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«Antigone»: la questione etica-morale sofoclea interpretata dalla pittura

Simbolo di libertà, lotta ed emancipazione, Antigone è probabilmente una delle eroine sofoclee più rivoluzionarie. La sua storia e il conflitto etico-morale da lei incarnato sono stati così per secoli fonte d'ispirazione artistica, anche per molti pittori.

4 minuti di lettura
Giove certo non fu, chi a me le impose,
né la giustizia agl’Inferi compagna
codeste leggi fissò mai fra gli uomini.

Antigone, Sofocle, vv. 450-452

Protagonista dell’omonima tragedia sofoclea, Antigone è una delle più note eroine del mondo classico. Figlia di Giocasta e Edipo, rimane ancora oggi, a centinaia di secoli dalla creazione, un simbolo di libertà, di lotta e di emancipazione.

Moltissime sono state le riproposizioni della tragedia, tra le più conosciute la riscrittura di Bertolt Brecht del 1947. La forza di Antigone è stata celebrata in tutte le forme d’arte, tra cui la pittura.

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La tragedia sofoclea

L’Antigone è stata messa in scena per la prima volta alle Grandi Dionisie di Atene del 442 a.C. e fa parte di quel nucleo di tragedie che narra le vicissitudini della stirpe di Edipo. L’intreccio narrativo ideato da Sofocle è estremamente complesso e per comprenderlo è necessario contestualizzare le vicende della stirpe di Tebe.

Edipo, figlio del re di Tebe Laio e nipote di Labdaco, fu abbandonato appena nato sul monte Citerone in seguito a una catastrofica profezia dell’oracolo che aveva prefigurato la morte del re e della regina Giocasta in caso di discendenza.

Edipo venne salvato e adottato dal re di Corinto, Polibio; in età adulta decise di recarsi a Delfi per interrogare l’oracolo riguardo le proprie origini e il proprio futuro. Il responso fu spiazzante: se fosse tornato in patria, avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Allora, convinto di essere il figlio legittimo del re di Corinto, Edipo fuggì e sulla strada per Tebe incontrò Laio: nato un diverbio tra i due, Edipo lo uccise.

In seguito alla morte del re, il trono passò a Creonte, fratello di Giocasta, il quale promise in sposa la sorella a chiunque avesse sconfitto la Sfinge. Quest’ultima fu vinta da Edipo che sposò la madre, facendo così avverare la profezia dell’oracolo. Dal matrimonio nacquero quattro figli: Eteocle, Polinice, Antigone ed Ismene.

Una volta scoperta la verità, Giocasta si uccise ed Edipo si accecò decidendo poi di andare in esilio volontariamente in Attica. Accompagnato solo dalla figlia Antigone, subito prima di morire condannò i due figli che lo avevano rinnegato a farsi guerra per la corona di Tebe e a darsi morte reciproca.

Eteocle e Polinice, spaventati dalle parole del padre, optarono per una soluzione apparentemente semplice e funzionale: passarsi di anno in anno la reggenza della città. Alla fine dei primi dodici mesi, tuttavia, Eteocle, accecato dal potere, non cedette la corona al fratello che rispose marciando su Tebe accompagnato da sette principi argivi.

I due fratelli si uccisero l’uno l’altro avverando la profezia del padre. Il potere passò dunque a Creonte.

Così si apre l’Antigone di Sofocle. Il neo-re impone il divieto di sepoltura ai vinti, tra cui dunque anche Polinice: nonostante ciò, Antigone decide di disubbidire conferendo al fratello i riti funebri. Creonte, forte portatore del diritto della polis, condanna dunque la nipote ad essere sepolta viva.

In seguito ad una profezia di Tiresia, le suppliche del Coro e del figlio Emone, promesso sposo di Antigone, decide tuttavia di liberarla ma ormai è troppo tardi: Antigone si è impiccata.

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La questione etica-morale: sepoltura

Io non pensai che tanta forza avessero
gli ordini tuoi, da rendere un mortale
capace di varcare i sacri limiti delle leggi non scritte e non mutabili

Antigone, Sofocle, vv. 453-455

Il nodo nevralgico dell’intera tragedia altro non è che la questione della sepoltura.

Antigone e Creonte entrano in un conflitto: tuttavia, si tratta di una lotta alla pari che non può avere vincitori. Entrambi hanno torto ed entrambi hanno ragione.

Creonte è il re e, facendosi portatore delle leggi della polis, ordina che il traditore Polinice non venga sepolto: Sofocle non mette mai in dubbio la colpevolezza del legittimo re di Tebe ma la faccenda va ben oltre. Antigone, infatti, si fa portatrice di quelle leggi «non scritte e non mutabili» imposte da Giove stesso.

La figlia di Edipo combatte in nome di un comandamento morale, il fratello di Giocasta difende un principio giuridico della polis che deve governare.

La questione di matrice etica-morale non ha vie d’uscita e nessuna legge sovrasta alla fine l’altra: entrambi escono sconfitti e la conseguenza finale è l’esaurirsi della stirpe di Labdaco.

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Antigone in pittura

Sebbene la pittura non sia la forma d’arte in cui ha avuto maggiore fortuna, Antigone è stata musa per diversi artisti nel corso dei secoli. Tra le rappresentazioni più interessanti e significative, tra l’altro divergenti tra loro, ci sono la tela di Frederic Leighton e la tela di Jean-Joseph Benjamin-Constant.

Frederic Leighton, Antigone, olio su tela, 1882

Frederic Leighton (Scarborough, 1830 – Londra, 1896) è un pittore di origine inglese inseribile nella corrente dei preraffaelliti: la sua Antigone porta la fisionomia di Dorothy Dene, musa e modella dell’artista.

La figura femminile prende forma stagliandosi da un fondale scuro: la corporatura è volumetrica e maestosa, perfettamente proporzionata. Il panneggio dell’abito è delicato e setoso.

Antigone viene raffigurata sola: il carattere solitario del ritratto si lega indissolubilmente alla solitudine vissuta dall’eroina sofoclea, che combatte isolata per perseguire un ideale morale.

Jean-Joseph Benjamin-Constant, Antigone presso il corpo di Polinice, 1882, olio su tela

A differenza di Frederic Leighton, che decide di ritrarre Antigone sola, Jean-Joseph Benjamin-Constant (Parigi, 1845 – Parigi, 1902) riporta su tela un momento preciso della tragedia: il momento della sepoltura.

L’atmosfera è tragica e solenne: Antigone, vestita con un abito bianco che risalta sull’ambientazione scura, sta coprendo il corpo del fratello. Il pittore tardo romantico decide di concentrarsi sulla questione morale della tragedia: la figlia di Edipo, disobbedendo agli ordini dello zio, protegge il proprio credo religioso e concede gli onori funebri al fratello scatenando l’ira di Creonte.

La tela, con la sua atmosfera cupa, si fa premonitrice del destino di Edipo e di tutta la stirpe di Labdaco. L’atto della sepoltura è reso però con una solennità tale dal pennello di Jean-Joseph Benjamin-Constant da far emergere da una singola tela l’intero dibattito etico sofocleo.

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Antonia Cattozzo

Appassionata di qualsiasi forma d'arte deve ancora trovare il suo posto nel mondo, nel frattempo scrive per riordinare i pensieri e comunicare quello che ciò che ha intorno le suscita.

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