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Grazie Françoise Hardy, per averci lasciato la giovinezza

Storia, carriera e eredità di Françoise Hardy. Iconica cantante e incarnazione del mito della ragazza francese, ha fatto sognare attraverso i decenni stilisti, musicisti e, in fondo, un po' tutti noi.

3 minuti di lettura

«Maman est partie», ha scritto sotto ad un post di Instagram Thomas Dutronc, figlio di una delle ultime dive francesi, Françoise Hardy.

Era la dea della giovinezza, della dolcezza dei primi amori adolescenziali e dei tempi andati. Con i testi di Françoise Hardy tutti, almeno una volta, hanno sognato un po’. La gioventù diviene un momento che si può evocare attraverso una sua canzone, che si può re-immaginare attraverso le sue suggestioni. Al suo debutto di successo, con Tous les garçons et les filles, era poco più che maggiorenne. «Time it was, and what a time it was, it was», cantavano Simon and Garfunkel nel 1968, ricordando la bellezza dei tempi trascorsi, ma sottolineando, alla fine, quasi brutalmente, la presa di coscienza del passato: «it was». Con Françoise Hardy non si può dire lo stesso: ascoltando le sue canzoni, la giovinezza diviene un tempo da poter allungare, dove poter cullarsi ancora per un po’, nonostante le sue complessità. Non a caso, il regista Wes Anderson ha scelto di inserire la sua Le temps de l’amour all’interno della pellicola Moonrise Kingdom, che altro non parla che di una fuga tra due dodicenni innamorati. Ascoltare oggi le sue canzoni è come fare un immediato balzo in un’altra epoca, fatta di gioventù e di immaturità.

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La ragazza yé-yé

Non si può negare: Françoise Hardy è la Francia, lo stato giovanile e malinconico di una nazione. È stata l’incarnazione della ragazza parigina, del suo stile e del suo modo di comunicare. Non era di certo sola: Brigitte Bardot e Jane Birkin l’hanno da sempre affiancata nell’olimpo delle French Girls, fatto di frangette, di gonne corte e di quel je ne sais quoi di uno stile apparentemente senza sforzo, naturale. Fatto di voci non perfette ma magnetiche, malinconiche, seducenti: senza dubbio, iconiche. Françoise Hardy fu una delle madrine del movimento yé-yé, ossia di quello stile musicale degli anni Sessanta molto in voga in Europa meridionale, che riprendeva alcune tonalità del rock’n’roll molto leggere e pop. Mentre le band inglesi e americane urlavano dai loro palchi yeah yeah, i francesi lo traducevano con una formula più sbrigativa, quasi simpatica, inserita qua e là nei loro riadattamenti a canzoni di successo rock americane, utile a mascherare i buchi testuali di cover spesso improvvisate. Le ragazze yé-yé erano parte di questa rivoluzione nata dal rock, portando avanti una celebrazione dell’adolescenza in stile Lolita, cantando di gioventù e di flirt, con testi spesso non privi di una doppia lettura. In un documentario del 2019, Girls Rock!, che racconta la storia delle rock-star francesi, Françoise Hardy parla, infatti, di come spesso questa innocenza caratterizzasse effettivamente le giovani star arrivate al successo in poco tempo, raccontando di come la cantante (e ragazza yé-yé) France Gall rivelò che quando Serge Gainsbourg le scrisse la canzone Les Sucettes A L’anis, lei non aveva capito quale fosse il significato e il doppio senso del testo. La stessa Françoise Hardy si dichiarava inconsapevole di quello che le stava accadendo.

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Amata da rockettari e stilisti

All’epoca del suo debutto, nel 1962, Françoise Hardy non era ancora considerata una femme fatale. Il suo fisico era androgino, la Francia impazziva invece per le curve ed i capelli ondulati di Brigitte Bardot. Volò quindi in Inghilterra, dove, in poco tempo, il suo fascino venne scoperto e le sue gambe evidenziate dalle gonne vertiginose di Mary Quant, divenendo, tutt’ad un tratto, l’oggetto del desiderio di artisti e rockettari del tempo. Mick Jagger non tardò a definirla la sua femme idèale, mentre un romantico Bob Dylan compose per lei un poema (For Françoise Hardy at the Seine’s Edge) e tentò di dedicarle, senza successo, una serenata, sulle note di I Want You. Difatti, il mondo del rock ha sempre tessuto le sue lodi: Rolling Stone US l’ha inserita nell’elenco dei 200 cantanti migliori di sempre. Il suo fascino mescolava insieme lo stile di una femminilità quasi fanciullesca a quello di un look e un fisico androgino e dalle forme rigide, che la resero ben presto musa di stilisti all’avanguardia come Yves Saint-Laurent o di Paco Rabanne. Françoise Hardy ha contribuito a creare il mito della ragazza francese: di un gusto altamente borghese e di un forte stile identitario, che ha poi definito quello di un’intera generazione.

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Non è un addio

Françoise Hardy se ne è andata ad ottanta anni, eppure, ciò che ci ha lasciato è la sua giovinezza. Un pezzo di un’epoca che nei suoi testi veniva già quasi rimpianta, lasciando un velo di malinconia. Forse è proprio questa operazione di cristallizzazione a priori di un’età che rende quest’ultima immortale e duratura nel tempo. Le sue canzoni continueranno a risuonare come il sogno di una fase complessa e carica di desiderio come l’adolescenza, come parte della colonna sonora di una pellicola che è possibile riavvolgere ancora e ancora. Non è forse questa la formula dell’immortalità?

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In copertina: Françoise Hardy

Margherita Coletta

Classe 1998. Laureata in Letteratura Musica e Spettacolo, con una tesi in critica letteraria. Attualmente studia Editoria e Giornalismo a Roma. Le piace girovagare e fare incontri lungo la via. Appassionata cacciatrice di storie, raccontagliene una e sarà felice.

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