Nel 1973 l’artista italo-francese Gina Pane, esponente di spicco della Body Art negli anni Settanta, conosciuta dal pubblico come “Artista della ferita”, mette in scena nella Galleria Diagramma di Milano una delle sue performance più iconiche e conosciute: Azione sentimentale.
L’azione è articolata in quattro fasi, minuziosamente descritte dall’artista in un testo dattiloscritto, secondo una modalità che contraddistinguerà tutte le sue performance: è espressamente rivolta alle donne che assurgono a protagoniste dell’opera.
«Azione sentimentale» di Gina Pane: analisi dell’opera
Gli anni Settanta sono caratterizzati da una precisa volontà di mettere il corpo al centro dell’azione artistica, coerentemente con quanto stava avvenendo sul piano sociale e culturale, in un’ottica generale di riscoperta della corporeità. La Body art è strettamente correlata al movimento di contestazione giovanile del 1968 e alle battaglie per la liberazione sessuale e l’emancipazione femminile che mettono il corpo, come terreno esperienziale, al centro di una discussione politica e sociale:
Il corpo è il nucleo irriducibile dell’essere umano, la sua parte più fragile. È sempre stato tale, sotto tutti i sistemi sociali, in qualsiasi momento della storia. E la ferita è la memoria del corpo; essa memorizza la sua fragilità, il suo dolore, dunque la sua esistenza ‘reale’. È una difesa contro l’oggetto e contro la protesi mentale.
Gina Pane
Azione sentimentale di Gina Pane si svolge davanti a un pubblico di donne, sviluppandosi in quattro momenti. Nella prima fase le spettatrici disposte in alcuni cerchi tracciati con il gessetto sul pavimento, all’interno dei quali compare la parola “Donna”, assistono ad una serie di gesti meccanici compiuti da Gina Pane con un mazzo di rose rosse, conclusi assumendo una posizione fetale.
Nella fase successiva l’artista, vestita di bianco, conficca le spine della rosa nel braccio disteso verso le altre donne ed incide il palmo della mano con una lama da rasoio, mentre in sottofondo due donne leggono uno scambio epistolare in lingua italiana e francese.
Segue un ulteriore passaggio, in cui la performer ripete i movimenti iniziali con in mano un mazzo di rose bianche. La performance si conclude con la trasmissione di una registrazione di Frank Sinatra, Strangers in the night.
In questa azione è posta particolare attenzione al cosiddetto dispositivo plastico, ovvero all’ambiente in cui si svolgono i diversi momenti. Nella prima stanza il pavimento è rivestito di velluto nero con al centro una rosa bianca ritagliata nel raso; sul muro ritorna la rosa, in un vaso d’argento, sotto forma di tre fotografie «ciascuna dedicata da una donna ad una donna». Nella seconda stanza una proiezione non stop in piano-sequenza mostra l’artista ripresa dalla vita in giù con un mazzo di rose rosse in mano.
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La storica dell’arte Marisa Vescovo ha evidenziato la valenza simbolica di questo apparato scenografico, soffermandosi in particolare sul ruolo fondamentale giocato dal colore: il rosso, simbolo delle gocce di sangue versato, ed il bianco, simbolo di purezza, di verginità:
La rosa è un fiore, ma anche un mezzo per procurare dolore, anzi per gli alchimisti ‘un vaso’ che contiene il Sangue, o Sacro Cuore, centro della vita e dell’essere intero.
Gina Pane
Dunque, in questa performance le azioni autolesionistiche di Gina Pane metaforizzano il dolore femminile attingendo a piene mani dall’iconografia religiosa cristologica: le spine conficcate nella carne ed il conseguente sanguinamento evocano la corona di spine di Cristo ed il suo martirio. Anche il messaggio è affine: un messaggio di salvezza e amore. Gina Pane al riguardo ha affermato:
Se apro il mio ‘corpo’ affinché voi possiate guardarci il vostro sangue, è per amore vostro: l’altro. Ecco perché tengo alla vostra presenza durante le mie azioni.
Gina Pane
Lo spettatore è coinvolto in un meccanismo di transfert, termine psicanalitico coniato da Freud per indicare il legame affettivo che lega il paziente all’analista.
A proposito di Gina Pane
Gina Pane nasce nel 1939 a Biarritz, cittadina di mare nel Sud Ovest della Francia, da madre austriaca e padre italiano ma trascorre gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza a Torino.
Ad appena sedici anni si appassiona all’arte di Van Gogh che considera il suo «primo maestro in pittura» e che sarà fondamentale nello sviluppo futuro della sua arte, incentrata sul corpo.
Oltre a Van Gogh, si interessa anche alle teorie del colore di Vasilij Vasil’evič Kandinskij e Paul Klee, studia Kazimir Severinovič Malevič e Paul Cézanne.
A ventidue anni, nel 1961, lascia l’Italia per trasferirsi a Parigi dove inizia a frequentare l’Ecole des Beaux Arts ed inizia a dipingere. Tra il 1965 e il 1968 si apre una nuova fase nella sua produzione artistica, nella quale realizza una serie di sculture monocromatiche in metallo sulla scia del Minimalismo, le Structures affirmées.
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In questi anni Gina Pane affronta il rapporto tra natura e arte e tra il sé e la natura, da lei definita “corpo ecologico”, ovvero un corpo che appartiene a tutti. Così si accosta alla Land art, corrente artistica sviluppatasi negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta. Gli anni Settanta segneranno l’approdo di Gina Pane alla Body Art, il movimento che pone il corpo al centro dell’azione artistica, che la vedrà protagonista per l’intero decennio.
Dal 1980, con l’abbandono della performance, ha inizio il terzo e ultimo periodo dell’iter artistico di questa poliedrica artista, caratterizzato da una intensa ricerca sui temi della religione attraverso assemblaggi chiamati Partitions, che Gina Pane realizzerà fino al 1990, anno della sua prematura scomparsa.
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