di Aurelio Lentini
«Per il sacrale rispetto che si deve alla stessa Assemblea ed alle sue prerogative, espressioni della sovrana volontà popolare».
Conclude così, Ignazio Marino, una lettera di revocate dimissioni semplice e fiera; in una parola, in mezzo a tutto il marciume emerso dalle fogne a cielo aperto della Capitale, onesta.
È con questa frase che il “Sindaco contro tutti” riassume per intero il senso di una vicenda e ne smaschera le ipocrisie. Non si tratta di combattere per l’uomo, per il partito, per il consiglio comunale: si tratta di una questione di rispetto dei principi democratici.
La revoca delle dimissioni presentate il 12 ottobre – con 20 giorni “per ripensarci” – dopo le estenuanti pressioni del Partito Democratico, se non altro strappa il vestito porpora al nuovo Cesare – e non ce ne voglia Cesare Augusto. Il Re adesso è nudo e a Ignazio Marino va riconosciuto di averlo spogliato.
Nella notte buia della democrazia il gesto del Sindaco di Roma è un razzo di segnalazione. In un momento in cui, a opera del Partito Democratico di cui Marino stesso è espressione, si sta perpetrando l’assassinio della Costituzione e dei principi democratici (legge sulla stampa, riforma del Senato e riforma Elettorale solo per citare gli esempi più in voga), quanto meno si impedisce che l’ultima di tante violazioni, in un terribile effetto a cascata dal macro al micro, passi sotto silenzio: un Presidente del Consiglio non eletto da nessuno non può dimissionare un sindaco eletto democraticamente.
Altrimenti si chiama fascismo. Altrimenti si tornino a nominare i Podestà.
Altrimenti si mostrino le cose per quello che sono, una delle pagine più bieche e laceranti della storia non solo della nostra nazione, ma della penisola italiana dall’Antica Roma a questa parte. Come da un castello di cartapesta finalmente lacerato, il marcio che trabocca dal Partito Democratico è imbarazzante: il commissario del Pd romano giovane, democratico e bello – Matteo Orfini – mostra il suo volto autentico, e passa in rassegna fino ai fascisti di Alemanno per raccattare i 25 consiglieri da far dimettere in massa per silurare il proprio sindaco. abbattendo l’Assemblea consiliare (salvato in corner dalle dimissioni di Alfio Marchini per non ricorrere a quelle dell’ex sindaco croce celtica al petto); l’onorevole Marco Causi che dichiara sul “giornale di partito” che al Sindaco sconfitto sarebbe stato permesso «un passaggio in aula per un messaggio di fine mandato alla città», un incontro con Renzi ma «a dimissioni esecutive» e infine una partecipazione al processo per Mafia Capitale al fianco dei Ras del Pd che lo hanno defenestrato. Come sottolinea Alessandro Gilioli, si tratta di un vero e proprio ritorno ai vassalli e ai feudatari.
In mezzo a questa putrescenza il gesto di Ignazio Marino se non altro riporta un po’ di dignità. È un tentativo, che non sappiamo neanche se potrà realizzarsi se Renzi e Orfini riusciranno a far dimettere 25 consiglieri (cosa che da sola basterebbe a rendere evidente di che pasta sia fatto il Partito Democratico), di rendere onore ai principi per i quali abbiamo abbattuto una dittatura e che ci impongono che la sede per decidere della bontà o meno del mandato di un sindaco sia l’aula del consiglio comunale; che la democrazia sia fatta e vissuta negli spazi della democrazia. E non nelle stanze del sovrano.
Curioso che Roma, da sempre esempio di inimmaginabile grandezza, abbia dato alla storia svariate occasioni per offendere e uccidere quanto di bello e di sano ci sia nella democrazia e nella repubblica, pretendo ogni volta di mantenere le apparenze. Speriamo che questa volta non accada, o che perlomeno qualcuno veda quel razzo.
Leggi qui la lettera di Ignazio Marino in merito alla revoca delle dimissioni.
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