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Vincanta, la memoria che resiste

Vinca, 80 anni dopo: un festival per ricordare il massacro dimenticato, tra memoria storica e cultura nelle Alpi Apuane.

6 minuti di lettura

Tra il 21 e il 23 agosto 2024, in un piccolo paese tra le Alpi Apuane si è svolto il festival Vincanta. L’evento era dedicato alla città di Vinca, che 80 anni prima, tra il 24 e il 27 agosto, fu vittima di una brutale incursione fascista, durante la quale centinaia di abitanti innocenti furono uccisi. Gli invasori non si limitarono a sterminare gran parte del paese, ma inflissero anche terribili torture, soprattutto a donne e bambini. Vinca conobbe un bagno di sangue, anche più cruento di eccidi come Marzabotto. Nonostante ciò, la memoria dell’evento è andata persa: oggi Vinca è una città vuota, dove vivono nel ricordo solo i superstiti di una tale tragedia, mentre per il resto del mondo questa vicenda rimane sconosciuta.

Il festival Vincanta, organizzato dal Teatro dell’Assedio, compagnia teatrale già nota per spettacoli come Dall’Alto del Cielo Bombe, si è sviluppato su più serate. La prima è stata riservata alla proiezione del documentario La Dea di Pietra, di Michelangelo Ricci, direttore artistico della compagnia. Le due serate successive sono state invece dedicate allo spettacolo teatrale Opera Vinca, con protagonisti i membri del Teatro dell’Assedio e i ragazzi che avevano partecipato al laboratorio di teatro della compagnia svoltosi precedentemente a Bologna.

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La Dea di Pietra e l’archivio storiografico

La Dea di Pietra è un documentario forse fallimentare nella messa in scena, oltre che nel montaggio, ma il cuore del prodotto arriva comunque al pubblico. Il film è un’incredibile risorsa per gli storici del futuro, in quanto raccolta di testimonianze invidiabili. Il regista, insieme alla sua troupe, è andato di casa in casa a Vinca, incontrando i superstiti che avevano vissuto sulla propria pelle quel terribile crimine contro l’umanità. Le testimonianze sono molteplici e varie: ci sono quelle nette, narrate con memoria fotografica da chi nel 1944 era adolescente. Ma anche quelle raccontate come immagini lontane, con una punta di onirismo, da chi era solo un bimbo in fasce.

Statua di Vinca fatta per commemorare gli innocenti uccisi dai fascisti. Soggetto del documentario di Michelangelo Ricci La dea di pietra

Se il film rappresenta un racconto crudo e autentico del trauma, privo di filtri, lo spettacolo è una rielaborazione che mira a suscitare nello spettatore un intreccio di emozioni. Esso pone l’accento sull’importanza della memoria e sulla centralità del passato nel plasmare il presente. Vinca, a un osservatore esterno potrebbe apparire vuota. In realtà è abitata da persone che recano gli inevitabili segni del passato, ma che al tempo stesso rendono viva questa realtà. Non a caso, alcune di esse vengono direttamente nominate nei testi delle canzoni.

Vinca, cuore vivo della rappresentazione teatrale

Nello spettacolo, Vinca non è solo un luogo, ma diventa un attore attivo degli eventi. I primi numeri musicali si sono infatti svolti nell’ex-cinema della città, adornato di murales dalla compagnia durante il mese di prove trascorso in paese. Successivamente, lo spettatore è invitato a spostarsi verso la fontana, dove si svolge il primo numero musicale corale. Poi il pubblico è guidato verso il palco principale, ma solo dopo aver seguito un percorso specifico attraverso le vie del paese. Gli attori della compagnia sono disposti su scale, rampe o balconi e recitano ripetutamente la stessa poesia: “A chi soffre il proprio dolore senza tregua dorrà e chi teme la morte se la porterà sulle spalle. Non dorme nessuno nel cielo” (questo ne è solo un estratto). Lo spettatore arriva all’ex-scuola elementare, luogo dove si terrà la maggior parte dello spettacolo, profondamente turbato.

Foto dell'ex-cinema di Vinca, ripulito e adornato di murales dalla compagnia. A sinistra il violinista e a destra Davide Giromini

Arrivati sul palco, la compagnia alterna canzoni, poesie, monologhi che colpiscono nel profondo l’animo dello spettatore. Si passa da momenti sofferti, dove nelle voci dei teatranti sembrano echeggiare le urla di dolore di uomini, donne e bambini, a canzoni che fanno infervorare l’animo, o, ancora, mettono voglia di alzarsi, ballare, cantare come una grande comunità. I cantautori Davide Giromini e Alessio Lega rappresentano lo stardom dello spettacolo, non a caso sono entrambi direttamente esposti alle luci dei riflettori. Questi artisti guidano con la loro esperienza le voci della compagnia e donano allo spettacolo le proprie canzoni, sia le vecchie hit che alcune nuove, create appositamente per l’occcasione.

La compagnia del Teatro dell'Assedio balla sul palco. Evidenti a destra Davide Giromini e a sinistra Alessio Lega

Un lavoro collettivo: la presenza scenica e corale della compagnia

La vera forza prorompente dello spettacolo, tuttavia, è data dall’Assedio: la compagnia dona anima e corpo alla rappresentazione, regalando al pubblico incredibili performance di gruppo in cui la realtà corale emerge forte e perfettamente coordinata. Attraverso le movenze dei teatranti, le voci perfettamente equilibrate, lo spettatore entra a pieno titolo nella narrazione della storia. Ciò è particolarmente evidente in una delle canzoni finali, A Vinca, con voce solista Pic Scavone.

