bambini per me è fondamentale. Rosa aveva visto qual era l’obiettivo della sua vita e l’ha raggiunto, con tanta sofferenza, ma con una forza quasi sovrannaturale, perché è riuscita a superare tutto, cose che io che mi ritengo forte, non sarei mai riuscita a superare.
Questo progetto sta di casa in Sicilia, ma secondo te è possibile che alcuni lo vedano solo come “locale” e meno vendibile per la “fossilizzazione” dialettale? Ti sei scontrata con questa difficoltà linguistica o chiunque anche non siciliano può sentire la forza di Rosa?
Secondo me onestamente la difficoltà c’è. Lo spettacolo è vendibile tanto in Sicilia, perché conosciamo la nostra lingua, questa storia. Mi sono spesso chiesta perché il napoletano riesce a conquistare l’Italia mentre un siciliano no. Per esempio, Carmen Consoli ha scritto diversi testi in siciliano, per esempio ‘A finestra, ma quando fa i concerti fuori dalla Sicilia non la mette in scaletta. L’unica spiegazione che mi sono data è che il problema parte dal fatto che noi siciliani pensiamo di essere patriottici, ma in realtà non lo siamo.
La musica napoletana funziona perché Napoli, un popolo enorme, ha saputo spingerla, non ha mai scoraggiato i suoi artisti. I siciliani se c’è un artista che canta in siciliano, sono scettici, lo vedono non come un’evoluzione, un modo per portare la Sicilia in Italia. Forse, io non lo so ovviamente, non abbiamo questo patriottismo. Anche perché sai che devi fare uno sforzo enorme per farlo, io ho dovuto fare tanta fatica perché chi ha fatto Rosa in Sicilia spesso ha solo cantato le canzoni, punto, invece il mio progetto porta la sua storia, la gente deve stare attenta ad ascoltare e all’inizio era scettica.
Poi quando ho fatto la prima data, al Teatro Pirandello di Agrigento, si sono resi conto della bellezza di questa storia, ma non perché il progetto l’ho fatto io, ma perché dietro c’è amore e anche tanta documentazione. Io ho curato la sceneggiatura, ma dietro ho avuto la fortuna di avere un valido aiuto, la fortuna che in quel periodo il chitarrista Salvo Scibetta, che poi è il mio ragazzo, si è ossessionato quanto me. Lui mi ha accompagnato a Licata a intervistare tramite telecamere nascoste, a consultare la biblioteca a Licata dove c’è l’unico libro esistente sulla vita di Rosa. Anche a Licata il rapporto con Rosa è ambiguo, c’è chi la ama e chi ancora ha quel retaggio di una donna che era una puttana. Un anziano che forse aveva 90 anni era amico dell’ex marito di Rosa, quello che la maltrattava e picchiava, mi disse «lassala iri, era idda a puttana» («lasciala perdere, era lei la puttana», ndr).
Come pensi che le canzoni di Rosa, che parlano di giustizia sociale e tradizioni, possano essere rilevanti per il pubblico di oggi?
Io credo possano essere illuminanti. A me personalmente, sarà che sono un’artista e quindi legata al mondo dell’arte, le canzoni hanno fatto acquisire i miei ideali. Credo che le canzoni siano estremamente importanti per la società. Spesso ne rappresentano perfino il periodo storico. Pensiamo a oggi. Siamo nel periodo del consumismo, dove tutto va veloce, finisce una cosa e ne abbiamo bisogno subito di un’altra, e infatti vanno per la maggiore quei tormentoni che servono per non farti pensare, così non senti storie pesanti, non pensi ai problemi. Non sto criticando questo periodo, perché io penso che tutto ciò che accade nell’universo ha del bello, ha un motivo, deve andare così.
Ci sono dei movimenti che devono essere fatti per forza, forse questo momento deve succedere per poi arrivare a capire che dobbiamo dare un peso alle cose. Ascoltare le canzoni di Rosa può aiutarci in tal senso. Nel mio piccolissimo, a ogni concerto dove cantavo Rosa Balistreri c’era gente che mi diceva che gli avevo smosso qualcosa, andava via piangendo. Già mettere un semino di pensiero dentro la testa come questo è una cosa importantissima. Guccini nella sua L’avvelenata diceva «a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia», il fatto stesso che la musica però possa far riflettere è già un cambiamento.
La generazione attuale e quella che verrà deve conoscere il passato, deve conoscere la violenza del passato per capire cosa porta alla violenza, quali azioni, quali sbagli. Se no com’è che oggi voti, parli, hai la libertà di fare quello che vuoi? Devi sapere perché. Io non sono una conservatrice, amo l’evoluzione, amo la libertà, amo le cose che cambiano, ma sono convinta che non c’è evoluzione senza il passato, senza conoscere quello che è successo. Ecco a cosa serve conoscere Rosa.
In che modo la tua esperienza a Amici ha influenzato la tua interpretazione della musica di Rosa Balistreri?
Questo percorso mi è stato molto utile perché mi ha formato e poi smontato. Quel mondo voleva i tormentoni, voleva quella cosa lì, e io l’ho fatta, con coscienza, ma ora alcuni pezzi da Spotify li toglierei, sono pezzi che non avrei mai scritto, li ho scritti perché spinti dal “consumismo”. Mi è stato chiesto questo perché quello devi vendere. A un certo punto la musica, sempre stato per me un modo per esprimermi, era diventato un banco dei pesci: tu devi vendere la musica, sembra terribile, ma è la verità. Questa cosa mi ha mandato fuori di testa.
Io sono dell’idea che proprio perché la mia anima non è compatibile a quella cosa lì non potevo fornire la risposta che pensavano. Era come se volessi seppellire quello che realmente sono, perché vedevo quello che vendeva, ma non ero io, non era ciò che sono realmente e di conseguenza non funziona perché non è la verità. Chi vende, vende perché è coerente con quello che è, al di là che siano cose semplici, frivole, pesanti. Se un artista canta quello che lo rappresenta funziona, e quindi vende anche, se invece io con la mia faccia, il mio modo di essere, provo a cantare canzoni che si prendono a pugni con quello che sono, arriva qualcosa che non combacia. E lì subentra il problema per te artista, perché vorresti fare musica e rimanere in questo mondo, ma sei costantemente in lotta con te stessa per capire cosa devi fare uscire per farti ascoltare dalla gente.
Rosa mi ha aiutato in questo caso perché cantando quelle canzoni e quelle melodie dentro il mio corpo si smuovevano cose che mi facevano sentire vista, riconosciuta. Quando canto Rosa mi riconosco nel modo che ha di scrivere, di dire cose che hanno un peso. Io oggi non scriverei delle canzoni così perché non mi sento pronta a scriverle, ma il mio prossimo album che uscirà ha cose vere, che ho sentito e che ho vissuto. Sarà più cantautorale, avrà suoni mediterranei che rappresentano la mia Terra a cui sono estremamente legata.
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