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L’Irlanda si batte per l’aborto: un buon esempio per l’Italia

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3 minuti di lettura

Le irlandesi in questi giorni si stanno battendo su Twitter per il diritto all’aborto. In Italia, pur essendo legale, l’aborto è ancora un grande tabù.

Lorie Shaull, My Body Belongs To Me sign at a Stop Abortion Bans Rally in St Paul, Minnesota

L’Irlanda è una paese cattolico che sta cambiando. Dopo il matrimonio egualitario voluto dal popolo, una nuova campagna sta nascendo su Twitter per tutelare il diritto all’aborto. In Irlanda infatti l’aborto è illegale e viene concesso solo in rari casi in cui la vita della donna è in pericolo. Una situazione difficile da definire, tanto che i giornali ricordano alcune donne che, non essendo state autorizzate ad abortire, hanno perso la vita. È il caso di Savita Halappanavar, che nel 2012 è morta di setticemia dopo un aborto spontaneo. La mancanza di tutela non è solo potenzialmente pericolosa per la salute della donna, ma è anche ingiusta da un punto di vista morale. Un aborto illegale in Irlanda può essere punito con una pena detentiva di 14 anni e moltissime donne (circa dieci ogni giorno) sono costrette a lasciare il loro paese per interrompere una gravidanza indesiderata. L’emendamento 8 della costituzione è stato approvato con un referendum nel 1983 ed equipara la vita del feto a quella della madre, stabilendo così che interrompere una gravidanza è reato. Chi si schiera contro l’aborto dovrebbe però considerare quanto siano difficili alcune situazioni. È una decisione che nessuna donna prende a cuor leggero e chi si ritrova a dover compiere una scelta del genere dovrebbe essere almeno tutelata.

Le irlandesi hanno quindi lanciato una campagna su Twitter molto provocatoria. Tutto è iniziato con un tweet di Gráinne Maguire, attrice comica, che ha inviato un messaggio al primo ministro Enda Kenny, del partito democristiano Fine Gael:

«Donne d’Irlanda! La vostra vagina è il loro business! Twittate a @EndaKennyTD il vostro ciclo mestruale #repealthe8th.»

L’hashtag (letteralmente “abrogare l’ottavo emendamento”) ha subito preso piede e moltissime irlandesi – e non solo, perché la campagna è arrivata anche in Italia – hanno condiviso dettagli sul loro ciclo come segno di protesta. Alcune chiedono ironicamente consigli al primo ministro su come fermare il mal di pancia, altre condividono dettagli intimi, altre ancora raccontano le loro tristi storie. Come ha spiegato Gráinne, è giusto condividere queste informazioni dato che «sappiamo quanto lo Stato irlandese si interessi al nostro apparato riproduttivo». Il popolo irlandese spera di poter giungere in questo modo a un nuovo referendum, così come è accaduto a maggio per il matrimonio egualitario, portando il paese sulla via della civilizzazione. Kenny per ora non ha risposto ai numerosi tweet, ma tempo fa ha dichiarato che: «Per quanto riguarda l’ottavo emendamento io non favorisco l’aborto su richiesta e non ho nessuna intenzione di abolirlo senza considerare cosa potrebbe sostituirlo». Il partito laburista si schiera invece a favore della causa e promette che qualcosa sarà fatto riguardo a questo importante tema.

Non stupisce che molte italiane abbiano preso a cuore la causa. In Italia l’aborto non è illegale, ma è difficoltoso come se lo fosse. La legge al riguardo è la 194, è in vigore dal 1978 e il testo spiega molto bene che l’aborto non deve essere un metodo di controllo delle nascite, ma un’eccezione per tutelare la salute fisica e psichica della donna, che deve essere seguita e ben informata su ciò a cui sta andando incontro.

File:Abortion--ban-rally-1 (47968224352).jpgNei primi novanta giorni di gravidanza il ricorso alla IVG (Interruzione Volontaria della Gravidanza) è concesso alla donna «che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito (art. 4)».

Il ginecologo può esercitare l’obiezione di coscienza, ma i medici non possono sollevare obiezioni nel caso in cui la donna sia in pericolo di vita (art. 9, comma 5). Il problema sta nel fatto che gli obiettori di coscienza sono moltissimi, in media il 70%, ma in alcune città italiane si arriva addirittura al 100%, raggiungendo le vette più alte d’Europa. Sembra poi che questi numeri non stiano calando, ma al contrario aumentino sempre più. Di conseguenza, chi accetta di occuparsi della questione è costretto (o costretta) a trattare un numero di aborti incredibile e fare anche “il lavoro degli altri”. Una donna da questo punto di vista non può quindi sentirsi tutelata a dovere e non essendoci medici pronti a interrompere una gravidanza è come se la 194 non esistesse affatto. Se da un lato è giusto rispettare la moralità e le idee del singolo, decidere di fare il ginecologo dovrebbe voler dire accettare anche il lato più oscuro di questa professione, così come avviene con moltissimi altri lavori.

Se quindi in Irlanda le donne si stanno battendo per rendere l’aborto legale, in Italia sarebbe d’obbligo una battaglia per rendere l’aborto accessibile. Purtroppo non è così: numerosi gruppi ancora oggi si battono per eliminare questo diritto – tirando fuori per l’occasione foto ad effetto di feti ben più grandi dei tre mesi, così da attaccare i cattivoni che “vogliono negare la vita a un bambino”. Non si tratta però di togliere la vita a un bambino, si tratta di garantire la vita a una donna che, per i motivi più disparati e spesso con dolore, non è pronta ad avere un figlio. Si parla spesso della tutela dei non-nati, forse sarebbe il caso di tutelare invece chi è già nato.

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