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L’ultimo appello di Julian Assange

Il giornalista e fondatore di Wikileaks rischia fino a 175 anni di carcere negli Stati Uniti. In attesa del verdetto finale sull'estradizione, chi è e di cosa è accusato Julian Assange?

4 minuti di lettura

Si è aperta martedì 20 febbraio e conclusa il pomeriggio successivo senza verdetto, il quale è atteso nei prossimi giorni, l’udienza d’appello di Julian Assange contro l’estradizione negli Stati Uniti. Si tratta dell’ultima possibilità per il giornalista e fondatore di Wikileaks di evitare fino a 175 anni di carcere che lo attenderebbero negli USA per la presunta violazione dell’Espionage Act, formulata in diciassette capi d’accusa dal Dipartimento di Giustizia americano nel maggio 2019. Secondo le autorità statunitensi, Assange avrebbe messo in pericolo coloro che hanno collaborato con le forze statunitensi durante le guerre in Iraq e in Afghanistan e minacciato la sicurezza nazionale degli USA. Lo avrebbe fatto pubblicando nel 2010 centinaia di migliaia di documenti coperti da segreto di Stato sulla sua piattaforma Wikileaks. Le informazioni riportate in quegli stessi files, verificate e selezionate dall’organizzazione di Assange prima della pubblicazione online e successivamente dalle maggiori testate internazionali, che le hanno utilizzate come fonti per le loro inchieste, rivelavano i crimini di guerra commessi dall’esercito statunitense nei teatri bellici mediorientali contro la popolazione civile e le torture inflitte ai prigionieri reclusi a Guantanamo e ad Abu Ghraib.

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Le vicende giudiziarie di Julian Assange

Nello stesso anno della pubblicazione dei primi files, ovvero nel 2010, Julian Assange viene accusato di stupro dalla procura di Stoccolma. Le indagini preliminari si protraggono negli anni e, senza che venga mai deciso il rinvio a giudizio dell’indagato, finiscono con l’archiviazione del caso per mancanza di prove nel 2019. Sette di questi anni, dal 2012 al 2019, vengono trascorsi dal giornalista come rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, con un mandato d’arresto internazionale pendente, emesso dalla Svezia e pronto ad essere eseguito dalle forze di polizia inglesi nel caso in cui Assange fosse uscito dall’edificio. I due anni precedenti li aveva passati agli arresti domiciliari nel Regno Unito, interrotti dalla sua fuga nell’ambasciata londinese del paese sudamericano.

Sempre proclamatosi innocente e disposto ad essere interrogato sul caso dalle autorità giudiziarie svedesi nel Regno Unito, Julian Assange si è però rifiutato di andare a Stoccolma, temendo che una volta recatovisi il paese scandinavo l’avrebbe estradato negli States. La permanenza nell’Ambasciata dell’Ecuador termina nell’aprile 2019, quando il presidente Lenin Moreno toglie l’asilo politico ad Assange e consente alla polizia inglese di entrare nell’Ambasciata per arrestarlo. L’atteggiamento di Moreno riguardo il caso Assange, ancora prima della consegna di fatto alla polizia inglese del giornalista, si rivela fin da subito molto differente rispetto a quella del predecessore Rafael Correa, oggi rifugiato in Belgio dopo una condanna per corruzione, con la quale si è concluso in Ecuador un processo da molti definito “politico”.

Dal 2019 Julian Assange ha speso le sue giornate nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, mentre le corti inglesi decidevano delle richieste di estradizione avanzate dagli Stati Uniti e degli appelli presentati dai suoi avvocati. Una prima richiesta di estradizione è stata infatti respinta dalle autorità giudiziarie del Regno Unito nel 2022, per poi essere concessa dopo l’appello statunitense nel 2023 e tornare in questi giorni nuovamente in esame a seguito del nuovo appello presentato dai legali del giornalista.

Da un lato l’amministrazione Biden continua a rivendicare l’estradizione negli States di Julian Assange, come espresso in maniera esplicita da Antony Blinken nel luglio 2023 rifiutando la richiesta dell’Australia, paese natale del giornalista, di porre termine al suo perseguimento penale. Dall’altro la minaccia rappresentata dalla condanna di un giornalista per aver rivelato notizie di interesse pubblico nei confronti delle “strutture democratiche occidentali”, oltre che dei diritti fondamentali di Assange stesso, è denunciata dalle maggiori associazioni per i diritti umani internazionali e dalle più importanti testate giornalistiche. A lanciare un allarme ancora più tragico è inoltre Stella Assange, compagna e madre dei due figli del giornalista, secondo cui l’estradizione negli USA minerebbe le sue possibilità di sopravvivenza. La salute mentale del giornalista è infatti in condizioni estremamente precarie: secondo l’ex-relatore speciale delle Nazioni Unite contro la tortura Nils Melzer, presenta i segni di una tortura psicologica prolungata negli anni, e secondo Alice Jill Edwards, che attualmente ricopre il ruolo, è presente il serio rischio che possa subire maltrattamenti assimilabili alla tortura in caso venisse estradato.

I contenuti dei rapporti secretati su Wikileaks

Il fatto che tante informazioni riservate siano finite nelle mani di Julian Assange e in seguito pubblicate online lo si deve in primis a Chelsea Manning, analista d’intelligence dell’esercito americano dopo l’invasione dell’Iraq del 2003, che ha ritenuto i massacri di civili da parte dei soldati del “mondo libero” una questione di interesse pubblico e che per questo è stata condannata a 35 anni di carcere, con l’accusa di reati contro la sicurezza nazionale, e in seguito graziata dal presidente Barack Obama. Il primo file di questa numerosa serie pubblicata da Wikileaks riguarda proprio le operazioni americane in Iraq. Si chiama “Collateral Murder” e consiste in un video raffigurante l’uccisione da parte delle forze USA di 18 civili iracheni, tra cui due giornalisti della Reuters e il loro autista, e il ferimento di due bambini il 12 luglio 2007 a Baghdad. La telecamera di uno dei giornalisti viene scambiata per un AK-47 dai soldati statunitensi, che a bordo di un elicottero ottengono l’autorizzazione a sparare prima contro i presunti “guerriglieri”, cioè i giornalisti e i loro accompagnatori, e poi contro i civili che si sono fermati a soccorrerli. Nei mesi successivi compaiono su Wikileaks immagini raffiguranti ridenti soldati statunitensi posare accanto a corpi nudi, accatastati o appesi di presunti terroristi detenuti a tempo indefinito e senza capi d’accusa. A lavorare sui documenti e a diffonderli ulteriormente ci pensa poi la stampa di tutto quell’Occidente che la “guerra al terrore” giurava di proteggere: New York Times e Der Spiegel tra i maggiori a livello internazionale e L’Espresso per quanto riguarda l’informazione nostrana.

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Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

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