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L’arte per esprimersi: «Vorrei una voce» al Teatro Elfo Puccini

Liberazione e catarsi. Una storia emozionante, in cui la musica di Mina e la femminilità dell'attore diventano veicolo per la storia delle molte donne della Casa Circondariale di Messina.

2 minuti di lettura

L’arte è essenzialmente un mezzo di comunicazione: permette di spiegare concetti e di esprimere se stessi. La peculiarità dell’arte è il fatto che si possa comunicare qualcosa di non necessariamente logico o consequenziale come le emozioni, la vita, le personalità. Vorrei una voce di Tindaro Granata è un racconto di vita vissuta che va proprio a mettere in luce come l’arte sia strumento di liberazione, in particolare qui si trova espressione all’interno delle canzoni di Mina.

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Tratto da storie vere

Lo spettacolo è nato nel contesto di un laboratorio tenuto dall’attore all’interno della Casa circondariale di Messina nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi. Il fulcro della drammaturgia è il sogno: spesso le detenute, attraverso la voce di Tindaro Granata, diranno di non poter sognare. In carcere non si può sognare, se non le piccole cose, come spiega una delle protagoniste. Da una stessa condizione arrivava anche Tindaro Granata:

«Ero un giovane uomo, lavoravo, avevo una casa, una macchina, e soprattutto persone che mi amavano, ma avevo smesso di provare gioia per quello che facevo, non credevo più in me stesso e in niente. Non so come sia successo. Un giorno mi sono svegliato e non mi sono sentito più felice, né di fare il mio lavoro né di progettare qualsiasi altra cosa».

Dal comunicato stampa dello spettacolo

Le sbarre del luogo in cui le donne vivono sono il corrispettivo reale di quelle che metaforicamente stavano imbrigliando la vita di Tindaro Granata. Raccontare queste storie ha significato una liberazione sia per le detenute che per l’interprete: da un lato c’è la catarsi, dall’altro la comprensione, entrambe strade che portano alla liberazione di sé.

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La chiave

Pur non vedendo in scena le donne del Piccolo Shakespeare di Messina, noi le abbiamo conosciute tutte grazie alla sensibilità e abilità dell’attore. Infatti Tindaro Granata nel monologo esplicita come per accedere a quel luogo e alle sue abitanti la chiave sia la propria femminilità. In un ambiente dove essa viene annullata, è necessario riappropriarsene e usarla come catalizzatore di reazioni positive.

Le canzoni di Mina sono state la scintilla per accendere quel processo di riappropriazione di sé. Ciò che ha fatto Tindaro Granata durante il suo lavoro con le detenute è stato di riprodurre l’ultimo concerto live di Mina del 23 agosto 1978 e utilizzare per ognuna di loro due canzoni della cantante come strumento per raccontare la loro storia. In questo modo ognuna di loro, cantando in playback, poteva trasmettere tutta la forza e la potenza della propria storia per liberarsi dai pensieri che l’angosciano.

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L’emozione non ha voce

Adriano Celentano intitola come sopra la sua canzone, Mina canta che ne vorrebbe una e Tindaro Granata soddisfa entrambi. L’attore dà voce a quei racconti che non ne avrebbero avuta una senza questo lavoro, ma allo stesso tempo deve confrontarsi con la forte emozione provocata dai ricordi di quell’esperienza, in particolare nel toccante dialogo-monologo con Assunta.

È potentissimo vedere l’attore lottare contro le proprie lacrime ancor più che vederlo piangere, perché c’è qualcosa di intimo in quell’emozione che lotta per uscire. Tindaro Granata porta sul palco qualcosa di struggentemente vero, autobiografico e lo fa con delicatezza e attenzione. Vorrei una voce è una reale restituzione di tratti di vita che vuole entrare in dialogo con chi ha davanti per creare una relazione vera tra coloro seduti ad ascoltare e le donne che anche se lontane si fanno conoscere.

Vorrei una voce 
di e con Tindaro Granata
con le canzoni di Mina
ispirato dall’incontro con le detenute-attrici della Casa Circondariale di Messina nell’ambito del progetto Il Teatro per Sognare di D’aRteventi

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Marialuce Giardini

Diplomata al liceo classico, decide che la sua strada sarà fare teatro, in qualsiasi forma e modo le sarà possibile.
Segue corsi di regia e laboratori di recitazione tra Milano e Monza.
Si è laureata in Scienze dei Beni Culturali nel 2021

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