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«L’Alba della Modernità»: la rivoluzione degli impressionisti a Roma

Visitabile fino al 28 luglio 2024 al Museo Storico della Fanteria di Roma, la mostra rinnova il racconto dell'Impressionismo, coinvolgendo grandi nomi e artisti meno noti in un viaggio tra passato, presente e futuro.

3 minuti di lettura

Il 15 aprile 1874 la primavera parigina è scossa dalla mostra, organizzata dal fotografo Nadar, di artisti precedentemente rifiutati dai Salon ufficiali per l’audacia della loro pittura e per i soggetti inconsueti, tra cui nomi oggi universalmente noti come Claude Monet, Edgar Degas e Pierre-Auguste Renoir.

È l’alba della rivoluzione impressionista, a cui seguiranno altre otto mostre ufficiali, di cui l’ultima si colloca nel 1886, segnando un cambiamento epocale per la storia dell’arte, al punto che alcuni storici dell’arte individuano i prodromi della contemporaneità proprio nelle pennellate imprecise e nei soggetti di vita borghese della pittura impressionista.

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A distanza di 150 anni dall’esposizione che ha segnato la storia della pittura occidentale, Roma ospita la mostra Impressionisti – L’alba della modernità nella location in stile Liberty del Museo Storico della Fanteria, polo museale inaugurato nel 1959 per raccontare, attraverso cimeli e materiale documentale, la nascita e la storia dell’esercito italiano.

La mostra, prodotta da Navigare S.r.l e visitabile dal 30 marzo al 28 luglio 2024, è stata organizzata con il supporto del comitato scientifico diretto da Vittorio Sgarbi e composto da Gilles Chazal, ex Direttore del Musée du petit Palais, Vincenzo Sanfo, curatore ed esperto di Impressionismo, Maithé Vallés-Bled, ex Direttrice del Musée de Chartres e del Musée Paul Valéry

L’esposizione, che vanta un corpus espositivo di oltre 160 opere realizzate da 66 artisti, si differenza da altre mostre sull’Impressionismo per diversi elementi di originalità, tra cui il dialogo tra le opere dei grandi nomi dell’Impressionismo, come Claude Monet, Camille Pissarro, Edgar Degas e Berthe Morisot, e artisti meno noti, come Félix Bracquemond, Ludovic-Napoléon Lepic e Paul Lecomte, le cui opere provengono da prestigiose collezioni private italiane e francesi e che, sebbene non possano essere pienamente ascritti all’Impressionismo, certamente ne furono comprimari.

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P.Lecomte, Bateau sur la riviere, Olio su tela 55 x 48 cm Collezione privata

La mostra mira, infatti, a raccontare la temperie culturale della Parigi fin de siècle in cui è nato l’Impressionismo, avvalendosi di materiali documentali come libri, epistole e raffinati oggetti di arredo e di uso quotidiano, come piatti e servizi da thè, che contribuiscono a penetrare lo spirito del tempo.  Allo stesso modo viene presa in esame dall’esposizione capitolina la grande influenza esercitata dalla fotografia sulla ricerca impressionista, attraverso disegni preparatori, incisioni, litografie e nuove tecniche di stampa, nell’ottica di un raffinato sperimentalismo.  Tra le opere in mostra anche diversi bozzetti e disegni preparatori, tra cui le celebri ballerine di Edgar Degas e Bar aux Folies-Bergère di Édouard Manet.

E. Manet, Bar aux Folies-Bergère, 1881-82, olio su tela, 96×130 cm, Courtauld Gallery, Londra. Fonte: Wikipedia – Pubblico dominio

Il percorso espositivo si dipana attraverso tre sezioni che mirano a una ricostruzione completa e filologicamente corretta della storia dell’Impressionismo, individuandone influssi, ispirazioni ed influenze, e coprendo un arco temporale che va dagli anni venti dell’Ottocento fino agli anni venti del Novecento, con una incursione negli anni sessanta rappresentata da una litografia di Pablo Picasso, omaggio agli artisti Edgar Degas e Marcellin Desboutin.

La prima sezione, Da Ingres a L’École de Barbizon, i fermenti dell’Impressionismo, mette in luce i numerosi punti di contatto tra la pittura impressionista e la variegata comunità di giovani artisti, tra i quali spiccano Jean-François Millet e Jean-Baptiste Camille Corot, che, a partire dagli anni trenta del ‘900, iniziarono a riunirsi a Barbizon, villaggio situato al margine occidentale della foresta di Fontainebleau, luogo prescelto per dipingere en plein air, al riparo dal caos urbano. 

La seconda sezione, L’impressionismo, entra nel cuore pulsante della mostra, esponendo opere dei grandi nomi della corrente – Edgar Degas, Édouard Manet, Pierre-Auguste Renoir, Camille Pissarro – tra cui si segnala Les Pêcheurs de Poissy di Claude Monet, esposta per la prima volta al pubblico e identificata come disegno preparatorio dell’omonima opera custodita nel Belvedere di Vienna, figlia delle ricerche di Claude Monet sui riflessi dell’acqua e realizzata tra il 1881 e il 1883, periodo in cui l’artista visse sulle rive della Senna.

C. Monet, Les pêcheurs de Poissy, 1882, 59,8 x 81,7 cm, Palais du Belvédère, Vienna. Fonte: Wikiart – Pubblico dominio

La sezione conclusiva della mostra, L’eredità dell’Impressionismo, vede come naturale conclusione l’approdo al postimpressionismo, con opere, tra le altre, di Vincent Van Gogh (L’homme à la Pipe) e Henri de Toulouse-Lautrec (La coiffure, Les Ambassadeurs), sottolineando come il magistero impressionista abbia aperto le porte alla modernità, anticipando le sperimentazioni delle Avanguardie Storiche.

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La mostra, dunque, si configura come un tentativo di dare nuova linfa vitale al racconto sull’Impressionismo, a partire dalla scelta della location al di fuori dei luoghi istituzionali canonici, per cercare di trasmettere l’idea di Impressionismo come «Alba della Modernità», ovvero come nascita di un nuovo modo di percepire la realtà attraverso la sfera sensoriale, oltre che come tendenza spirituale ed emotiva, come sottolineato dal critico Vittorio Sgarbi:

Il titolo è molto efficace perché parla di impressionisti senza indicare il nome di protagonisti come Renoir o Degas, ma racconta una tendenza spirituale ed emotiva. L’alba della modernità è la verità, ossia l’arte moderna non nasce nel ‘900 con i Futuristi, ma nasce con gli Impressionisti quando appunto si desacralizza il contenuto della pittura per farlo diventare un rapporto con la situazione che si vive sul piano della percezione sensoriale. Gli Impressionisti rappresentano ciò che si sente dentro, qualcosa che non è riproducibile con la fotografia. Sia nell’incisione, sia nella pittura, c’è la prima presa di posizione di un’esperienza creativa rispetto a quella riproduttiva della fotografia.

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Arianna Trombaccia

Romana, classe 1996, ha conseguito la laurea magistrale con lode in Storia dell'arte presso l’Università La Sapienza. Appassionata di scrittura creativa, è stata tre volte finalista al Premio letterario Chiara Giovani. Lettrice onnivora e viaggiatrice irrequieta, la sua esistenza è scandita dai film di Woody Allen, dalle canzoni di Francesco Guccini e dalla ricerca di atmosfere gotiche.

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