Il testo, scritto brillantemente da Michelangelo Ricci, si tramuta in immagini davanti ai nostri occhi: è possibile sperimentare la gioia dei protagonisti della storia. Si sente la leggerezza di una vita felice trovata su quei monti. Così come poi la disperazione di chi ha perso tutto, specialmente le persone amate, e inerme non può fare altro che testimoniare la folle violenza fascista. Il fuoco arde vivo davanti ai nostri occhi, lo stesso appiccato dalle bande nere 80 anni fa, ed è quasi possibile sentire l’odore di carne bruciata di cui parlano tanto gli intervistati de La Dea di Pietra.

Il Teatro dell'Assedio performa una delle canzoni dello spettacolo Opera Vinca

Intervista esclusiva con il direttore artistico Michelangelo Ricci

Ho avuto il piacere di intrattenere una conversazione con Michelangelo Ricci, il quale mi ha parlato della sua idea di teatro e del suo modo di lavorare.

Io venivo a Vinca sin da quand’ero piccolo. La storia di Vinca è la più cruenta che ti raccontano sin da bambino. Io venivo da questa terra e quindi mi apparteneva profondamente. Venendo qui qualche anno fa ho capito che questo fosse proprio il contesto giusto per parlare al mondo. È una tragedia moderna che accade tutti i giorni, come se un villagio del Ruanda fosse diverso da Vinca. Usiamo i rapporti con le proprie radici, i testimoni, la memoria. Qua c’è un elemento fondamentale: questa strage è stata perpetrata da dei fascisti italiani. Ci sono meccanismi di predominio economico e di potere molto complessi su cui stiamo lavorando, che studieremo e porteremo in scena in futuro. L’idea è quella di ricreare una comunità da un posto da cui è sparita. Questo paese aveva più di 1200 abitanti e ora ne ha 87.

Il nostro modo di fare teatro è quello di riusare tutto quello che componiamo. Costruiamo e tutto ciò che rimane buono lo riutilizziamo per gli spettacoli successivi. È una tecnica artistica: non amiamo la ripetizione, ma il repertorio, che si rinnova con le persone e viene riscritto ogni volta. È un’estetica progressiva, quella del Teatro dell’Assedio. Vi è un rimescolare i meccanismi del concetto del teatro, della narrazione, della visione della coreografia tutti insieme in questa forma “barocca” di intendere l’oggetto. Un barocco antico, come quello della tragedia greca, in cui si suona, si balla e si beve parecchio.

È una maniera. Ci sono storici e persone che abbiamo intervistato più di 20 anni fa. Grazie all’archivio abbiamo potuto rimontare queste testimonianze e riportarle alla luce. Per adesso siamo ancora nella composizione di questo film. Vogliamo costruire una forma. Vedremo cosa succede con i materiali, con le persone. Ci accorgeremo di cosa ha funzionato e cosa no, quali sono i rapporti giusti e quelli sbagliati. L’idea è quella di movimentare tutti.

Non si tratta di esterni, è sempre stata una compenetrazione di persone che sono state invitate qui per comporre cose su Vinca, suonare, inventarsi o partecipare in qualche forma. Questa è l’idea di base: la canzone che ha scritto Lega sul drone è dovuta al fatto che si è schiantato il nostro drone mentre io giravo il film La Dea di Pietra. Da lì è venuta l’evocazione, è questa l’idea, quella di una visione un po’ più adulta del fare arte. Non l’ho fatto io questo lavoro, io ho solo offeso gli altri se disgregavano il progetto. Il mio ruolo è tenere insieme il progetto, tutto.

Visione del palco all'ex-scuola durante la parte più "tradizionale" dello spettacolo. Il Teatro dell'Assedio performa Opera Vinca

Il messaggio politico del Teatro dell’Assedio

Vincanta oggi è necessaria più che mai. Il suo messaggio, come espresso da Michelangelo, dovrebbe echeggiare tra i monti e arrivare a quante più persone possibili. Il festival è un modo per ricordare, ma anche un atto di denuncia. Il nostro Stato ripudia ogni responsabilità in quanto “impossibilitato” dagli ostacoli fisici, quando in realtà il problema è ideologico: si tende a nascondere quest’eccidio nella speranza che un giorno venga completamente dimenticato. Questo è un ulteriore motivo per far sì che Vinca diventi simbolo della violenza perpetrata dal regime: quest’ultima, a differenza da quanto affermato da Mussolini, non fu mai strumento per raggiungere uno scopo. La violenza fascista, anche quando istituzionalizzata, rimane insensata e colpisce chiunque, soprattutto gli innocenti.

Vincanta è un ottimo punto di partenza per conoscere e non ripetere gli errori del passato. Il festival fà si che il pubblico conosca i fatti, ma li rielabora anche in una maniera dolceamara: lo spettatore può scegliere di essere trascinato dalla bellezza delle canzoni o di interpretare, rivelando ancora una volta la durezza degli eventi avvenuti. Lo spettacolo di Ricci ci accompagna come una guida fedele alla conoscenza, all’empatia per questi eventi, ma soprattutto alla scoperta di un paese che ancora oggi, a 80 anni da uno dei peggiori eccidi della storia italiana, si erge fiero tra le montagne, e ancora resiste.

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